Su Domani continua il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dopo la serie sull’omicidio di Mario Francese e quella sul patto tra Cosa Nostra e i colletti bianchi, raccontiamo adesso la seconda guerra di mafia, quarant’anni dopo.

In data 6 giugno 1982, personale della Squadra Mobile di Palermo accorreva in largo A. Grandi ove era stata segnalata una sparatoria.

Sul posto, all'interno di una auto MINI MINOR, rinvenivano il cadavere di un individuo - identificato per PERI ANTONINO - colpito alla testa.

Il cognato della vittima, nonché altri parenti, riferivano che il PERI, mentre si trovava alla guida della propria auto, era stato tamponato da altra auto MINI MINOR color senape, a bordo della quale si trovavano due giovani.

Poiché l'auto investitrice non si era fermata, il PERI si era posto all'inseguimento e, giunto in quel largo, era stato colpito dal giovane seduto a fianco del guidatore il quale, sceso dall'auto, aveva fatto fuoco contro il primo con una rivoltella.

Sostanzialmente la stessa versione dei fatti veniva resa dagli altri congiunti del PERI i quali riferivano come, tutti insieme, in alcune auto incolonnate, si stavano recando ad una funzione religiosa - la Prima Comunione della figlia dell'ucciso - quando, percorsi circa 200 metri, una auto MINI MINOR di colore giallino ed in pessimo stato di uso, si era immessa, con manovra repentina, tra le dette auto ed aveva tamponato quella condotta dal PERI senza fermarsi, ma, anzi, accelerando l'andatura.

Il PERI, allora, si era posto all'inseguimento dell'auto investitrice e quest'ultima, imboccata una traversa di via Dello Sperone, si era fermata e dalla stessa era disceso il giovane che sedeva accanto al guidatore. Questi si era diretto contro il PERI e gli aveva esploso contro tre colpi di arma da fuoco dicendo, nel contempo, "ora ti amazzo, ora ti ammazzo".

TROMBETTA ANTONINO, congiunto del PERI, precisava che il giovane, dopo aver sparato contro quest'ultimo prendeva posto su un'auto 850 FIAT alla cui guida sedeva un altro individuo, mentre la mini minor investitrice, a sua volta, si dileguava.

PERI SALVATORE - fratello della vittima - indicava la causale dello omicidio nei contrasti avuti con la moglie DI TRAPANI ROSARIA, dalla quale si era separato, indicando come mandanti la stessa ed il padre della donna che vedevano nella vittima un "ostacolo" insormontabile per un eventuale riappacificazione.

Stessa causale veniva indicata da LA MOTTA ROSALIA, moglie del PERI, la quale, similmente, indicava nella cognata e nel padre della stessa i mandanti dell'omicidio del marito.

Le indagini esperite a seguito delle citate indicazioni rese dai congiunti del PERI, non davano, pero', alcun risultato apprezzabile.

Il 7 giugno 1982 - il giorno successivo all'omicidio del PERI - D'AMORE MARIA denunziava la scomparsa del marito LO IACONO CARMELO il quale, allontanatosi di casa verso le ore 7 del giorno prima, a bordo della sua auto MINI MINOR, non aveva più fatto ritorno a casa.

La donna riferiva che il marito era uscito per recarsi in via Messina Marine per eseguire dei lavori nella loro casa vicino al mare, promettendo di far ritorno a casa verso le ore 9,30.

Non vedendolo rientrare, si era recata in detta casa e, dai vicini, aveva appreso che il marito ne era uscito verso le ore 9, salendo poi sulla citata MINI MINOR.

Strano ed angosciante destino quello che aveva avvicinato il 6 giugno il PERI ed il LO IACONO, sulla sorte dei quali doveva far luce il SINAGRA con le sue rivelazioni.

Sin dal primo istante, infatti, il SINAGRA riferiva che nell'estate del 1982 SENAPA PIETRO e MARCHESE ANTONINO avevano avuto incarico da FILIPPO MARCHESE di prelevare un uomo e portarglielo "vivo".

"I due" racconta il SINAGRA, "presero quell'uomo, ma mentre lo stavano portando dal MARCHESE sulla macchina ebbero un incidente con un ex poliziotto il quale li inseguì. Il MARCHESE (ANTONINO) allora, fermata la macchina, sparò ed uccise l'ex poliziotto, mentre il SENAPA uccise l'uomo sequestrato che tentava di scappare.

