Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie si focalizza sulla relazione della Commissione parlamentare antimafia della XV° legislatura con presidente Francesco Forgione che per la prima volta ha dedicato un'inchiesta interamente sulla ndrangheta, tra le mafie più temute al mondo, per capirne la nascita, lo sviluppo e la struttura.

Milano e la Lombardia rappresentano la metafora della ramificazione molecolare della ‘ndrangheta in tutto il nord, dalle coste adriatiche della Romagna ai litorali del Lazio e della Liguria, dal cuore verde dell’Umbria alle valli del Piemonte e della Valle d’Aosta.

Di questi insediamenti è utile fornire alcuni brevi spaccati, tutti legati ferreamente a doppio filo con i territori d’origine com’è caratteristica della ‘ndrangheta e come indicato dalla ricostruzione della mappa delle famiglie in altra parte di questa relazione.

Il 13 gennaio 1994 nel corso dell’XI Legislatura la Commissione Parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia approvava la relazione sugli insediamenti e le infiltrazioni di organizzazioni di tipo mafioso in aree non tradizionali, le principali regioni del Nord e del Centro Italia.

La relazione si collocava contestualmente in quella stagione straordinaria di lotta alla mafia che, soprattutto in Lombardia, aveva visto la disarticolazione di intere organizzazioni a seguito di operazioni di polizia coordinate dalle Procure Distrettuali che avevano portato all’arresto, e quasi sempre alla condanna, di migliaia di appartenenti a gruppi criminali soprattutto affiliati alla ‘ndrangheta.

La relazione già evidenzia come in Lombardia la ‘ndrangheta era l’organizzazione più potente, cita i risultati di operazioni quali Wall Street e Nord-Sud che allora erano in pieno svolgimento e che, insieme alle successive, in particolare l’operazione Count Down dell’ottobre 1994 e l’operazione Fiori della Notte di San Vito, del novembre 1996, riguardante il clan Mazzaferro,sono sfociate nei grandi dibattimenti sino ai primi anni del 2000 che si sono conclusi con centinaia di condanne.

Le inchieste degli Anni Novanta

Si può affermare che con tali operazioni è stata quasi eliminata la componente militare di imponenti organizzazioni, dai soldati fino ai generali, e sono stati “riconquistati” dalle forze dello Stato territori che erano fortemente condizionati da cosche come quelle di Coco Trovato nel lecchese, i Morabito-Palamara-Bruzzaniti e i Papalia-Barbaro-Trimboli.

Da allora nessun’altra indagine approfondita di impulso parlamentare si è occupata degli insediamenti mafiosi in Lombardia nonostante il nord del paese e Milano siano stati investiti da grandi processi di trasformazione economici e sociali, di deindustrializzazione di intere aree e periferie urbane e, in questi cambiamenti, le mafie abbiano riguadagnato silenziosamente ma progressivamente terreno.

Le ‘ndrine sono state in grado di recuperare il terreno perduto grazie ad una strategia operativa che ha evitato manifestazioni eclatanti di violenza, tali da attirare l’attenzione e divenire controproducenti, attuando piuttosto un’infiltrazione ambientale anonima e mimetica tale da destare minor allarme sociale e da far assumere alle cosche e ai loro capi le forme rassicuranti di gestori e imprenditori di attività economiche e finanziarie del tutto lecite.

In tal modo si è realizzato un controllo ambientale che, in sentenze già passate in giudicato, è stato definito “selettivo” e cioè strettamente funzionale nel suo “stile” al raggiungimento degli scopi del programma criminoso in un’area geografica giustamente ritenuta diversa per cultura, mentalità e abitudini rispetto a quella di origine.

Non per questo un controllo meno pericoloso in quanto più idoneo, proprio per la sua invisibilità, a rimanere occulto e ad essere meno oggetto di risposte tempestive da parte delle forze dell’ordine e della società civile.

La strategia di “inabissamento” di queste cosche invisibili che sono riuscite a riprodursi nonostante i colpi loro inferti dalle grandi indagini degli anni ’90 è stata favorita da un insieme di condizioni.

In sintesi i fattori che negli ultimi anni hanno giocato a vantaggio delle cosche operanti in Lombardia possono essere i seguenti: - la capacità delle cosche, e soprattutto quelle calabresi per la loro strutturazione familistica di tipo orizzontale, di rigenerarsi tramite l’entrata in gioco di figli e familiari di capi-cosca arrestati e condannati all’ergastolo o a pene elevatissime a seguito dei processi degli anni ’90.

