Su Domani prosegue il Blog mafie, da un'idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l'associazione cosa vostra. In questa serie, seguiamo gli sviluppi del processo Borsellino quater, dopo la strage di via d'Amelio: uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana.

In premessa all’esame degli elementi a carico di Calogero Pulci, si deve necessariamente accennare all’iter processuale che portava, con il contributo determinante delle sue dichiarazioni, alla condanna all’ergastolo, nell’ambito del processo c.d. Borsellino bis, di Gaetano Murana, per concorso nella strage di via Mariano D’Amelio del 19 luglio 1992.

Il dato di partenza è l’assoluzione di Murana dalla predetta accusa, all’esito del primo grado di giudizio, poiché, come per altri suoi coimputati (Vernengo Cosimo, Natale Gambino, La Mattina Giuseppe ed Urso Giuseppe), la Corte d’Assise di Caltanissetta riteneva carenti i necessari riscontri individualizzanti alle dichiarazioni di Scarantino Vincenzo, in base alle quali (in sintesi):

  •  Murana era presente, al pari di Scarantino alla riunione tenutasi nella villa di Calascibetta, dove rimanevano all’esterno del salone;
  • Murana si attivava, assieme a Scarantino, per portare la Fiat 126 nel garage di Orofino, il venerdì prima della strage ed era presente anche nel momento del caricamento dell’autobomba, presso detta officina, all’esterno dell’immobile, impegnato, come Scarantino, nell’attività di pattugliamento, durante il caricamento;
  • Murana partecipava anche al trasferimento dell’autobomba a piazza Leoni, la domenica mattina del 19 luglio 1992, con la sua autovettura (Opel o -come emerso dietro contestazione, in quel processo- Fiat 127 azzurra).

Come anticipato, a giudizio della Corte d’Assise, gli ulteriori elementi addotti a sostegno della responsabilità di Gaetano Murana, riguardavano (esclusivamente) il fatto nella sua materialità, giacché non vi era alcun altro collaboratore di giustizia che lo indicasse (direttamente, oppure de relato) come partecipe alla strage di via D’Amelio; la ritenuta appartenenza dello stesso alla ‘famiglia’ mafiosa della Guadagna, infatti, era una circostanza oggettivamente diversa ed ulteriore rispetto alla sua chiamata in correità per la strage, che non costituiva un elemento logico di riscontro, estrinseco ed individualizzante, rispetto al predetto ruolo materiale delineato da Vincenzo Scarantino.

La condanna all'ergastolo

Ebbene, i giudici del secondo grado (come per altri imputati di quel processo), ribaltavano quel giudizio, condannando Gaetano Murana alla pena dell’ergastolo, ritenendolo colpevole di concorso nella strage e negli ulteriori delitti connessi. A detta conclusione, la sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Caltanissetta n. 5/2002, emessa il 18 marzo 2002, perveniva dopo l’esame di Calogero Pulci - un appartenente a Cosa Nostra della provincia di Caltanissetta, già autista personale e uomo di fiducia del rappresentante provinciale Madonia Giuseppe (inteso “Piddu”) - che iniziava a collaborare con la giustizia nei mesi successivi alla pronuncia della sentenza di primo grado del processo c.d. Borsellino bis. Proprio le dichiarazioni inedite di Pulci sul conto di Gaetano Murana permettevano ai giudici di secondo grado di acquisire quel riscontro estrinseco ed individualizzante alla chiamata in correità di Vincenzo Scarantino, che mancava in primo grado.

Nel processo d’appello, infatti, Pulci spiegava che era stato detenuto nel carcere di Caltanissetta con lo stesso Murana, nel 1998-1999, all’epoca della celebrazione del secondo processo, di primo grado, per la strage di via D’Amelio, e che, in un colloquio avvenuto nell’ora d’aria, aveva rimproverato Murana per la leggerezza commessa dagli uomini d’onore della sua famiglia, nella realizzazione dell’eccidio, poiché avevano affidato un incarico così delicato ed importante “allo Scarantino di turno”. Murana -a dire del Pulci- si era difeso dall’accusa, senza negare il ruolo della sua famiglia nella realizzazione della strage, ma evidenziando il ruolo del tutto marginale di Scarantino, esclusivamente utilizzato per il furto della Fiat 126, commissionatogli da Salvatore Profeta, suo cognato e uomo d’onore della predetta famiglia.

