Più che un mago è un postino. Spacciato come profeta, in realtà è un corriere, latore di veri e propri “pizzini” da recapitare a Matteo Messina Denaro e a qualcun altro.

Ma quale indovino Salvatore Baiardo, il gelataio autoproclamatosi portavoce dei fratelli Graviano, è soltanto uno che ha sostituito il tradizionale passaggio dei bigliettini –  di mano in mano, di covo in covo – facendoli più comodamente e meno rischiosamente arrivare via cavo, in diretta tivù.

Gli “avvertimenti”

Riannodando il nastro su tutto ciò che è stato scritto sul torbido personaggio, di lui si può dire pacificamente che è un portatore di avvisi per conto degli stessi Graviano ma non solo, messaggero di segnali in parte ancora da capire e di ricatti che non necessitano di grandi interpretazioni.

Questo Salvatore Baiardo è stato scaraventato sul palcoscenico televisivo per “avvertire” due persone. Una è Sivio Berlusconi, l’altra naturalmente il boss di Castelvetrano. Ha mandato pizzini ad entrambi. Uno a testa.

Con il primo ha ripreso il discorso che avevano lasciato in sospeso i suoi amici Graviano, un tiro e molla minaccioso che dura da una vita e che Baiardo rilancia guarnendo il piatto con nuovi dettagli.

Come l’incontro con il fratello Paolo a Milano, o come la sceneggiata del caffè – prima di presentarsi pettinato da Giletti – al bar Doney di via Veneto, luogo dove secondo il racconto del pentito Gaspare Spatuzza il suo capo si sarebbe incontrato con Marcello Dell’Utri e poi gli avrebbe confidato che, loro, i mafiosi «avevano il paese nelle mani».

I Graviano non hanno mai mandato giù il loro ”imprevisto” arresto avvenuto in un ristorante di Milano nel gennaio del 1994, evidentemente hanno sospetti su chi ha fatto la soffiata e fanno giocare Baiardo.

C’è solo da chiedersi se il gelataio prenda ordini soltanto da loro. O se ci sono altri che gli hanno messo in mano il pizzino per Berlusconi, e proprio nelle settimane in cui la procura di Firenze sta chiudendo sui mandanti esterni delle stragi in Continente del 1993.

Scontata una retata

L’altra comunicazione, quella destinata a Matteo Messina Denaro, è insieme più facile e difficile da decifrare.

La sua uscita di novembre, che annunciava la resa o l’arresto del boss legandolo a «un regalino del governo sull’ergastolo ostativo», sicilianamente pensando e sicilianamente parlando si traduce in un solo modo: “Consegnati, la tua ora è arrivata”. Firmato i tuoi amici.

Ragionamento che deve però fare i conti con l’inchiesta di Palermo. Darei per scontato che, fra non molto, i procuratori tireranno su le reti delle loro investigazioni con un’operazione e la scoperta della struttura che ha favorito l’ultima latitanza di Messina Denaro.

Bisognerà vedere se saranno arresti pienamente confirmatori della loro tesi fin qui esposta – è stata un’indagine pura, un successo incontestabile dello stato – o se l’inchiesta sorvolerà sulle evidenti anomalie intorno alla condotta del boss. In un caso sarà la chiusura di una formalità, altrimenti ne sentiremo ancora su Baiardo e sull’arresto di Matteo.

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