Di solito il giorno dopo la festa dell’Immacolata nelle corsie degli ospedali si addobba l’albero di Natale. Quest’anno sarà difficile. Non solo perché il personale ha il fiato corto per l’emergenza Covid, ma anche perché per il 9 dicembre i sindacati confederali hanno proclamato uno sciopero nazionale di tutti i servizi pubblici, sanità inclusa.

Uno sciopero di medici e infermieri in piena pandemia, mentre nei piazzali i soldati montano ospedali da campo per alleggerire il peso sui reparti d’emergenza, sembra incredibile, quasi una sfida alla rabbia popolare o alla propaganda anti sindacale e anti statali. Lo stesso premier Giuseppe Conte, parlandone in tv due sere fa, ha detto che pur essendo un diritto indiscutibile, non crede «sia questo il momento» di scioperare, oltretutto per chiedere di «incrementare le risorse già cospicue stanziate in manovra, 400 milioni per la sanità». Insomma, «non è un bel messaggio», dice Conte preoccupato.

Oltre le polemiche

Dietro una mossa difficile da spiegare c’è un problema serio. Vedere per credere la situazione di 200 medici e 100 infermieri assunti negli ambulatori Inail di tutta Italia, subissati da denunce di infortunio legate al Covid. Alla fine di ottobre erano 12mila casi.

Altri 12mila casi di contagio da coronavirus sono stati calcolati dall’Istituto superiore di sanità solo tra gli operatori sanitari dal 5 al 15 novembre. Ebbene, questi 300 nuovi addetti, assunti con il decreto Cura Italia e in via di conferma per un anno con la legge di Bilancio, lavorano per l’Inail ma in quanto co.co.co. non sono coperti dall’assicurazione dell’Istituto nazionale per gli infortuni sul lavoro, né da nessun’altra. L’Inail conferma e allarga le braccia, la legge è questa, si chiama Jobs act.

Gli statali in questi anni ne hanno viste di tutti i colori, ha protestato lunedì mattina in audizione alla Camera il segretario generale della Cgil Maurizio Landini. I tagli ai fondi a colpi di finanziarie di centrodestra e di centrosinistra in dieci anni sono arrivati a 37 miliardi di euro, «la stessa cifra che si vorrebbe riprendere in prestito con il Mes».

In parallelo si è espansa la sanità privata, che in Lombardia drena addirittura il 57 per cento delle risorse, secondo lo studio Oasi dell’università Bocconi. Dovunque gli enti territoriali si sono trasformati in aziende, la burocrazia si è allargata dovendosi occupare anche dell’accreditamento delle strutture di cura private. Il turn over, cioè l’ingresso di giovani, è stato bloccato, così oggi l’età media degli infermieri è superiore ai 50 anni.

Nel frattempo dal 2009 sono stati cancellati 45mila posti di lavoro nella sanità pubblica. Secondo i conti della Ragioneria generale dello stato nel suo ultimo rapporto (2008-2018), prima del Covid gli addetti erano poco meno di 650mila. Più oltre 35mila a tempo determinato e quasi 7mila lavoratori “in somministrazione”, gli ex interinali.

I “somministrati”

Lo denuncia la Ragioneria: la sanità è l’avamposto della precarizzazione del lavoro statale. Eppure i sindacati non sanno nemmeno quanti interinali sono stati assunti per far fronte alla pandemia. La Conferenza stato-regioni, interrogata, li ha rimandati al ministero della Salute che non risponde, neppure a Domani. «Pensiamo la maggior parte dei nuovi ingressi – sostiene Licia Pera dell’esecutivo dell’Unione sindacale di base – anche perché così è più rapido reperirli in emergenza se non hai una graduatoria concorsuale aperta».

Ma è una questione decisiva: un infermiere “somministrato” con causale Covid è escluso dal meccanismo di stabilizzazione della legge Madia del 2017. L’infermiere interinale, il medico a partita Iva, il co.co.co del call center, finito il suo contrattino, torna con tutta la sua esperienza a fare il precario nei meandri della sanità privata. Il leader della Uil Pierpalo Bombardieri ha spiegato ai deputati che lo sciopero del 9 dicembre è anche una reazione all’intesa tra il vice ministro della Salute Pierpaolo Sileri e il sindacato autonomo NursingUp che prevede per gli infermieri l’erogazione di una indennità di esclusiva di circa 100 euro lordi.

I confederali vogliono riaffermare il proprio ruolo, intaccato da un’organizzazione “corporativa” che chiede di salvaguardare gli infermieri più professionalizzati separandoli, alla stregua dei medici, dalle altre 22 mansioni del comparto. Insomma, la sottocategoria più nutrita e più forte mollerebbe tutti gli altri, inclusi gli operatori sanitari o “os”, più noti come “infermieri generici”.

E dunque sciopero sia, per chiedere «assunzioni stabili, più sicurezza sul lavoro e più risorse per il rinnovo del contratto». Ma si può pensare allo sciopero quando in alcune terapie intensive a volte gli infermieri non vanno neanche a dormire? «Già prima del Covid in molti reparti non si poteva scioperare mai perché i minimi garantiti di personale presente sono superiori agli organici, visto che abbiamo la legge più garantista d’Europa per l’utenza», ammette Michele Vannini, segretario della Cgil Funzione pubblica, «ma in questa situazione è chiaro che staremo ancora più attenti a non sguarnire i presidi».

Quanto all’impatto dello sciopero sull’opinione pubblica, i sindacati sanno che è una rischiosa scommessa: «Speriamo che i flash mob e le altre modalità della protesta che stiamo organizzando facciano riflettere sulle nostre ragioni, perché la situazione è disastrosa e servono più risorse». Rimane salda la speranza.

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