«La vedo molto dura, la situazione. Complicata e piena di tranelli, perché purtroppo a metà novembre saremo come a fine marzo. Con la differenza che allora l'epidemia riguardava Lombardia e Veneto, mentre ora abbraccia tutta Italia. Il virus si è sparpagliato ovunque, anche le Marche non sono messe bene». Così Guido Bertolaso, ex capo della Protezione civile, intervistato dal Corriere della Sera.

Sotto gli occhi ha un grafico «dove si vede chiaramente come a metà del prossimo mese la curva di contagi, ricoveri e morti avrà un'impennata insostenibile se non si prendono subito misure drastiche. Se il diagramma corrisponde a verità», sottolinea Bertolaso, «rischiamo tra poco più di due settimane di ritrovarci nei guai. I pilastri necessari per contrastare l'epidemia si stanno sgretolando, il servizio sanitario ha l'acqua alla gola e non sarà in grado di rispondere all'emergenza incalzante. Non vorrei rivedere le scene di medici russi, cubani e albanesi che accorrono in nostro aiuto nelle rianimazioni».

Il mezzo lockdown non basta? «No, credo che sarebbe meglio fermare del tutto il Paese per un mese, subito, siamo ancora in tempo per non arrivare a quei numeri. Con uno stop generale, da un lato potremmo cercare di arrestare la diffusione, dall'altro permetteremmo al sistema di riorganizzarsi. Resettiamo l'Italia, senza aspettare di vedere se le nuove misure sono state efficaci», il pensiero dell'ex capo della Protezione civile. «Capitolo medicina base: dovevano essere assunti 10 mila infermieri. Dove stanno, come sono stati distribuiti? Il filtro dei medici di famiglia», rimarca Bertolaso, «è di nuovo saltato e i pronto soccorso sono sotto pressione. Tagliate le visite ambulatoriali ordinarie, ed è gravissimo perché patologie gravi rischiano di essere diagnosticate troppo tardi».

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