«In Madagascar, Tozzi Green ha sviluppato diverse varietà di colture nella Région Ihorombe, nella parte meridionale del paese, nel distretto d’Ihosy e ripartita entro i Comuni di Satrokala, Andiolava e d’Ambatolahy. Si tratta di terreni difficili da coltivare tanto da non aver mai suscitato l’interesse di operatori agroindustriali». Così descrive i suoi investimenti in Madagascar il gruppo Tozzi, cuore a Ravenna e testa in giro per il mondo, che si definisce «tra i più importanti player al mondo nell’elettrificazione rurale e nello sviluppo rurale sostenibile».

I Tozzi furono tra i primi italiani a puntare sul Madagascar. Sedici anni fa, quando in pochi pensavano all’agricoltura a migliaia di chilometri dall’Italia, presero in concessione 7mila ettari di terreno nella regione di Ihorombe, nella parte centro-meridionale dell’isola, abitata prevalentemente da allevatori. Iniziarono a coltivare jatropha da trasformare in energia, poco dopo sostituita dal mais.

Sono arrivati in seguito gli investimenti in Perù, altri in Madagascar, il balzo nelle rinnovabili in Europa, gli aiuti dello stato italiano: una galoppata costante che ha portato il piccolo gruppo romagnolo a diventare una multinazionale capace di raggiungere l’anno scorso quasi 110 milioni di euro di fatturato, con 10,5 milioni di utile netto per i suoi azionisti. In questi giorni, però, l’azienda ha subito però un colpo difficile da gestire, che rischia di macchiare la sua reputazione.

Tre autorevoli organizzazioni non governative (ong) internazionali hanno presentato una denuncia all’Ocse accusando Tozzi Green di aver calpestato i diritti delle popolazioni che vivono da secoli nella regione di Ihorombe, e di averlo fatto con l’aiuto finanziario della Finnfund e della belga Bio, due banche che hanno prestato in tutto 7,5 milioni di euro alla filiale malgascia finita nel mirino degli attivisti.

La denuncia

«Diversi individui hanno dichiarato di aver subito intimidazioni e minacce, e di essere a conoscenza che altre persone hanno subito il medesimo trattamento, solo perché hanno espresso la loro opposizione alle attività di Tozzi Green»: questo è uno dei passaggi dell’istanza letta da Domani e presentata da tre ong: ActionAid Italia, la francese Collectif Tany e l’associazione malgascia Bimtt .

Corredata da decine di documenti e interviste fatte sul campo agli abitanti della regione Ihorombe in varie visite effettuate negli anni, la denuncia analizza il processo con cui Tozzi nel 2007, e poi con un altro contratto di locazione firmato nel 2018, ha preso possesso in totale di 11mila ettari di terreno abitati da popolazioni dedite per lo più all’allevamento. Le tre ong sostengono che i terreni siano stati ottenuti in locazione con metodi «contrari alle linee guida Ocse destinate alle imprese multinazionali»: è questo il punto giuridico dell’istanza, presentato dagli avvocati Veronica Dini e Luca Saltalamacchia.

Se verrà accettata, se cioè Tozzi Green sarà ritenuta giudicabile per aver potenzialmente violato le linee guida dell’Ocse sulla condotta d’impresa responsabile, il cosiddetto “Punto di contatto nazionale” (organismo creato all’interno dell’attuale ministero delle Imprese e del Made in Italy) avvierà una mediazione per cercare una soluzione, visto che nell’istanza si richiede un risarcimento danni (non quantificato) per le popolazioni malgasce residenti nei pressi dei terreni.

Se si troverà un punto di mediazione, la vicenda si chiuderà. In caso contrario, il Punto di contatto nazionale riepilogherà il caso. E allora tutto resterà da tentare solo le vie della causa ordinaria. Tensioni in Libia mentre aumenta l’accaparramento delle terre nel mondo

«Diritti umani violati»

Nella denuncia, Tozzi è accusata di aver violato le norme internazionali sulla partecipazione libera e informata delle comunità locali, di non essere stata trasparente con loro sui progetti e i contratti, di aver violato diversi diritti umani che riguardano mezzi di sussistenza e ambiente, di aver causato una decisione significativa del numero di zebù (bovini tipici del Madagascar) a causa della mancanza di accesso alle zone di pascolo; di aver aggravato l’insicurezza alimentare degli abitanti a causa del prosciugamento delle risaie.

In generale, Tozzi avrebbe reso la vita delle comunità locali – il Madagascar è uno dei paesi più poveri al mondo secondo tutte le statistiche – ancora più difficile, e l’avrebbe fatto sfruttando le scarse competenze dei locali sulle questioni in gioco e le proprie conoscenze della cultura malgascia. Un esempio concreto è descritto nella denuncia, quando si racconta il metodo attraversi cui Tozzi avrebbe ottenuto il controllo di alcuni dei terreni in questione.

Il rito della condivisione della carne di zebù, dopo la sua rituale uccisione, ha alto valore simbolico e lega, quasi come un patto di sangue, coloro che vi hanno partecipato, spiegano gli avvocati delle ong, che poi sottolineano: «Tozzi Green avrebbe raccolto le firme dei partecipanti proprio al termine di tali cerimonie e attribuito ad esse valore di adesione al progetto».

Per tutti questi motivi le tre ong nella loro denuncia chiedono che Tozzi Green lasci la regione di Ihorombe, restituisca le terre alla comunità locali e paghi ai membri di questi villaggi un risarcimento per i danni subiti. A una richiesta di commento, l’azienda ci ha risposto respingendo totalmente le accuse: «L’attività in Madagascar è contraddistinta dal massimo rispetto delle comunità locali», ci ha scritto «tutte le aree che sono attualmente impiegate sono state ottenute nel pieno rispetto e in conformità alle leggi malgasce e con la partecipazione attiva dello Stato, delle comunità locali e dei proprietari di tali terreni».

L’azienda ha aggiunto che da tempo «riceve richieste di chiarimenti sulla sua presenza in Madagascar da parte dell’associazione Collectif Tany», definendole «richieste pressanti, talvolta minacciose e stracolme di accuse gravissime». Tozzi aggiunge che «si impegnerà senz’altro a fornire la sua massima collaborazione ea presentare tutte le osservazioni per dimostrare la totale infondatezza delle accuse».

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