In particolare, lo scambio di battute fra Pulci e Murana veniva giudicato, dalla Corte d’Assise d’Appello, sufficiente ad offrire adeguato riscontro estrinseco ed individualizzante alle accuse di Vincenzo Scarantino sul diretto protagonismo di Murana nella preparazione della strage, poiché il collaboratore di giustizia evidenziava -per la prima volta, proprio nell’esame dibattimentale in quel processo (sebbene avesse già reso dichiarazioni agli inquirenti, sul punto)- come Murana gli avesse spiegato che “il lavoro lo avevamo fatto noi della Guadagna”.

Le false dichiarazioni di Pulci 

Prima di proseguire nell’analisi della posizione dell’imputato, si riporta uno stralcio delle sue dichiarazioni rese nell’udienza dibattimentale del 7 marzo 2001, nell’ambito del processo d’appello c.d. Borsellino bis:

[...]

P.G. dott.ssa ROMEO: - Senta, e con Murana avete avuto occasione di discutere delle vostre... delle rispettive posizioni processuali?

PULCI CALOGERO: - La prima cosa che feci quando incontrai Murana, come e' mio carattere o vizio, come si puo' definire, poi ognuno lo definisce come meglio crede, io quando incontro una persona che conoscevo da fuori dentro il carcere faccio finta di non incontra... di non conoscerla, per vedere la reazione che fa. Cosa che feci con Scianna e cosa che feci con Murana. Quando lo feci con Murana Murana si spavento' e ando' da Scianna, dici: "Ma che c'ho fatto io a Pulci, che non mi saluta, che non mi ha salutato?". Scianna dice: "Ma che ne so io, puo' essere che magari non si ricorda di te", dici: "Come non si ricorda di me? Ci siamo visti tante volte". Tra l'altro una volta ero rimasto in panne sull'autostrada, proprio mentre andavo da Madonia, e fui soccorso dallo stesso Murana; cioe', ci conoscevamo bene. E allora si chiari', c'ho detto: "Sai, devi scusarmi, io non... sai con la testa da quando mi hanno sparato tanta... tanto bene non ci sto" ed e' finita la prima discussione. Io volevo vedere la reazione, la reazione che aveva lui era spaventata, poi chiacchierando chiacchierando... perche' se siamo in un carcere di 416 bis si chiacchiera di come taglieggiare a Tizio, a Caio o di come abbiamo taglieggiato all'altro, di come abbiamo ammazzato a questo e a quello; se siamo in un carcere di collaboratori, dove ora io mi trovo, si parla: "Quello ha accusato a quello". Cioe' ogni status che ha un detenuto parla dell'oggetto perche' e' detenuto. (…) Comunque, a Murana chiacchierando chiacchierando lo rimproverai, ci dissi: "Ma che razza di gente siete? - dico - Come, vi fidate di un Scarantino del genere pi' iri a fare un travagliu cosi' delicato? Ma veramente scimuniti siti dducu a Palermo?" e lui mi disse, dici: "Ma Scarantino - dici - non c'entra niente, Scarantino solo ci ha procurato la macchina, quello che ha detto Scarantino gliel'hanno fatto dire gli sbirri". Io non c'ho voluto dire niente per non mi litigare, ma mi fece... mi pose la domanda, poiche' io idiota non ci sono o almeno non mi ci sento, posso anche esserci ma io non me ne accorgo; ma scusa, gli sbirri non e' che ti possono raccontare una cosa che non sanno perche' Scarantino gliela racconta dettagliatamente? Gli sbirri possono avere l'idea di chi l'ha fatto, ma non del racconto, di come sono avvenute le cose. Comunque, io ho tagliato e l'ho allontanato; lo salutavamo ed e' finita li' la storia con Murana.

