Il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha attaccato le toghe parlando di manovre per indebolire il governo. Parole pronunciate a tre giorni dall’udienza preliminare che potrebbe portare a processo Andrea Delmastro Delle Vedove, potente sottosegretario alla Giustizia e fedelissimo della presidente del Consiglio, di cui è stato anche avvocato. La realtà è che l’unica a uscire indebolita, dopo aver svolto il suo dovere nell’affare Delmastro, è la giudice che ne ha deciso l’imputazione coatta alla quale, nei giorni scorsi, è stata revocata la scorta per le minacce ricevute dai Casamonica.

Si chiama Emanuela Attura e lo scorso luglio si è vista piovere addosso ogni tipo d’insulto dopo aver agito secondo codice e norme decidendo di non accogliere la richiesta d’archiviazione per il sottosegretario, firmata compattamente dai vertici della procura di Roma.

«È lecito domandarsi se una fascia della magistratura abbia scelto di svolgere un ruolo attivo di opposizione. E abbia deciso così di inaugurare anzitempo la campagna elettorale per le elezioni europee», recitava qualche tempo fa una velina di palazzo Chigi. Adesso, a pochi giorni dal verdetto che potrebbe costare il posto al sottosegretario, arriva il nuovo attacco di Crosetto che segue la decisione di revocare la scorta alla giudice. Una decisione, finita nelle cronache locali, che cade nei giorni dello scontro che il governo ha avviato contro le toghe che aderiscono alle correnti di sinistra.

Attura da pochi giorni non è più protetta, aveva il quarto livello, per una decisione assunta dal comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza della capitale. Eppure un collaboratore di giustizia, Massimiliano Fazzari, un uomo di ‘ndrangheta al servizio della mafia romana, aveva parlato così del clan: «Ti si mangiano come i topi di fogna, dove vai vai, a Roma senti nomina’ un Casamonica, so’ pieni di fratelli e cugini che si muovono..». Il più potente clan autoctono del Lazio ha questo vizio, non dimentica. Mai. Ma perché Attura aveva la scorta? E perché è stata revocata proprio adesso?

Il boss Casamonica

In carcere, nel 2020, uno dei membri apicali della famiglia criminale, Raffaele Casamonica aveva emesso la sua sentenza: «Io muoio ma una delle tre me la porto con me». Parla di una superpoliziotta, una magistrata e di una giudice.

Hanno una colpa, la prima ha fatto le indagini, la seconda ha chiesto l’arresto, la terza ha firmato l’ordinanza cautelare in carcere per il Casamonica, responsabile di violenze inaudite contro la compagna, una giovane donna conosciuta all’estero e convinta a seguirlo in Italia con bugie e menzogne. «Quando la moglie era incinta della seconda bambina (...) la aggrediva violentemente mentre era in cucina trascinandola in camera da letto dove la colpiva ripetutamente buttandola a terra», si legge nella misura cautelare.

Perché Casamonica confida ai familiari il suo odio nei confronti delle tre investigatrici? Perché con quel provvedimento si è consolidato il percorso di collaborazione di Simona Zakova, compagna del boss, che ha raccontato il sistema criminale di cui suo malgrado aveva fatto parte.

Dalla sua testimonianza è partita l’operazione “Noi proteggiamo Roma”, nel 2020, che ha coinvolto 23 persone e tra queste anche Raffaele Casamonica con la contestazione dell’associazione mafiosa. Usura ed estorsione sono i reati della casata che ha trasformato quel clan in una macchina criminale.

La giudice Attura è finita così sotto scorta (la superpoliziotta ha rinunciato e la magistrata è andata in pensione), una protezione che è rimasta inalterata fino a qualche settimana fa quando il tribunale le ha comunicato la decisione assunta dal comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza.

«Il meccanismo di funzionamento prevede che ogni sei mesi il comitato decida, sentiti i comandi delle forze dell’ordine e l’autorità giudiziaria, sulla revoca o conferma della misura di protezione. È stata di certo sentita anche la diretta interessata e, valutate eventuali nuove minacce e l’attualità del pericolo, si è deciso», racconta un’alta fonte investigativa.

Il punto vero è che da tre anni a questa parte nulla di nuovo si è aggiunto, solo due dati. Il primo è che Raffaele Casamonica è in fin di vita per problemi di salute, il secondo è che la giudice ha deciso su Delmastro. La fonte investigativa esclude un collegamento, ma rappresenta una singolare decisione quella di togliere la scorta a una giudice minacciata da un boss che ha evocato, nella sua dettagliata minaccia, il momento della tomba come chiave per consumare o pianificare la vendetta.

Ancor di più se si considera che il soggetto è sempre stato detenuto e la decisione di assegnare la scorta è stata assunta perché la forza del vincolo associativo non si attenua con la detenzione di uno dei componenti. Isolare una giudice, che si occupa di mafie, con attacchi politici e la revoca della scorta è grave anche perché i Casamonica non dimenticano. Mai.

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