Il caldo, la scarsità di piogge e il surriscaldamento climatico percepibile in questi giorni hanno reso ancora più evidente un problema strutturale della rete idrica italiana: la dispersione. Il tema poi è particolarmente sentito lì dove le perdite sono più diffuse. In Liguria, ad esempio, si fatica a trovare una soluzione, anche se i gestori hanno predisposto un piano di riduzione delle perdite dall’acquedotto da farsi finanziare con i fondi del Pnrr.

La Spezia è al 17esimo posto tra i capoluoghi di provincia italiani per grado di perdite idriche totali sui volumi immessi nella rete. Raggiunge addirittura il 53,4 per cento: su un totale di circa 16,87 milioni di metri cubi immessi in rete (498 litri per abitante al giorno), solo 7,86 vengono erogati per usi autorizzati.

Nel caso particolare del capoluogo spezzino, poi, c’è anche la storia recente del gestore del settore idrico-integrato, Acam. Prima dell’acquisizione del gruppo da parte di Iren nel 2018, il gestore aveva avviato una procedura prefallimentare nel 2008. Nel 2015 è arrivato a dichiarare debiti per 400 milioni di euro.

Contro gli sprechi

La municipalizzazione di Acam risale al 1909. È stata una delle prime esperienze italiane ed è stata inaugurata – col senno di poi un po’ ironicamente – per superare le inefficienze e gli elevati costi dei privati. I primi passi del servizio idrico integrato sono coincisi con lo sviluppo urbano e la nascita della moderna La Spezia, influenzata dalla costruzione in città dell’Arsenale militare marittimo. Per questo motivo l'ingegnere Fausto Baratta è stato incaricato dal comune di costruire l’acquedotto di Fornola.

Il progetto, approvato ufficialmente nel 1913, non solo ha messo a disposizione della città una grande quantità d’acqua, soddisfando l’interno fabbisogno idrico di Spezia, ma, grazie alle caratteristiche geologiche del terreno, è stato in grado di offrire un’acqua già naturalmente microfiltrata. 

L’inizio della crisi

I problemi di Acam sono iniziati quasi un secolo dopo. Nel 1998, quando il comune ha deciso di avviare un processo di privatizzazione della municipalizzata in Spa. La legge Bassanini prevedeva infatti la possibilità, per le aziende degli enti locali, di procedere alla trasformazione in Spa attraverso un iter semplificato. Con l’obbligo però, entro due anni, di consentire l’ingresso nella compagine sociale di soggetti privati.

Lo racconta bene Giorgio Pagano, allora sindaco di Spezia, che ha tenuto un diario online. «Abbiamo deciso che una banca d’affari sarebbe stata incaricata di proporre il nuovo assetto societario e di struttura del capitale e di assistere l’azienda nella ricerca di partner strategici industriali e/o finanziari ed, eventualmente, nelle modalità di collocamento nel mercato borsistico. Noi sindaci e l’azienda avevamo in mente di non far entrare i privati per almeno due anni, in modo da consentire ad Acam di rafforzarsi prima della privatizzazione». Tuttavia le cose sono andate diversamente.

Sempre più debiti

«L’azienda», scrive Pagano, «aveva fatto bene, negli anni Novanta, a crescere. Ma a un certo punto, bisognava fermarsi. Si doveva cominciare a ridurre investimenti, indebitamento e dare valore a quanto fatto, mettendosi in gioco in un’alleanza più grande, in un contesto più forte che, con la necessaria ricapitalizzazione, avrebbe assicurato all’azienda sicurezza e sviluppo».

Tuttavia è prevalsa la scelta di continuare senza aprirsi ai privati e nel contempo di cedere il 49 per cento del settore gas, quello più remunerativo, a un privato, Italgas. A partire dal 2007 i debiti di Acam sono aumentati in modo esponenziale, tanto che nel 2015 l’allora assessore alle partecipazioni del comune di La Spezia, Raffaella Paita, ha parlato di un debito complessivo di 400 milioni di euro ereditato dalla precedente gestione finanziaria.

