Il gip per le indagini preliminari del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, Sergio Enea, ha scarcerato l’agente penitenziario Giuliano Zullo, di 55 anni, agli arresti domiciliari dal 28 giugno nell’ambito dell’inchiesta sui pestaggi avvenuti nel carcere della provincia casertana. Si sarebbe trattato di un errore, di uno scambio di persone.  
Zullo, sposato e con tre figli, attende ora di rientrare in servizio, dopo dieci giorni di reclusione. Gli avvocati difensori del poliziotto, Giuseppe Stellato ed Ernesto De Angelis, sono riusciti a dimostrare nel corso dell'interrogatorio di garanzia del 5 luglio, che l'agente non era in servizio tra il 5 e il 6 aprile 2020, perché di riposo. L'agente, infatti, è impiegato all'ufficio colloqui con i detenuti, dove presta servizio dal martedì al sabato.

Dall'interrogatorio è anche emerso che i 5 detenuti che lo avevano identificato dai video mostrati dalla Procura, si erano sbagliati, scambiandolo per un altro agente. 

Se i codici identificativi fossero obbligatori

«Sono un dipendente statale e sono stato trattato come un delinquente pur essendo innocente, sono ancora sotto choc, infangato dai detenuti dopo avere ricevuto sei encomi, e come se non bastasse, ho subìto anche una serie di minacce su Facebook», ha dichiarato Zullo all’Ansa, lamentando il danno morale. 

Il problema tuttavia sta alla base. Secondo la legge italiana, i membri delle forze dell’ordine in servizio non hanno l’obbligo di identificarsi, la divisa viene ritenuto sufficiente e i cittadini non hanno diritto a conoscere le generalità degli agenti. Una normativa che decade, nel caso in cui i poliziotti operino in borghese. Sono in questo caso devono avere il tesserino di riconoscimento e sono tenuti a identificarsi, nel caso di richiesta espressa da parte di chi viene fermato. 

Se i codici identificativi per gli agenti penitenziari, dunque, fossero obbligatori per legge – come chiede la nostra petizione su Change.org - scambi di persona sarebbero impossibili, con o senza testimonianze poco affidabili. L’ipotesi degli avvocati di Zullo, infatti, è che, lavorando questi nell’ufficio colloqui, l’accusa nei suoi confronti sia stata una mera vendetta dei detenuti perché l’agente impediva l'introduzione nel carcere di droga e cellulari, nascosti nei pacchi loro destinati.

Dalla descrizione fisica dell’agente, in effetti, sarebbe stato difficile uno scambio (capelli rossi e un’escrescenza sulla fronte, che l’agente indicato dai detenuti nei video non ha), visionando le immagini delle telecamere di sorveglianza che hanno provato il pestaggio. 

Le reazioni

Matteo Salvini ha rilanciato la notizia su Twitter non appena è stata pubblicata, chiedendosi chi si scuserà adesso con l’agente. 

Sulla scarcerazione di Zullo, la seconda in pochi giorni dopo quella dell'agente Angelo Bruno, per il quale era stato disposto il carcere, è intervenuto anche il segretario regionale del sindacato della polizia penitenziaria Uspp, Ciro Auricchio: «Questo episodio dimostra quanto siano deleterie le violazioni della privacy quando le indagini sono ancora nella fase preliminare. Il collega e la sua famiglia hanno vissuto ingiustamente dieci giorni di inferno».

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