Pubblichiamo un estratto del libro di Attilio Bolzoni “Controvento. Racconti di frontiera” edito da Zolfo editore (2023). Le interviste video sono disponibili a questa pagina.

Roma, 20 marzo 1994. Articolo firmato con Giuseppe D’Avanzo

È il cuore malato di Palermo. Macerie che resistono dal dopoguerra. Palazzi cadenti e piazze vuote che segnano il confine dei quattro antichi Mandamenti della città. È la più ricca «torta» immobiliare d’Italia, un affare da mille miliardi di lire. E c’è un pentito di Cosa Nostra che parla del business. Fa il nome di Silvio Berlusconi.

È Totò Cancemi, rappresentante della «famiglia» di Porta Nuova. Le rivelazioni del boss disertore non si fermano ai Quattro Mandamenti. Racconta anche dei latitanti in visita «nella tenuta tra Milano e Monza» di proprietà o comunque amministrata da Marcello Dell’Utri, braccio destro del Cavaliere; degli interessi palermitani della Fininvest; delle pericolose frequentazioni che – fin dal 1978 – Marcello Dell’Utri, presidente di Publitalia, ha coltivato con gli uomini d’onore dei più potenti clan siciliani.

Due lunghe testimonianze, una confessione che Totò Cancemi ha cominciato il 18 febbraio e concluso esattamente una settimana dopo, la mattina di venerdì 25. Le sue dichiarazioni, in questi giorni, sono all’esame delle procure di Caltanissetta e Palermo. Ma anche i magistrati di Firenze e di Catania hanno sulle loro scrivanie due dossier sugli amici e collaboratori di Silvio Berlusconi.

A Catania, le investigazioni sarebbero concentrate su un giro di centinaia di migliaia di dollari del clan Santapaola e su alcune società di Alberto Dell’Utri, il fratello gemello del presidente di Publitalia. A Firenze, c’è un altro pentito che «parla» e accusa. Per fatti di mafia, dunque, quattro procure della Repubblica indagano su Silvio Berlusconi e i fratelli Dell’Utri.

Sono queste le notizie che nella giornata di ieri hanno attraversato il Paese da Milano a Palermo. Con un seguito di indiscrezioni, ballon d’essai, voci non controllate e non controllabili. Allo stato dei fatti, ci sono tre elementi certi. Primo. Il pentito Cancemi chiama in causa Silvio Berlusconi e i suoi due collaboratori. Secondo. Le indagini, in tutte e quattro le procure, sono nella fase preliminare.

Si stanno cioè raccogliendo conferme della consistenza delle accuse del pentito per aprire formalmente l’istruttoria. Terzo. Né Berlusconi né Marcello e Alberto Dell’Utri sono per il momento iscritti all’elenco degli indagati in nessuna delle «distrettuali» antimafia.

Ieri sera è circolata insistente la voce che il presidente di Publitalia avesse già lo status di indagato alla procura di Caltanissetta. La voce non ha trovato alcuna conferma. Al contrario, ambienti giudiziari hanno precisato all’agenzia Ansa che «si indaga su Marcello Dell’Utri in relazione a una vicenda di riciclaggio di denaro proveniente dal traffico internazionale di stupefacenti affidato da Cosa Nostra direttamente o indirettamente all’amministratore delegato di Publitalia». Sempre all’Ansa, Dell’Utri ha affidato nella notte la sua prima replica: «Sono accuse farneticanti, ignobili calunnie».

L’inchiesta incrociata sui vertici della Fininvest ha il suo epicentro in Sicilia, proprio dove Totò Cancemi ha avuto una lunga carriera criminale: da semplice soldato della «famiglia» di Porta Nuova a rappresentante della  Commissione provinciale di Palermo. Il mafioso ha confessato ai giudici e ai carabinieri del Ros i legami che stringono Marcello Dell’Utri e alcuni esponenti di Cosa Nostra.

Un elenco lunghissimo, composto non da uomini d’onore qualunque ma dai capi, dai sottocapi e dai consiglieri di due delle più importanti «famiglie» di Palermo: quella di Porta Nuova e quella di Santa Maria del Gesù. Girolamo Mimmo Teresi è il primo personaggio della lista fatta dal pentito Totò Cancemi. Mimmo Teresi era il più fidato amico di Stefano Bontate e suo consigliori. Furono uccisi entrambi, nel 1981, a distanza di un mese. Gli altri due nomi citati da Cancemi sono quelli di Pietro Lo Jacono e di Ignazio Pullarà, una volta capidecina di Bontate e poi passati nelle fila dei Corleonesi di Riina.

