Oggi si celebra la 35esima giornata mondiale della lotta all’Aids. La giornata, istituita alla fine del decennio che ha fatto conoscere la malattia al mondo intero, nel 1988, è nata per porre fine allo stigma che per anni è stato legato all’Hiv e informare sulla sua prevenzione. 

La sensibilizzazione in una malattia come l’Aids assume un significato ancora più rilevante, perché per molto tempo le persone contagiate dalla malattia sono state relegate agli angoli della società

Nei primissimi anni Ottanta, dopo la scoperta del virus, l’opinione pubblica attribuiva la malattia solo agli omosessuali. Il 3 luglio 1981, il New York Times pubblicò un articolo dal titolo Scoperto raro cancro in 41 omosessuali. Ma già alla fine dell’anno comparirono i primi casi negli eterosessuali e nel finire del 1982 anche la prima morte: un bimbo emofiliaco, ammalato in seguito a una trasfusione infetta. Ma anche il primo caso di trasmissione materno-fetale dell’Aids.

Lo stigma però di malattia relegata al mondo degli omosessuali e degli emarginati è stato duro a morire, fino alla morte nell’ottobre del 1985 del famosissimo divo di Hollywood Rock Hudson.

La malattia arriva a Hollywood

Rock Hudson debuttò al cinema alla fine degli anni Quaranta e nella sua carriera trentennale divenne uno degli attori più celebri dell’epoca. Era venerato dalle donne e questo l’ha indotto a nascondere la sua omosessualità, fino all’annuncio nel 1985 di essere sieropositivo. L’essere un divo non lo salvò dallo stigma, almeno fino alla morte, quando anche il presidente degli Stati Uniti, Ronald Reagan, amico di lunga data dell’attore –  essendo stato anch’egli un divo di Hollywood – cambiò atteggiamento sulla malattia. 

ANSA

L’ospedale di Parigi in cui Hudson fu ricoverato al momento dell’annuncio si svuotò per paura del contagio, nessuna compagnia aerea voleva averlo come passeggero per tornare in America, tanto che alla fine l’attore dovette prenotare un intero volo. L’ignoranza sulla trasmissione del virus e l’isteria di massa ebbero effetti anche su Linda Evans, che nella serie Dynasty, aveva baciato in bocca Hudson. Evans fu sottoposta a un test, il che acuì lo stigma verso le persone sieropositive. Mancavano infatti ancora sei anni al bacio che fece la storia.

Il bacio e Lady D.

Era il 1 dicembre 1991. Quel giorno il Mattino di Napoli aveva scritto che l’Hiv si poteva contrarre anche con un bacio. Così l’immunologo, Fernando Aiuti, fondatore dell’Anlaids, prima associazione dedita alla lotta contro l’Aids, decise (di comune accordo) di baciare la sua paziente sieropositiva Rosaria Iardino, alla fiera campionaria di Cagliari così da convincere i presenti che il virus non potesse essere trasmesso attraverso un bacio. Un gesto che «ha fatto la differenza» nella lotta all’Aids come ha detto anni dopo Iardino.

Non solo la saliva, all’inizio i malati di Aids venivano evitati perché secondo l’opinione pubblica, anche un contatto poteva causare il contagio. Ignoranza che Lady Diana si sforzò di cancellare quando nel 1987, inaugurando la prima unità dedicata all’Aids all’ospedale Middlesex di Londra, strinse la mano a uno dei malati senza indossare i guanti. 

Freddie Mercury

Forse la più famosa tra le vittime di Aids. Il frontman dei Queen scoprì di essere sieropositivo nel 1986 e un anno dopo di avere sviluppato la malattia. Freddie Mercury, nome d’arte di Farrokh Bulsara, tenne segreta la notizia fino al giorno prima della sua morte avvenuta il 24 novembre 1991, quando annunciò al mondo di essere infetto. Negli anni però la stampa aveva già cominciato a sospettare la sindrome dietro ai suoi cambiamenti fisici.

Il 18 febbraio 1990, durante quella che sarebbe stata la sua ultima apparizione televisiva in diretta in occasione del conferimento del premio per il contributo dei Queen alla musica britannica ai Brit Awards, Freddie Mercury apparve emaciato e lasciò parlare solo il chitarrista Brian May, salvo sporgersi sul microfono prima di tornare dietro le quinte e dire solamente «Grazie a tutti, buonanotte». 

Un anno dopo la morte, nel 1992 i tre membri rimanenti dei Queen hanno ricordato Freddie dedicandogli un enorme concerto (72mila ticket venduti in poche ore) e devolvendo il ricavato al Mercury Phoenix Trust, per la lotta all’Aids. Con loro anche George Michael, Elton John, i Metallica e Robert Plant, David Bowie e i Def Leppard, Roger Daltrey – storico frontman degli Who – U2 e Guns N’Roses, Tony Iommi – chitarrista dei Jethro Tull –  Annie Lennox, Zucchero e Liza Minelli, con la partecipazione di Liz Taylor, la “Giovanna d’Arco” dell’Aids fin dal 1985.

Il Freddie Mercury tribute concert, trasmesso in mondovisione e visto da oltre un miliardo di persone in tutto il mondo, si è tenuto al Wembley Stadium di Londra, dove solo sette anni prima, nel 1985, i Queen – grazie soprattutto all’esibizione di Freddie Mercury – fecero la storia in 20 minuti durante il Live Aid. «Voi bastardi avete rubato la scena a tutti» disse scherzosamente Elton John al gruppo appena finito lo spettacolo.

Lotta per il Nobel

La scoperta del virus dell’Hiv ha una storia particolare e s’intreccia con quella del Nobel. Nel maggio del 1983, il virologo francese Luc Montagnier dell’istituto Pasteur di Parigi isolò un nuovo virus, il Lav virus, che verrà riconosciuto come agente responsabile della trasmissione della malattia solo un anno dopo, il 22 aprile del 1984.

Il giorno successivo però, il 23 aprile del 1984, Margaret Heckler, segretario dell’Health and Human Services, annunciò che Robert Gallo, direttore del laboratorio di biologia cellulare dei tumori del National Cancer Institute, aveva a sua volta isolato da pazienti malati di Aids il virus candidato a essere il responsabile della malattia, chiamandolo Htlv-III. 

Da quel momento inizia una battaglia legale tra i due istituti per vedersi riconosciuta la paternità della scoperta. Il premio Nobel per la medicina fu assegnato solo al francese Luc Montagneir nel 2008. Gli studi sui due virus scoperti hanno dato questa conclusione: si trattava dello stesso virus e da quel momento si parlerà solo di Hiv, il virus dell’immunodeficienza umana.

© Riproduzione riservata