[…]

P.G. dott. FAVI: - Signor Pulci, proseguo io ora il suo esame. Senta, vorrei che lei tornasse con la mente nuovamente al colloquio, diciamo al discorso, al colloquio che lei ebbe con Murana, perche' vorrei qualche maggiore dettaglio su questo colloquio. In sostanza Murana che ruolo attribuiva a Scarantino?

PULCI CALOGERO: - In sostanza Murana a me mi disse, giustificandosi, perche io lo aggredii offendendolo, perche' nel nostro gergo dirci a uno: "Ma che razza di gente siete?" e' come dirci sbirri, e dire sbirro a un uomo di "Cosa Nostra" e' la peggiore parola che uno ci puo' dire. Io invece di dirglielo cosi' chiaro, sbirro, gliela girai in un altro modo che lui lo capi', "Che razza di gente siete che vi siete portati a Scarantino, allo Scarantino di turno?". E li' lui cerco' di giustificare il ruolo marginale che ebbe lo Scarantino. In sostanza lui non e' che lo ha escluso che Ma... Scarantino abbia avuto un ruolo, lui lo esclude nel ruolo della strage materiale, ma lui giustificava dicendo che era il cognato che aveva partecipato alla strage, e che lui gli aveva procurato l'auto. Perche' lo Scarantino era, diciamo, ladro d'auto, cioe' un ladro di polli, non era un uomo d'onore. A questa risposta io gli domandai: "Ma scusi, Scarantino che ha da un anno - o due che aveva, ora in questo momento con la testa tanto bene non ci sono - parlava e tutti i detenuti seguiamo la cronaca tra i giornali e la televisione, che raccontava minuziosamente i luoghi, la riunione, la casa di quello, la casa dell'altro; scusami, gli sbirri come gliela potevano fare una ricostruzione del genere se non sapevano neanche che doveva succedere l'omicidio Borsellino?". Cioe', questo io non glielo dissi, altrimenti non lo dovevo salutare piu' poi, cioe' entravamo in una discussione che poi ci dovevamo litigare.

[…]

P.G. dott. FAVI: - Benissimo. Signor Pulci, che discorso esattamente le fece Murana?

PULCI CALOGERO: - Cioe', Murana mi disse che "il lavoro lo avevamo fatto noi della Guadagna", "noi". Lui e' della Guadagna pure; non l'avevano fatto loro, "l'avevamo fatto noi" e Scarantino aveva avuto solo il ruolo tramite il cognato di fornire la Fiat 126, quella che era, l'autovettura. Praticamente se lo da' il ruolo Murana...

P.G. dott. FAVI: - Va bene.

PULCI CALOGERO: - ... dicendomi: "L'abbiamo fatto noi della Guadagna".

P.G. dott. FAVI: - Benissimo, signor Pulci, un momento ancora. In sostanza Murana sosteneva che le dichiarazioni di Scarantino erano state suggerite dagli sbirri; ma dava giudizi sul contenuto di queste dichiarazioni? Diceva che gli sbirri gli avevano fatto dire cose false o cose vere?

PULCI CALOGERO: - Cioe', di... a me mi disse che gli sbirri gli fecero fare la ricostruzione del racconto di... di Scarantino; ma mi misi a ridere e tagliai, "Ma scusa, li sbirri cumu ti punnu ricostruire una cosa che non sanno?". Cioe', lui come si giustifico': "Quello che dice Scarantino e' vero, ma pero' gliel'hanno suggerito gli sbirri".

P.G. dott. FAVI: - Benissimo, era quello che volevo sentire.

PULCI CALOGERO: - Cioe', non dice: "Scarantino mente", "Scarantino dice il vero, pero' gliel'hanno suggerito gli sbirri" dice Murana a me.

P.G. dott. FAVI: - Benissimo. PULCI CALOGERO: - E Murana a me mi dice: "Il lavoro l'abbiamo fatto noi della Guadagna".

P.G. dott. FAVI - Si'. Senta, una domanda su un punto specifico: Murana dichiarava che Scarantino era uomo d'onore o no?