In pratica ogni cosca, da quella di Coco Trovato a quella di Antonio Papalia a quella dei Sergi, ha visto il formarsi, sotto la guida dei capi detenuti, di una nuova generazione; - le scarse risorse specializzate messe in campo dallo Stato in Lombardia e in genere nel Nord-Italia per combattere la mafia. Basti pensare ad un distretto come quello di Milano che comprende anche città con forte presenza mafiosa come Como, Lecco, Varese e Busto Arsizio, con le forze in campo costituite da poco più di 200 uomini: 40 uomini del Ros carabinieri, 50 uomini del Gico, 55 dello Sco della Polizia di stato cui si aggiungono 68 uomini della Dia che ha competenza peraltro su tutta la Lombardia; - l’insufficienza di uomini, più volte denunziato dai rappresentanti della Dda è pari all’insufficienza di mezzi, causa spesso del rallentamento di alcune indagini; - altro elemento che ha influito soprattutto nell’opinione pubblica è rappresentato dall’esplosione, negli ultimi anni, del tema della percezione della sicurezza che, soprattutto in un’area come Milano e il suo hinterland ha spostato l’attenzione sulla microcriminalità in genere collegata alla presenza di stranieri e di altri soggetti operanti sul terreno della devianza sociale.

E ciò, nonostante l’incessante lavoro e i risultati importanti ottenuti dalla Dda. In questo contesto di “disattenzione” le cosche hanno scelto come sempre le attività criminose più remunerative con minori rischi e hanno evitato, per quanto possibile ma con successo, le faide interne e i regolamenti di conti che avevano preceduto soprattutto con sequele impressionanti di omicidi le indagini degli anni ’90 e che avevano avuto l’effetto di suscitare un immediato e controproducente allarme sociale.

Del resto in una metropoli come Milano in cui, secondo le statistiche, circa 120.000 milanesi fanno uso stabile o saltuario di cocaina, c’è “posto per tutti” ed è stato possibile, per i vari gruppi attuare una divisione del mercato e del lavoro in grado di soddisfare tutti senza concorrenze sanguinose, dall’acquisto delle grosse partite sino alla rivendita nelle varie zone.

Le numerose operazioni condotte dalle forze dell'ordine e dalla magistratura hanno consentito di delineare un quadro della criminalità organizzata, prevalentemente di matrice calabrese, presente sul territorio lombardo.

Le cosche ivi operanti, sviluppatesi con i tratti tipici della malavita associata negli anni '70, presentano una struttura costante, caratterizzata da un nucleo di persone legate strettamente tra loro da vincoli di parentela, spesso formalmente affiliate alla 'ndrangheta, a cui si affianca una base numericamente più ampia con funzioni esecutive, che assicura un apporto continuo nella realizzazione degli obiettivi criminali.

Malgrado il contatto con realtà diverse, i componenti di questi gruppi hanno mantenuto le peculiarità comportamentali e gli atteggiamenti culturali della criminalità organizzata calabrese.

Il radicamento delle cosche

La Lombardia è da sempre retroterra strategico dei più importanti sodalizi criminali calabresi e gli eventi registrati offrono ulteriori riscontri per quanto concerne la massiccia presenza nella regione di soggetti legati alla ‘ndrangheta, con interessi, come si vedrà, principalmente nel settore del traffico di stupefacenti, nella gestione dei locali notturni e nell’infiltrazione all’interno dell’imprenditoria edilizia.

Anche per la ‘ndrangheta, sul territorio lombardo, prevale una strategia di un basso profilo di esposizione, pur non mancando atti violenti, quali l’agguato in viale Tibaldi di Milano, dell’aprile 2007, ove un pregiudicato calabrese è stato ferito con colpi di arma da fuoco per motivi forse correlabili alle attività illegali del caporalato, che sembra costituire un mercato in espansione per la ‘ndrangheta.

