Con più di 25mila nuovi casi e quasi 400 morti al giorno, l’epidemia di Covid-19 in Italia è tornata ai livelli dello scorso novembre e continua a crescere. I tecnici hanno chiesto di intervenire con decisione e il governo Draghi ha approvato ieri la stretta più dura da quando è stato introdotto il primo lockdown lo scorso marzo.

Pasqua chiusi in casa

In basse alle nuove misure, approvate ieri con un decreto legge, nei giorni 3, 4 e 5 aprile, i giorni di Pasqua, l’intera Italia sarà considerata zona rossa. Bar, ristoranti e i negozi di beni non di prima necessità resteranno chiusi e non si potrà uscire di casa se non per valide ragioni.

Inoltre, a partire da lunedì 15 marzo, tutte le regioni che attualmente si trovano in zona gialla passeranno in arancione. Qui si potrà andare a far visita ad amici o parenti, purché gli invitati non siano più di due, esclusi minori o disabili a carico.

Il decreto, inoltre, stabilisce un nuovo criterio aritmetico, aggiuntivo rispetto agli attuali, per spostare una regione in zona rossa: il passaggio sarà automatico al raggiungimento di una media settimanale di 250 nuovi casi ogni 100mila abitanti.

Se a questo aggiungiamo che il decreto approvato la settimana scorsa dispone la chiusura di tutte le scuole di ogni ordine e grado (comprese le scuole per l’infanzia, che dallo scorso settembre erano sempre rimaste aperte), il quadro risulta chiaro: l’ultima stretta decisa dal governo Draghi è la più severa dal lockdown disposto dal governo Conte un anno fa all’inizio dell’epidemia.

Tutta Italia in rosso?

Nel frattempo l’epidemia è peggiorata così in fretta che a partire da lunedì il 65 per cento circa della popolazione italiana passerà in zona rossa. A Campania, Basilicata e Molise, in zona rossa da una settimana, si aggiungeranno Lombardia, Lazio, Piemonte, Veneto, Toscana ed Emilia-Romagna.

Tutto il resto d’Italia passa in zona arancione, con l’unica eccezione della Sardegna che si trova in zona bianca, con un livello minimo di restrizioni (ma diverse aree sono state messe in zona rossa per via della circolazione delle varianti più contagiose).

La situazione potrebbe peggiorare ancora. Venerdì, l’Istituto superiore di sanità ha comunicato che secondo le sue stime, la prossima settimana la soglia di 250 nuovi casi ogni centomila abitanti dovrebbe essere superata in tutto il paese. Questo significa che in base alle nuove regole del decreto approvato ieri tutte le regioni dovranno passare automaticamente in zona rossa.

I ritardi

Di fatto, il governo Draghi si è trovato involontariamente a ricalcare almeno in parte le azioni del governo Conte lo scorso autunno ed è intervenuto all’inseguimento dell’epidemia, quando la situazione già minacciava di sfuggire dal controllo e senza tentare di prevenire l’esplosione di nuovi casi.

Il governo Conte, ad esempio, ha firmato il decreto che conteneva la suddivisione in zone di diversi colori lo scorso 3 novembre, quando i nuovi casi al giorno erano 28mila. Draghi ha firmato il suo decreto legge per fronteggiare la terza ondata il 12 marzo, con quasi 27mila nuovi casi.

Entrambi i governi non hanno accolto le prime richieste degli esperti di lockdown o altre strette, quando il numero di casi era relativamente più basso, e hanno preferito tentare la strada di “strette leggere”. Il 25 ottobre, prima del famoso decreto sulle zone colorate, il governo Conte ha approvato la chiusura di palestre e piscine e l’obbligo di chiusura per bar e ristoranti dopo le 18.

Una settimana fa, il governo Draghi ha approvato un’altra “mini stretta” che dispone la chiusura di tutte le scuole, ma questa settimana è stato costretto a una stretta ben più dura a causa del peggioramento del contagio.

La lezione imparata

Accanto alle similitudini ci sono anche differenze tra la vecchia seconda ondata e l’attuale terza. In altre parole, sembra che ci siano almeno alcune lezioni che sono state imparate in questi mesi.

Uno dei problemi della seconda ondata è stato che per mesi le regioni non hanno risposto alle richieste di disporre lockdown locali in presenza di focolai di Covid-19 che provenivano da scienziati, tecnici ed esponenti del governo.

Soltanto l’entrata in vigore del decreto sulle zone colorate, tra mille proteste e polemiche provenienti in parte anche dalla stessa maggioranza, ha cambiato la situazione.

Nelle ultime settimane abbiamo invece visto una situazione molto differente. Nel corso degli ultimi due mesi, l’Italia si è riempita di zone rosse e mini lockdown locali, in genere decisi dai governi regionali e spesso su richiesta degli amministratori locali.

Le chiusure sono avvenute in genere per ridurre la circolazione dalle varianti più contagiose (in particolare della brasiliana e della sudafricana, l’inglese è ormai dominante nel nostro paese) e non si è trattato di lockdown di stile cinese o australiano, dove qualche decina di casi bastano per mettere in quarantena milioni di persone. Ma qualche effetto sembrano averlo avuto.

L’Umbria è stata una delle prime regioni ad adottare lockdown mirati e ora l’epidemia in regione sembra aver già passato il picco.

 

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