Una rappresaglia, una vendetta costruita ad arte per punire un rappresentante sindacale tra i più attivi nel segnalare inefficienze e rischi dentro l’acciaieria. La Fiom di Taranto accusa ArcelorMittal – la multinazionale dell’acciaio che gestisce dal 2018 gli stabilimenti ex Ilva – dopo che l’amministratore delegato Lucia Morselli e il capo del personale Arturo Ferrucci hanno sospeso un delegato sindacale in via cautelare, quasi certamente in vista del licenziamento, in seguito a un incidente accaduto la scorsa settimana.

È l’ultimo anello di una catena di episodi che segnano da mesi le ormai logore relazioni tra azienda e organizzazioni sindacali. Già un anno fa un delegato dell’Usb è stato licenziato per aver scioperato nonostante fosse “di comandata”, cioè facesse parte della squadra preposta a garantire la sicurezza di personale e impianti. Il clima insostenibile è citato anche dal capogruppo di Leu alla Camera, Federico Fornaro, in un’interrogazione al ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo.

L’antefatto

Il colosso franco-indiano ufficialmente non commenta l’episodio e ufficiosamente minimizza: solo un provvedimento inevitabile dopo condotte imperdonabili sul lavoro.

Sullo sfondo c’è l’estenuante trattativa tra il governo e ArcelorMittal per l’ingresso dello stato nel capitale sociale tramite Invitalia, la società pubblica guidata dal commissario Covid, Domenico Arcuri. La tagliola è il prossimo 30 novembre, quando per ArcelorMittal scatta il diritto di mollare tutto pagando una penale di 500 milioni.

L’involontario protagonista della vicenda è Giuseppe D’Ambrosio, membro Fiom della Rsu (rappresentanza sindacale unitaria). Tra i colleghi è considerato tra i più attenti, «un rompiscatole per qualcuno, evidentemente», sostengono le tute blu della Cgil. Negli ultimi mesi, D’Ambrosio aveva segnalato e denunciato diverse situazioni di rischio per quanto riguarda la sicurezza sugli impianti, in particolare sul Treno nastri 2.

Per esempio, il 10 febbraio aveva segnalato allo Spesal (il servizio per la prevenzione e la sicurezza negli ambienti di lavoro dell’Asl) che «le catenarie di trasporto rotoli sono costantemente piene di grasso e olio con un accumulo anche nelle zone sottostanti» e come vi fosse «una perdita di gas da una tubazione nei pressi dell’entrata zona finitori».

Non sono denunce di poco conto. In una situazione analoga, all’acciaieria ThyssenKrupp di Torino, il 6 dicembre 2007 sette operai sono morti nell’improvviso incendio che li ha travolti lungo una linea di produzione. Il processo ha portato alla condanna definitiva per omicidio colposo dei vertici aziendali, accusati di non essere intervenuti dopo ripetute segnalazioni sulla pericolosità di un impianto privo della necessaria manutenzione.

I precedenti

Negli ultimi mesi i maggiori sindacati (Fiom-Cgil, Fim-Cisl, Uilm e Usb) hanno più volte denunciato situazioni allarmanti anche in altri reparti dello stabilimento tarantino. A giugno l’Usb ha segnalato l’inosservanza da parte di ArcelorMittal delle norme di sicurezza nel Pla/2 (Produzione lamiere), rivolgendosi anche alla procura della Repubblica e al Nucleo ispettorato del lavoro dei Carabinieri.

E ancora, si può citare l’esposto a Ispra (l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), Arpa Puglia (l’Agenzia regionale per la protezione ambientale) e Spesal con cui le tre sigle sindacali metalmeccaniche hanno denunciato che al reparto di gestione dei rottami ferrosi (Grf) «le cappe mobili di aspirazione fumi/polveri presentano gravi ed evidenti problematiche che ne limitano fortemente la capacità di aspirazione».

La sicurezza appare trascurata anche da prima dell’avvento di ArcelorMittal. Dal 26 luglio 2012, giorno del sequestro degli impianti e dell’arresto del proprietario Emilio Riva, quella che era la più grande acciaieria d’Europa lavora a ritmo ridotto. In questo momento un terzo degli 8.200 dipendenti sono in cassa integrazione.

Il fatto

Mercoledì scorso D’Ambrosio era sul pulpito di comando carroponti Dbs (deposito bramme) del reparto Treno nastri 2, chiamato dai lavoratori per una questione sindacale: durante la manovra del carroponte per depositare sul treno di laminazione la bramma (un lingottone da una trentina di tonnellate) il pezzo di acciaio ha urtato la parete del capannone, sfondandola.

Secondo il sindacato, l’operazione è comandata in automatico da uno scanner che legge la dimensione della bramma, quindi l’errore è della macchina. Secondo indiscrezioni fatte filtrare dall’azienda, D’Ambrosio avrebbe distratto l’operatore: il funzionamento automatico del carroponte non avrebbe permesso quella manovra se l’operatore non avesse commesso l’errore di passare ai comandi manuali.

Infatti anche lui è stato sospeso. «È una ricostruzione artefatta – ribattono alla Fiom – Purtroppo, la gestione del tandem Morselli-Ferrucci sta producendo un clima di terrore e il messaggio è chiaro: chi denuncia le gravi condizioni di sicurezza negli impianti rischia il licenziamento».

Francesca Re David, numero uno della Fiom nazionale, è in arrivo a Taranto per una conferenza stampa che si profila infuocata: il sindacato difende il lavoratore sotto attacco.

Che cosa succede ora

D’Ambrosio ha ricevuto lunedì la lettera di contestazione alla quale deve rispondere entro cinque giorni, per poi attendere il provvedimento dell’azienda. In attesa di una svolta del dossier sul tavolo del governo, il nervosismo domina la fabbrica e il clima sembra diventato insostenibile.

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