PULCI CALOGERO: - No, su questo termine non ci siamo arrivati, non gliel'ho chiesto, perche' c'ho detto: "Che razza di gente vi portate?"; poi, che fa, gli chiedo: "E' un uomo d'onore?"? Quando lui tra l'altro dice che ha fatto il favore al cognato, ma che e' il cognato l'uomo d'onore.

[…]

A prescindere dalla progressività accusatoria delle predette dichiarazioni (comunque, alquanto sospetta, alla luce di quanto infra esposto), la palese falsità della confidenza carceraria di Murana a Pulci, anche in ordine al furto dell’autobomba da parte di Vincenzo Scarantino, emerge innanzitutto da quanto ampiamente accertato nel presente procedimento, in seguito alla collaborazione di Gaspare Spatuzza ed alla conseguente ricostruzione del segmento relativo al furto ed allo spostamento della Fiat 126 (oltre che alla sottrazione delle targhe da apporre sulla stessa), con il protagonismo della famiglia mafiosa di Brancaccio.

Infatti, alla luce di quanto esposto in altra parte della motivazione sulla fase preparatoria ed esecutiva della strage di Via D’Amelio, è impossibile credere che Murana -da quanto emerso nel presente processo, assolutamente estraneo al furto ed allo spostamento della Fiat 126- abbia confidato a Pulci quanto sopra riportato.

Anche a ritenere che appartenenti alla famiglia della Guadagna abbiano gestito altre fasi della strage di via D’Amelio (sulle quali permangono molte zone d’ombra), sarebbe comunque inspiegabile la rivelazione del Murana in merito ad un ruolo (come detto, inesistente) di Vincenzo Scarantino, per sottrarre la Fiat 126 di Pietrina Valenti, su incarico del cognato, Salvatore Profeta.

Una valida chiave di lettura delle predette dichiarazioni di Calogero Pulci è offerta dall’analisi del suo percorso di collaboratore della giustizia, affatto peculiare e discutibile. Si deve, innanzitutto, rilevare (senza alcuna pretesa di completezza, considerato che, in più occasioni, il suo contributo veniva riconosciuto come attendibile e rilevante, oltre che degno del riconoscimento dell’attenuante speciale della c.d. dissociazione attuosa, nei processi celebrati a suo carico) che, a dire dello stesso imputato, la sua collaborazione con la giustizia, all’epoca delle dichiarazioni rese su questi fatti, era ancora parziale e reticente (ad esempio, sull’omicidio di Filippo Cianci, che l’imputato ammetterà solamente a partire dal settembre 2001, dopo la morte del padre, che forniva le armi ai killers).

Peraltro, anche sul momento in cui Pulci passava da una collaborazione parziale ad una piena apertura all’autorità giudiziaria (almeno a suo dire), si registra una evidente oscillazione dichiarativa da parte dell’imputato. Sul punto, ci si limita a rilevare che Pulci (catturato, il 3 giugno 1994, a Grenoble in Francia e, successivamente, estradato in Italia), pur avendo manifestato la sua volontà di collaborare con l’autorità giudiziaria, sin dal novembre del 1999 (le misure di protezione venivano adottate ad aprile del 2000), veniva successivamente attinto da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per associazione mafiosa, commessa anche da collaboratore, fino al settembre 2001 (vale a dire l’epoca in cui egli firmava i verbali illustrativi, in data 20 settembre 200184): per tale addebito, egli veniva catturato il 24 febbraio 2001 (dopo la richiesta di revoca, pochissimi giorni prima, delle misure di protezione) e, poi, condannato, con sentenza definitiva, in continuazione con analogo reato precedente, a tre anni di reclusione, poi ridotti -in appello- ad un anno e dieci mesi (cfr. sentenza Tribunale Collegiale Caltanissetta 20.11.200285). Dunque, in base a quanto definitivamente accertato, con il crisma dell’irrevocabilità, all’epoca delle dichiarazioni delle quali Pulci risponde in questa sede (tempus commissi delicti: 7 marzo 2001), l’imputato era appartenente al sodalizio mafioso di Cosa Nostra. E’ quindi ravvisabile nelle sue dichiarazioni, aventi un preciso effetto di depistaggio, una specifica funzionalità rispetto a finalità e logiche mafiose.

© Riproduzione riservata