Giorgia Meloni è impegnata nel rush finale per comporre la squadra di governo da presentare al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Nelle stesso ore dalla Basilicata arrivano notizie preoccupanti per la coalizione che si appresta a guidare l’Italia. Fratelli d’Italia, Lega di Matteo Salvini e Forza Italia escono a pezzi da un’inchiesta giudiziaria coordinata dalla procura di Potenza diretta da Francesco Curcio e condotta da carabinieri e polizia.

Indagati i vertici politici locali e il presidente della regione, Vito Bardi, nella vita precedente generale della guardia di finanza. Favori, voto di scambio, pressioni, minacce: attorno agli affari della sanità regionale gli investigatori hanno svelato un sistema di malaffare e clientele, famelico quando si tratta di gestire nuovi appalti, come la realizzazione del nuovo ospedale di Lagonegro.

«È vivo per miracolo perché io e mio suocero lo abbiamo fatto mettere in ginocchio con la pistola in testa». Non sono parole pronunciate da un criminale di qualche gang sudamericana, ma da Francesco Piro, capogruppo di Forza Italia in consiglio regionale arrestato. Nelle intercettazioni si vantava peraltro dei suoi rapporti con ambienti della mafia calabrese.

«Oltre alle gestioni dei posti in sanità emergono gli interessi relativi al progetto per la realizzazione del nuovo ospedale di Lagonegro con annesse questioni dell’affidamento dei lavori gestione del bar esproprio dei terreni per la realizzazione del parcheggio», è scritto nelle quasi 400 pagine di ordinanza firmate dal giudice per le indagini preliminari che ha disposto arresti domiciliari, in carcere e obblighi di dimora per cinque persone. In tutto però sono cento gli indagati, Bardi è tra questi, non è destinatario di alcuna misura restrittiva ma solo di una perquisizione negli uffici della regione.

La giunta della Basilicata è in piccolo lo specchio di come sarà composto il prossimo esecutivo targato Meloni. A Bardi la procura contesta il traffico di influenze illecite, la concussione, l’abuso d’ufficio e il peculato. Una sfilza di reati, tutti ipotizzati per ora, commessi in concorso con altre importanti esponenti dei partiti della maggioranza che ricoprono ruoli istituzionali in consiglio regionale e in giunta.

Tra questi Francesco Piro, capogruppo di Forza Italia in consiglio regionale, Gianni Rosa, fresco di elezione in Senato con Fratelli d’Italia, e Rocco Leone, ex assessore alla Sanità e pure lui nel partito di Meloni. Il giudice che ha firmato l’ordinanza usa termini durissimi nei confronti del sistema di potere sotto accusa: «Un diffuso e sistematico mercimonio delle pubbliche funzioni ricoperte dagli indagati», è «emerso un sistema clientelare sotteso alla gestione della sanità pubblica lucana facente capo a primissimi esponenti dell’amministrazione regionale che per raggiungere i propri scopi hanno fatto ricorso a pratiche corruttive concussive».

Politica violenta

Piro è l’uomo forte di Forza Italia in Basilicata. È lui il perno di questo sistema. Sia per il metodo di controllo dei voti sia per affari più remunerativi, come la costruzione del nosocomio di Lagonegro. Affare importante a tal punto da punire chi si opponeva. In questo coadiuvato da Leone, meloniano ed ex assessore alla Sanità: i due avrebbero fatto pressioni su un direttore sanitario contrario al progetto minacciandolo con frasi di questo tenore, «non finirai il tuo mandato se ti opponi alla costruzione del nuovo ospedale».

A dirlo è proprio Leone, si legge negli atti della procura. Lo stesso meloniano che qualche tempo fa si conquistò la ribalta nazionale per una frase sessista rivolta a una assessora della giunta: «...Le ho consigliato i gargarismi di pisello», l’espressione sobria del politico, che poi si scusò con la vittima e con gli italiani.

Leone e Piro sono i potenti della coalizione al governo della regione. Solo che l’uomo di Berlusconi in Basilicata ha modi molto più rudi. «Ha manifestato l’uso della violenza e della capacità intimidatoria paventando anche la concreta possibilità di ricorrere all’occorrenza all’ausilio di associazioni criminali per raggiungere i propri scopi», è la valutazione dei magistrati, che poi elencano una serie di racconti, intercettati, fatti da Piro.

Come quella volta in cui con il suocero hanno fatto inginocchiare una povero cristo, «è vivo per miracolo perché lo abbiamo fatto mettere in ginocchio con la pistola in testa». Oppure quell’altro operaio colpito, sostiene Piro, con il vecchio telefonino Motorola con forma e peso di un mattone: «Pigliai il motorola boom... si taglia l‘occhio, teneva l’occhiale, tutto qua schizzi di sangue...poi pigliai una pala e feci boom boom...125 giorni di prognosi, stava morendo».

Piro si vantava peraltro delle sue amicizie con ambienti della criminalità organizzata, in particolare della ‘ndrangheta. «Mia moglie è di Rosarno, io basta che mando un messaggio potete venire e poi me ne vado in galera come cristo comanda, lo sanno bene».

In pratica Piro faceva intendere di poter «ricorrere alla criminalità organizzata calabrese ostentando a proprio vantaggio la nomea della città di Rosarno (provincia di Reggio Calabria, ndr) notoriamente considerata cardine di alcune delle maggiori cosche malavitose della ‘ndrangheta», scrivono gli investigatori. Negli atti c’è anche una telefonata tra Piro e Salvatore Caiata, imprenditore, pezzo da novanta di Fratelli d’Italia in Basilicata, eletto in parlamento il 25 settembre scorso. Il consigliere di Forza Italia lo contatta per coinvolgerlo nella sponsorizzazione di un candidato locale.

Rosa e Meloni

Gianni Rosa è il neosenatore di Fratelli d’Italia, indagato per uno dei reati contestati al presidente della regione Bardi e all’altro meloniano Leone. I tre avrebbero complottato per il «medesimo disegno criminoso» con l’obiettivo di «eliminare» un dirigente scomodo, lo stesso minacciato da Piro e Leone, «colpevole di non essersi adeguato alle richieste indebite e talora illecite e o clietelari di rappresentati della giunta regionale e di esponenti politici della maggioranza», scrive il giudice nell’ordinanza.

Sempre Rosa e Bardi sono accusati di peculato, per aver usato in maniera indebita i test molecolari per il Covid-19. In pratica abusando del loro ruolo e dei loro rapporti con la task force anti virus, «si impossessavo dei tamponi per eseguire i test» nonostante all’epoca fossero disponibili in misura ridotta per la popolazione.

© Riproduzione riservata