Non sono neppure mancati episodi estorsivi, che hanno coinvolto pregiudicati di origine calabrese, con interessi nel campo dell’edilizia a Caronno Pertusella (Va). Tuttavia l’aspetto militare, pur se cautelativamente messo in sonno, non è certo stato abbandonato dalla strategia dei gruppi calabresi e si ha almeno un esempio di tale potenzialità dal sequestro di un imponente arsenale a disposizione della ‘ndrangheta calabrese rinvenuto in un garage di Seregno nell’ambito dell’operazione “Sunrise” nel giugno 2006.

L’arsenale era a disposizione di Salvatore Mancuso e del suo gruppo appartenente al clan di Limbadi (Vv) da tempo sbarcato in Brianza.

Un vero e proprio deposito di armi micidiali: kalashnikov, mitragliatori Uzi, Skorpion, munizioni e cannocchiali di precisione, bombe a mano. Le attività criminali accertate sono state le truffe, il traffico di droga e l’associazione a delinquere finalizzata all’usura. Il prosieguo dell’indagine consentiva l’ulteriore arresto complessivamente di 32 persone, originarie del Vibonese, indiziate di traffico di droga, usura e truffe.

Le attività usurarie venivano praticate attraverso un membro dell’organizzazione, titolare di imprese edili ed altre società, che erogava a imprenditori in difficoltà prestiti con interessi fino al 730 per cento. Le truffe avvenivano, con meccanismi complessi di mancati pagamenti, ai danni di società di lavoro interinale, conseguendo illeciti introiti per oltre 800 mila euro.

Le indagini hanno messo in luce anche un elevatissimo gettito, proveniente dalle attività estorsive e valutato in circa 3 milioni di euro.

Da quanto detto consegue che l’attività assolutamente prevalente, quella che si potrebbe dire di “accumulazione primaria”, rimane l’introduzione e la vendita di partite di sostanze stupefacenti, in assoluta prevalenza cocaina, canalizzate in Italia tramite i contatti anche stabili e “residenziali” delle cosche con i fornitori operanti nell’area della Colombia e del Venezuela.

In questo campo l’attività di contrasto è stata in grado in questi ultimi anni di assestare alla “nuova generazione” delle cosche alcuni colpi importanti che tuttavia, data l’enorme estensione del mercato e l’enormità dei guadagni e dei ricarichi, sono passibili di essere riassorbiti dai gruppi come una sorta di rischio d’impresa in termini di perdita temporanea di uomini e di guadagni.

Tra le operazioni condotte con successo si può citare la “Caracas Express” eseguita dalla squadra mobile di Milano che ha portato all’emissione di 47 ordini di custodia nei confronti di appartenenti al clan di Rocco Molluso e Davide Draghi di Oppido Mamertina appartenente all’area dei Barbaro-Papalia ed operante in particolare nella fascia Sud-est di Milano.

Il narcotraffico

La potenzialità di mercato di tale gruppo, che dà il senso dell’entità complessiva dello spaccio di cocaina a Milano, era evidenziata dall’acquisto e dalla rivendita ogni mese di 20 chili di cocaina purissima proveniente dal Sud America.

Sui rapporti tra la ‘ndrangheta e i cartelli colombiani produttori di cocaina, sono importanti i riscontri dell’Operazione “Stupor Mundi”, conclusasi nel mese di maggio 2007 a Reggio Calabria con l’emissione di 40 arresti. La dimensione del traffico era desumibile dalla dimostrata capacità degli arrestati di acquistare partite, fino a tremila chili, di stupefacente allo stato puro, direttamente dalla Colombia.

La cocaina sequestrata nel corso dell’operazione aveva un valore sul mercato di circa 60 milioni di euro. Venivano accuratamente ricostruite le rotte dei traffici di cocaina che, partendo dal Sud America, ed in particolare dalla Colombia, giungevano, attraverso l’Olanda, soprattutto in Piemonte ed in Lombardia.

Estremamente significativa dell’incidenza del monte di affari prodotti dai traffici di cocaina è il riciclaggio in attività imprenditoriali e la capacità di gruppi con i propri capi condannati all’ergastolo di rimpadronirsi in pochi anni del territorio. Lo ha dimostrato l’indagine “Soprano” che ha visto nel dicembre del 2006 l’arresto, ad opera della Polizia di stato e della Guardia di Finanza, di 37 persone appartenenti alla famiglia Coco Trovato.