Ma Totò Cancemi parla anche della sua «famiglia» e, soprattutto, del «punto di riferimento» che aveva in Lombardia: Vittorio Mangano. Non è un mafioso sconosciuto alle cronache. L’uomo d’onore di Porta Nuova è stato il primo a trascinare il nome del Cavaliere Silvio Berlusconi in una vecchia vicenda di mafia. Vittorio Mangano è stato stalliere ad Arcore (nella tenuta di Berlusconi) nella seconda metà degli anni Settanta. Il mafioso era emigrato da quelle parti e aveva trovato occupazione proprio ad Arcore. Silvio Berlusconi, il 26 giugno 1987, al giudice istruttore milanese Giorgio Della Lucia ha spiegato come conobbe quel picciotto palermitano: «Avevo bisogno di un fattore. Chiesi a Marcello Dell’Utri ed egli mi presentò il Mangano, persona conosciuta da un suo amico…».

Insomma, la spiegazione di un normale, anche se incauto, rapporto di lavoro. Ma il racconto di Totò Cancemi offre un’altra versione della presenza di Vittorio Mangano in Lombardia. Nella «tenuta tra Monza e Milano – confessa il pentito di Porta Nuova – trovarono rifugio Ciccio Mafara (un boss ucciso nei primi anni Ottanta nella guerra di mafia) e, durante la latitanza, i fratelli Grado e Contorno, anche loro uomini d’onore di Santa Maria del Gesù.

Gli investigatori hanno ritenuto che si trattasse di Totuccio Contorno. Poi il pentito ha spiegato: «No, non sono io. Credo che sia Giuseppe Contorno… In quegli anni lui aveva interessi a Milano con i Pullarà, Ignazio e Giovambattista».

Le rivelazioni di Totò Cancemi non si fermano però alle amicizie e alle frequentazioni mafiose di Marcello Dell’Utri. Il boss svela i retroscena del grande affare del centro storico. Parla degli investimenti che Silvio Berlusconi avrebbe fatto in attesa del secondo «grande sacco» della città, quello che la mafia stava preparando dai tempi di Lima e Ciancimino, Calò e Buscetta.

Totò Cancemi indica espressamente l’acquisto di immobili da parte del Cavaliere. E poi fa entrare in scena un misteriosissimo personaggio che avrebbe fatto da intermediario, a Palermo, nell’«affare centro storico». Il pentito lo chiama «il ragioniere». Sarebbe stato questo «ragioniere», in nome e per conto di Berlusconi, a trattare direttamente l’operazione. Sarebbe stata, dunque, la mafia a favorire l’ingresso in Sicilia del Cavaliere per spartire la «torta» del grande risanamento di uno dei centri storici più belli d’Europa?

Su queste dichiarazioni del pentito di Porta Nuova sono in corso investigazioni in tutta la Sicilia occidentale. Indaga la procura di Palermo, ma anche quella di Caltanissetta dove Cancemi, per la prima volta, ha deciso di vuotare il sacco sulle stragi mafiose dell’estate 1992.

Sono indagini partite alla fine dello scorso febbraio e concentrate soprattutto a Palermo, si cercano anche società in qualche modo legate a Marcello Dell’Utri e a suo fratello Alberto. Più complessa e articolata l’inchiesta dei magistrati di Catania. Anche lì s’indaga sullo staff del Cavaliere, seguendo le tracce del «tesoro» di Benedetto Nitto Santapaola e dei suoi fedelissimi prestanome. I giudici hanno trovato collegamenti con alcune società di Alberto Dell’Utri, il fratello di Marcello. Collegamenti che hanno lasciato una traccia: intercettazioni telefoniche.

Questa di Catania è un’investigazione difficilissima, gli esperti partono da centinaia di migliaia di dollari, i proventi del riciclaggio della «Santapaola Spa». È questo il quadro più attendibile delle indagini in corso. Meglio, di indagini che muovono appena i primi passi. I magistrati, pur rifiutando di fare qualsiasi commento, non nascondono inquietudine e perplessità. La fuga di notizie può pregiudicare l’inchiesta? La preoccupazione, in alcuni palazzi di giustizia, è che «la danza» sia soltanto agli inizi. Una valanga di voci indica frotte di pentiti testimoni del «caso Berlusconi».

È la prima valanga di indiscrezioni senza fondamento che, già in queste ore, intorbida e confonde l’intera indagine. Un caso per tutti. Fonti imprecisate hanno diffuso che anche il pentito Gioacchino La Barbera avrebbe reso «esplosive dichiarazioni» su Silvio Berlusconi. Avrebbe detto: «Si sapeva dentro Cosa Nostra che Berlusconi era nostro amico, che con lui si potevano fare affari».

In realtà, ecco che cosa ha semplicemente riferito La Barbera: «Sono stato contattato da alcuni uomini della Fininvest, tra la fine del ’92 e l’inizio del ’93, quando avevano necessità di installare nella zona di Palermo dei ripetitori tv. Dovevo occuparmi del movimento terra. Non avevo le macchine adatte. E quel lavoro non lo feci io». 


“Controvento. Racconti di frontiera” di Attilio Bolzoni, edito da Zolfo Editore (2023, pp. 624). Attilio Bolzoni, giornalista, ha iniziato la sua attività al quotidiano «L’Ora» di Palermo. Per quarant’anni inviato speciale a «Repubblica», oggi scrive per «Domani».

© Riproduzione riservata