Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è incentrata sul giudice Giovanni Falcone e sulla strage di Capaci di trent’anni fa.


Giù a Palermo, la procura ha chiuso intanto la sua inchiesta sui «delitti politici», le uccisioni di Pio La Torre, del segretario provinciale della Dc Michele Reina e del presidente della Regione Piersanti Mattarella. È un’indagine superficiale, manca di approfondimenti sui mandanti.

Come sempre, c’è solo Totò Riina. «La mia firma su quell’inchiesta non ce la metto neanche se mi torturano», dice Falcone a Borsellino e a qualche altro collega. Ma ancora una volta prevale il senso del dovere, la disciplina, l’ubbidienza, il rispetto della gerarchia. Giovanni Falcone firma.

È stremato dalle polemiche precedenti, non condividere ufficialmente quell’inchiesta equivarrebbe aprire un altro «caso Palermo» e ricominciare con le audizioni al Csm.

Dopo il duello Falcone-Meli, lo scontro Falcone-Giammanco. Capisce che è finito in una trappola. È stanco. Gli spiace solo di non aver indagato di più su «Gladio», l’organizzazione paramilitare nata nell’immediato dopoguerra per difendere le democrazie occidentali dal «pericolo rosso».

Falcone ha trovato alcuni indizi degli «anticomunisti» strutturati militarmente, tracce che lo portano alla morte di Pio La Torre. È il procuratore Giammanco a fermarlo. Lui annota tutto sul suo computer. Consegna qualche appunto a Liana Milella, una giornalista di cui si fida. «Non si sa mai», le confessa. È frastornato, sempre più solo. Si prende i rimproveri e gli insulti anche degli artefici della «primavera» di Palermo.

Il sindaco Orlando lo attacca «per le carte chiuse nei cassetti», il riferimento è alla sua firma in calce all’inchiesta sui cosiddetti delitti politici. È la fine di un’amicizia e la fine di un’epoca. È ancora il Consiglio Superiore della Magistratura ad intervenire, c’è ancora Falcone al centro di un affaire. Ora deve addirittura difendersi dalle accuse di non aver investigato a fondo sui mandanti. Si sfoga. Parla delle vittime eccellenti di Palermo, ma in realtà sta parlando di se stesso:

Niente è ritenuto innocente in Sicilia, né un alterco fra deputati né un contrasto ideologico all’interno di un partito. Accade quindi che alcuni uomini politici a un certo momento si trovano isolati nel loro stesso contesto. Essi allora diventano vulnerabili e si trasformano inconsapevolmente in vittime potenziali. Al di là delle specifiche cause della loro eliminazione, credo che sia incontestabile che Mattarella, Reina, La Torre erano rimasti isolati a causa delle loro battaglie in cui erano impegnati. Il condizionamento dell’ambiente siciliano, l’atmosfera globale hanno grande rilevanza nei delitti politici, certe dichiarazioni, certi comportamenti valgono a individuare la futura vittima senza che essa se ne renda nemmeno conto. Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere.

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