Debito che tuttavia, come ha tenuto a precisare lo stesso Pagano, è triplicato solo dopo il 2008, quando i bilanci sono stati chiusi ed è stato avviato un piano di ristrutturazione. «Nel 2005, il debito di Acam Spa era di 162 milioni, mentre durante la crisi finanziaria del gruppo il rapporto posizione finanziaria netta/patrimonio netto (ovvero la differenza tra il totale dei debiti finanziari, a prescindere dalla loro scadenza, e le attività liquide) è aumentata esponenzialmente. Era 2,99 nel 2009, 4.06 nel 2010, 5,34 nel 2011, 5,93 nel 2012». In pratica la gestione chiamata a risanare i conti aveva contribuito all’effetto opposto.

Tubi vecchi

Questo periodo di instabilità finanziaria ha inevitabilmente avuto dei risvolti anche sullo stato delle condutture. Nel periodo compreso tra il 2008 e il 2018 infatti Acam ha diminuito radicalmente la spesa destinata alla manutenzione dell’acquedotto.

Per molti anni invece di sostituire intere tratte di tubi si cercava di tappare le perdite, mettendo il cosiddetto “tapullo”, una riparazione di fortuna. La mancata sostituzione delle tratte ha contribuito a rallentare il processo di rinnovamento dell’acquedotto spezzino.

Che infatti è piuttosto vecchio. Secondo Acam l’età media delle tubature è compresa tra i 40 e i 100 anni. In Liguria poi c’è una difficoltà aggiuntiva dovuta all'orografia del territorio, composto da continui saliscendi in cui l’acqua attraverso un sistema di pompe viene sollevata centinaia di volte. Comportando un stress ulteriore per la tubatura e un costo energetico maggiore. 

Gli interventi

Non bisogna pensare che eliminare del tutto le perdite sia fattibile. Va considerato che ogni infrastruttura ha una perdita fisiologica fra il 5 e il 10 per cento. Inoltre, va anche tenuto presente che dove ci sono più perdite spesso c’è stato anche un aumento e un miglioramento delle misurazioni, che determina un peggioramento degli indicatori: in pratica, più contatori si installano, più emergono i problemi. 

«Da quando Acam è entrata nel gruppo Iren gli investimenti sono aumentati», dice Marco Fanton direttore della gestione del servizio idrico integrato di Iren a La Spezia. «Si è passati da avere a disposizione un paio di milioni l’anno all’averne circa 20, suddivisi più o meno equamente nella gestione delle acque potabili e quelle reflue».

Investimenti che sono andati tutti nell’ammodernamento di un impianto vecchio. E quindi: nella sostituzione di condutture e nel risanamento di sorgenti, serbatoi e impianti di sollevamento dell’acqua. In particolare si è intervenuti sul collegamento tra il circuito acquifero cittadino e sulle condutture presenti nei piccoli borghi, dove c’è una domanda d’acqua maggiore proprio quando c’è meno acqua: in estate. 

L’acqua potabile

«Se continuasse questa situazione di siccità e se dovessero presentarsi delle carenze, io le leggo molto poco correlate alla perdite. L'utilizzo dell’acqua della falde e delle sorgenti insiste sull’aspetto potabile in minima quantità» sostiene Fanton.

Le incidenze importanti sono per l’agricoltura e per gli usi industriali. L’acqua che viene utilizzata per scopi potabili è solo una piccola rispetto al totale. In questo momento sono fra i 2 e i 3 i metri cubi d’acqua al secondo, prelevati dal fiume Magra e destinati ad uso agricolo e industriale. Per l’uso potabile bastano 0,5 metri cubi al secondo.

«Per il momento stiamo mantenendo il massimo livello di allerta sulla situazione idrica, tuttavia a Spezia c’è sempre stata ampia disponibilità d’acqua», spiega. Ed è il motivo per cui Spezia non si è mai fornita di un sistema di invasi che permettesse di conservare l’acqua. «In ogni caso» precisa Fanton, «monitoriamo con molta attenzione la portata del Magra da cui dipende la ricarica della falda e quindi le scorte d’acqua cittadina, anche se finora non sono emerse criticità».

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