Il nuovo termine è il 6 maggio. Sul caso Almasri il governo temporeggia. L’esecutivo di Giorgia Meloni avrebbe dovuto consegnare alla Corte penale internazionale la sua memoria difensiva sul rimpatrio del torturatore libico accusato di crimini di guerra e contro l’umanità il 17 marzo scorso. Deadline non rispettata.

Dopo la richiesta di una proroga, l’Aja, che ha aperto un fascicolo contro l’Italia per «mancata osservanza di richiesta di cooperazione», aveva di fatto fissato al 22 aprile la nuova data di consegna. Ma ieri un secondo nulla di fatto: nessuna documentazione spedita alla Corte e nuova proroga richiesta (e ottenuta). La ragione? La memoria richiede «completezza nei dettagli e completezza esaustiva», scrive il sottosegretario Alfredo Mantovano in una lettera alla Cpi.

Intanto è attesa, entro il 29 aprile prossimo, la decisione del Tribunale dei ministri che lavora al fascicolo d’indagine sulla premier Meloni, sul sottosegretario Mantovano e sui ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi in riferimento alla vicenda Almasri.

Le contestazioni mosse dalla procura di Roma, sulla base della denuncia dell’avvocato Luigi Li Gotti, sono quelle di favoreggiamento e peculato. Tuttavia questa, rispetto alla procedura avviata dalla Cpi, è un’altra storia.

«Questa richiesta di una seconda proroga è la prova che quello che ci ha raccontato Nordio in Parlamento è una bugia», dice a Domani il deputato di Alleanza Verdi Sinistra Angelo Bonelli. Il guardasigilli nell’aula di Montecitorio si era giustificato affermando che il mandato di arresto disposto dai giudici della Cpi nei confronti del generale libico presentava «un vizio assoluto nella struttura del reato indicato».

E poi che al ministero della Giustizia il suo ruolo non è quello di un «passacarte», ma di «un organo politico che deve meditare sul contenuto delle richieste». Molte domande, dunque, erano (e sono) rimaste senza risposta. Come mai Nordio non ha sanato il vizio di forma con cui la Corte d’Appello ha scarcerato il comandante della prigione di Mitiga Almasri? Perché il guardasigilli non ha risposto alla procura che aveva inviato a via Arenula il fascicolo ventiquattro ore prima la liberazione del torturatore? E ancora, perché dal Viminale è arrivato l’ordine di espulsione? Perché Almasri è stato inviato in Libia su un Falcon 900?

La memoria difensiva, richiesta dalla Corte, potrebbe chiarire tutti questi punti rimasti oscuri e sui quali la Cpi vuole approfondire il suo esame. La procedura che la Corte penale internazionale ha aperto mira proprio a chiarire le responsabilità dell’Italia: si tratta di un contenzioso con cui la Corte chiede al governo le ragioni sottese alla sua decisione.

Nel caso in cui queste ragioni non dovessero soddisfare, si procede all’apertura della fase di accertamento della violazione dello Statuto di Roma, secondo cui «quando lo Stato non adempie alla richiesta di cooperazione della Corte, non rispettando le previsioni dello Statuto e quindi impedendo alla corte di esercitare le sue funzioni e i suoi poteri, la Corte può aprire una indagine e riportare la questione all’Assemblea degli stati membri oppure al Consiglio di sicurezza».

Lo scorso 19 gennaio il generale libico Almasri è stato arrestato a Torino - dove era arrivato il giorno prima dalla Germania con un'auto presa a noleggio su mandato della Corte dell’Aja. Due giorni dopo la Corte d'Appello di Roma non ha convalidato l’arresto a causa di un cavillo giuridico che il ministro della Giustizia Carlo Nordio, avvisato sin da subito dell’arresto, poteva sanare. Un vizio di forma che, pertanto, è rimasto: lo stesso giorno del rilascio Almasri viene ricondotto in Libia sul volo gestito dai servizi segreti. Azioni e omissioni, quelle italiane, tutte da chiarire.

© Riproduzione riservata