Tale famiglia nonostante la condanna all’ergastolo dei capi Franco Coco Trovato e Mario Coco Trovato è riuscita infatti a rioccupare il territorio di influenza, e cioè quello di Lecco, grazie alla discesa in campo e alla reggenza di figli, nipoti e consanguinei indicati nell’ordinanza di custodia cautelare. [...] Uno spaccato particolare è rappresentato da Quarto Oggiaro, il quartiere popolare da sempre tra i più degradati della periferia nord-ovest di Milano.

Una vera e propria zona franca per l’illegalità, con settecento delle quattromila case popolari gestite dalla Aler, l’ente comunale milanese che amministra il patrimonio edilizio pubblico, occupate abusivamente e con l’accesso controllato direttamente dagli uomini della ‘ndrangheta.

In questo territorio, suscitando grande clamore sui media locali, nell’estate del 2007 è ricomparso in forze il gruppo Carvelli di Petilia Policastro (Kr), anch’esso colpito dalle indagini degli anni ’90 ma ugualmente riuscito a riprodursi. Alcuni interventi di polizia hanno fatto emergere un vero e proprio controllo militare dello spaccio tra i casermoni del quartiere con file di acquirenti che si presentavano praticamente alla luce del sole nei vari punti dove operavano gli spacciatori stabilmente presidiati da chi era addetto alla guardia e al rifornimento.

Risale allo stesso mese di agosto 2007, e cioè poco dopo il fallito tentativo di “bonifica” di Quarto Oggiaro, l’omicidio proprio di Francesco Carvelli figlio dell’ergastolano Angelo Carvelli e nipote del sorvegliato speciale Mario Carvelli, considerato l’attuale padrone del quartiere.

Il regolamento di conti, uno dei non numerosi verificatisi negli ultimi anni, risponde con ogni probabilità ad una logica di assestamento dei rapporti tra i vari gruppi operanti nell’area.

L’enorme liquidità in eccesso prodotta dai traffici di cocaina e in misura minore ma significativa dalle estorsioni viene canalizzata, secondo i dati che provengono dalle principali strutture investigative e fra di esse la Dia, in alcuni settori produttivi ed economici attraverso imprese apparentemente legali.

Si tratta del settore dell’edilizia nel quale va compreso sia a Milano sia nell’hinterland quello degli scavi e del movimento terra, delle costruzioni vere e proprie, sino all’intermediazione realizzata da agenzie immobiliari collegate, del settore ristoranti e bar, del settore delle agenzie che forniscono addetti ai servizi di sicurezza, soprattutto per locali pubblici e discoteche; del settore dei servizi di logistica, cioè il facchinaggio e la movimentazione di merci, con la gestione di società cooperative, come quelle controllate dalle cosche presso l’Ortomercato di Milano.

Storicamente, però, per le cosche calabresi l’edilizia rappresenta il settore primario che consente, fra l’altro, di utilizzare anche mano d’opera a bassa specializzazione e di sviluppare e controllare fenomeni quali il caporalato delle braccia.

Questa attività criminale sfrutta da anni manodopera clandestina giunta sulle coste crotonesi e catanzaresi con le carrette del mare e fatta fuoriuscire dai Cpt di Crotone e Rosarno. Anche nell’edilizia non mancano le estorsioni in danno di concorrenti o di imprese riottose.

Lo testimoniano incendi in cantieri o danneggiamenti di attrezzature che vengono segnalati soprattutto nell’hinterland. Tuttavia persino le minacce estorsive non sono necessarie quando, come nella maggioranza dei casi, si verte in realtà in una situazione di completo monopolio ed in ampie zone della Brianza o del triangolo Buccinasco-Corsico-Trezzano non è nemmeno pensabile che qualcuno con proprie offerte o iniziative “porti via il lavoro” alle cosche calabresi che hanno le loro imprese diffuse sull’intero territorio. Con i quali poi vengono pagate le reciproche prestazioni, hanno la possibilità di nascondere l’origine di somme provenienti dai traffici illeciti e di ottenere in modo abbastanza semplice flussi di denaro pulito.

In questo senso appare pienamente condivisibile il giudizio finale formulato dal responsabile della Dda presso la Procura di Milano secondo cui in settori come quello dell’edilizia non è nemmeno necessaria l’intimidazione diretta poiché è sufficiente l’intimidazione “percepita”, cioè quella non esercitata con minacce aperte ma con la semplice “parola giusta al momento giusto”.

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