Una vigilia trascorsa pensando a altro. In Belgio la partita che vedrà impegnati stasera i Diavoli Rossi contro l'Italia (Monaco di Baviera, calcio d'inizio alle 21) è vissuta con un atteggiamento che visto da qui somiglia molto al distacco. I titoli di siti e giornali sono dominati dalle notizie sulla pandemia, che da quelle parti non ha mai smesso di picchiare duro.

Altrettanto indicativo che l'apertura delle pagine sportive dei siti web sia contesa fra il quarto di finale di stasera e la cancellazione dell'amichevole pre-stagionale fra Anderlecht e Ostenda fissata per la mattina di oggi a mezzogiorno.

Motivo: i calciatori dell'Ostenda sono appena stati vaccinati e molti di loro hanno risentito delle conseguenze. Nulla di preoccupante, si tratta di ordinarie reazioni da vaccino. Ma è abbastanza per decimare i ranghi della squadra che così ha dovuto dare forfait. Quanto alla squadra di Roberto Martìnez, che si appresta a affrontare gli azzurri di Roberto Mancini, la sua vigilia viene raccontata senza enfasi. Ciò che fa da contraltare alla mobilitazione nazionalista italiana raccontata stamani, con qualche stupore, dal sito di La Libre Belgique.

Siamo solo noi

I giornalisti della testata francofona hanno riportato  l'assonanza delle titolazioni scelte dalle odierne prime pagine dei tre quotidiani sportivi italiani. Tutto un “noi”, un appello a stringersi intorno agli azzurri, un richiamo alla mistica nazionale di cui i calciatori schierati stasera sul terreno dell'Allianz Arena saranno avanguardia. Un atteggiamento spiazzante, se osservato da un paese spaccato dalla frattura tra fiamminghi e valloni al punto da rimanere per oltre 600 giorni senza governo fra il 2018 e l 2020. Un dato che fra l'altro consentì di “migliorare” il precedente record di 540 giorni battuto nel 2010.

Sicché capirete che quelle prime pagine (“Noi siamo l'Italia”, Gazzetta dello Sport; “Noi con voi”, Corriere dello Sport-Stadio; “Siete tutti noi”, Tuttosport) suonino piuttosto aliene da quelle parti. I cronisti belgi hanno invece dovuto svolgere ordinaria amministrazione, niente mobilitazioni patriottiche.

Hanno trascorso la vigilia tentando di decrittare anche loro la pretattica di Martìnez sulla possibile presenza di Eden Hazard e Kevin De Bruyne. Hanno raccontato che, comunque vada a finire la partita, la comitiva belga rientrerà stanotte a Bruxelles. E infine, non potevano esimersi dal tastare il polso della vasta comunità italiana in Belgio. E dai sondaggi sono emerse indicazioni contrastanti: non è mica scontato che le seconde e terze generazioni dell'immigrazione italiana stiano dalla parte degli azzurri.

Fra gli interpellati non poteva mancare l'ex interista Enzo Scifo, nominato 10 giorni fa allenatore del Royal Excel Mouscron dopo essere rimasto cinque anni senza squadra.

Scifo, che stasera tiferà per il Belgio, ha ricordato il tempo in cui si ipotizzava che la Juventus lo portasse in Italia, ciò che avrebbe favorito il suo reclutamento da parte della nazionale azzurra. Un aneddoto che ci porta a ripescare nelle memorie personali, ritornando agli anni del liceo classico frequentato a Agrigento. Scifo è nativo di La Louviere ma i genitori sono di Aragona, cittadina della provincia agrigentina. Quando il giovane Enzo esordì nell'Anderlecht e le sue partite di coppe europee passavano in tv, il compagno di banco (anche lui proveniente della provincia) riferiva di questo ragazzino che tornava in estate dal Belgio a fare le vacanze assieme alla famiglia. Che col pallone ci sapesse fare era evidente. Ma quando diceva «io gioco nell'Anderlecht», nessuno lo prendeva sul serio. «Sì, vabbe', raccontacene un'altra». Poi gli increduli se lo ritrovarono in eurovisione.

L'inno che non trascina

Sì, in effetti c'è da sorprendersi nello scoprire che qualcuno guardi con stupore, e forse con una punta d'invidia, allo spirito nazionale italiano. Cementato anche da un inno nazionale che viaggia in crescendo e ha un suo potere motivazionale. Sotto questo profilo, il confronto per i belgi non è esaltante. Il loro inno è un po' troppo compassato? Certo, la compostezza con cui i calciatori in maglia rossa lo cantano contrasta nettamente con l'esaltazione degli azzurri.

Ma soprattutto, la sorpresa viene dal pensare che ancora una decina di anni fa c’era chi in Italia criticava molti calciatori azzurri perché non cantavano l’inno.

Composto nel 1830 da François Van Campenhout e differenziato in una versione francese e in una olandese, il Brabançonne non desta esattamente un effetto di trascinamento. Per questo un articolo pubblicato nell'edizione odierna di De Standaard si è posto l'interrogativo: «E se il calcio è guerra e il 'Brabançonne' è la nostra canzone di battaglia, non siamo già sotto 1-0 prima ancora che la partita sia iniziata?». Fin qui, a dire il vero, no. Ma stasera è un’altra storia.

© Riproduzione riservata