Il cadavere di quest'uomo fu gettato nell'acido, ma forse perché questo non era buono la salma restò pressoché integra. Allora mio cugino ed il ROTOLO mi fecero chiamare, ed insieme ad una persona che ritengo sia il proprietario della campagna dove prima era stato portato il cadavere, portammo la salma a Sant'Erasmo. A buttarlo a mare con una barca fummo io e mio cugino VINCENZO".

Si accertava, quindi, che il PERI era un carabiniere in congedo e che l'uomo scomparso il 6 giugno mentre era a bordo della sua MINI MINOR era LO IACONO CARMELO.

Il racconto di Sinagra

Successivamente, nell'interrogatorio reso al P.M. in data 1.12.83, il SINAGRA riferiva più dettagliatamente l'accaduto nei seguenti termini: "Una domenica della primavera-estate 1982 e circa tre o quattro mesi prima che mi arrestassero, verso le ore 10-10,30 mio cugino VINCENZO venne a casa mia e mi invitò a seguirlo perché bisognava far sparire un corpo; mi disse di vestirmi da fatica perché c'era la possibilità di sporcarsi. Con lo stesso mi recai nella villa di cui ho parlato in fondo la via Giafar. Strada facendo mio cugino mi informo' che MARCHESE FILIPPO aveva ordinato a SENAPA PIETRO ed a MARCHESE ANTONINO di sequestrare e portargli vivo un giovane di cui conosco il nome, che bazzicava nella piazza Torrelunga.

I due a bordo della stessa macchina del predetto giovane sequestrato una MINI MINOR, nell'effettuare manovra in piazza Torrelunga impattarono in un'autovettura posteggiata il cui proprietario, che si trovava nei pressi, si accorse del fatto e cominciò ad inseguirli con la stessa macchina, forse per lamentarsi dell'accaduto. Il MARCHESE ANTONINO, dopo un po' ritenendo di potere essere conosciuto fece fermare l'auto e disceso si avvicinò all'inseguitore e lo uccise a colpi di pistola.

Ciò accadde nella via che porta verso lo Sperone da piazza Torrelunga e la vittima come poi ho saputo era un ex poliziotto forse in pensione che abitava nella zona. Durante tale omicidio il giovane sequestrato si ribellò al SENAPA cercando di fuggire ma venne ucciso a colpi di pistola dallo stesso SENAPA all'interno della macchina.

Il cadavere fu portato al MARCHESE che si adirò moltissimo dato che lo voleva vivo e poi per eliminarlo lo fece mettere in un bidone di acido. Poiché questo non era di buona qualità il corpo non era stato dissolto ed il nostro compito era di eliminare i resti in un altro modo. Cosi' dopo esserci infilati dei guanti di plastica rovesciammo a terra il bidone al quale era difficile avvicinarsi per i vapori soffocanti e, dopo aver atteso che l'acido fosse assorbito dalla terra che vi abbiamo buttato sopra, abbiamo prelevato i resti in gran parte consumati e li abbiamo messi dentro un sacco di plastica che, come al solito, e' stato legato ad un vecchio "comune" e gettato al mare al largo del Porto. A tale operazione partecipai io stesso insieme ai miei cugini ed a ROTOLO SALVATORE.

All'inizio dell'operazione assistette anche personalmente MARCHESE FILIPPO che era in compagnia di BAIAMONTE ANGELO e di un'altra persona che credo fosse il proprietario della villa ed era un uomo snello, alto, con i capelli all'indietro lisci e brizzolati dell'età di circa 45-50 anni. Mi sorpresi dell'assenza di SENAPA PIETRO e MARCHESE ANTONINO che mi fu spiegata con la necessita' di cambiarsi perché sporchi di sangue, anzi fu per tale ragione che si rivolsero a me".

La moglie del LO IACONO - D'AMORE MARIA - dichiarava di non conoscere gli imputati cui si dava carico dell'omicidio. Ammetteva, però, che il marito "bazzicava" la zona di Corso dei Mille quando non lavorava. […] I congiunti del PERI confermavano sostanzialmente quanto già detto alla Squadra Mobile riaffermando che sulla MINI MINOR che aveva tamponato quella della vittima vi erano due persone, e che colui che aveva materialmente sparato era, poi, passato su una FIAT 850 bianca. È, quindi, probabile, che il LO IACONO fosse stato posto sui sedili posteriori e li' tenuto - come in tanti altri sequestri - sotto la minaccia di un'arma. [...].

Testi tratti dall'ordinanza del maxi processo

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