Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. In questa serie, la grande caccia ai mafiosi dopo la cattura di Totò Riina. Uno dei magistrati è Alfonso Sabella. Le indagini sono diventate poi un libro, “Cacciatore di mafiosi”.

Romeo è ormai inarrestabile. Ricorda e racconta. Ci conduce in un altro luogo dell'orrore. In un villino a Bolognetta, una ventina di chilometri da Palermo, di proprietà di Salvatore Giuliano, il padre di Francesco, quello dell'attentato alla Galleria degli Uffizi. Nella casa di campagna dei Giuliano c'è un'altra camera della morte, un «laboratorio» specializzato nello scioglimento dei cadaveri. Con un metodo davvero raccapricciante: i corpi vengono messi a bagno nell'acido, solitamente quello usato dai gioiellieri per pulire i metalli preziosi, un liquido biancastro come il latte, ma che, a contatto con un corpo umano, reagisce friggendo come olio bollente.

Per accelerare il dissolvimento, mi spiega Romeo, si usa mettere il cadavere in un fusto di lamiera sopra un grosso bruciatore a gas, del tipo di quelli adoperati normalmente per preparare la conserva di pomodoro. E si fa bollire. In questo modo si alza la temperatura dell'acido e i tempi di scioglimento si dimezzano. Un corpo arriva a sparire completamente - mi racconta Romeo con l'aria del chimico esperto - in tre o quattro ore, tempi che si abbassano ancora se, durante quella macabra bollitura, qualcuno rimescola con un bastone.

Alla fine non resta niente. Soltanto l'oro. Il contenuto del bidone viene disperso nel terreno e in superficie rimangono solamente la fede e le protesi dentarie che si usavano qualche tempo fa. Anello nuziale e denti vengono recuperati e distrutti a martellate.

Ma, si sa, il calcio in Italia qualche volta blocca gli orologi, il tempo. Soprattutto se gioca la Nazionale e se si disputa il campionato del mondo. Alla regola non sfuggono nemmeno i mafiosi. Così, in una di queste occasioni, con la partita che stava per iniziare, non avevano atteso che il cadavere del malcapitato di turno si dissolvesse completamente nell'acido. Non rimaneva altro da fare che spartirsi i pezzi di femore o di tibia residui per lanciarli, dalle auto in corsa, nelle scarpate della strada a scorrimento veloce prima di tornare a casa. Resti umani poi finiti chissà dove e che non ci è mai stato possibile recuperare.

Un'altra barbara prassi del gruppo di fuoco di Mangano era quella di rovistare tra le tasche della vittima e, con i soldi trovati, comprare qualcosa da mangiare nell'attesa dello scioglimento del cadavere. Giovanni Ciaramitaro, un collaboratore di giustizia affiliato allo stesso gruppo, mi ha raccontato che una volta lo avevano incaricato di andare in paese, a Bolognetta, a prendere qualche panino con i soldi sottratti a un giovane ladro appena strangolato. Tornato al villino aveva trovato Gaspare Spatuzza che mescolava con un manico di scopa nel bidone pieno d'acido e che, evidentemente affamato, gli aveva chiesto il panino: «Cu 'na manu manciava e cu l'avutra arriminava!». Con una mano mangiava e con l'altra rimestava!

Un elenco di soprannomi improbabili

Proprio spietati gli uomini di Mangano. Eppure i loro soprannomi sono così buffi, quasi spiritosi. Alcuni prendono spunto dalle loro caratteristiche fisiche: Giovanni Ciaramitaro, per la sua obesità, è detto 'U pacchiuni; Giorgio Pizzo è Topino per la morfologia del suo viso che ricorda quella del comune roditore; Gaspare Spatuzza, per l'incipiente calvizie, è 'U tignusu; Giovanni Garofalo, contrabbandiere e spacciatore, è Culo di paglia per il suo sedere un po' molle e sproporzionato; Luigi Giacalone, irsuto lupo di mare, è detto Barbanera, come il pirata; Salvatore Faia è Il gobbo, per un lieve difetto fisico; Giuseppe Orilia, esattore del pizzo, è detto 'U rollò, perché le numerose pieghe della sua corporatura richiamano l'omonimo indigeribile pezzo di rosticceria palermitana preparato con wurstel, pomodoro e qualcosa di simile alla mozzarella. Fifetto Cannella viene chiamato Castagna per la sua straordinaria somiglianza con il presentatore televisivo. Lo cattureremo solo il 24 aprile 1996 a conclusione di una fruttuosa indagine che i ragazzi della Criminalpol hanno voluto, appunto, denominare «Operazione Stranamore» alludendo proprio alla nota trasmissione di Alberto Castagna. Pietro Romeo, infine, è 'U pitruni, per l'assonanza con il suo nome di battesimo e per la sua massiccia mole e forza fisica; insomma, una sorta di «Cosa» dei Fantastici quattro. Altre volte i soprannomi si riferiscono a caratteristiche comportamentali o al ruolo svolto. Così Francesco Giuliano è detto Olivetti, come la nota marca di computer, per la sua precisione nello svolgere i compiti che gli assegnavano; Cosimo Lo Nigro è Bingo per la sua passione per le scommesse all'ippodromo; Pasquale Di Filippo, per i suoi modi un po' affettati, è La dama; Salvatore Grigoli, tiratore abilissimo, è Il cacciatore; Giuseppe Barranca, altro killer di punta del gruppo che arresteremo il 23 dicembre 1995 seguendo la sua donna, lo chiamano Ghiaccio per la sua freddezza nell'eseguire gli omicidi; Nino Mangano, reggente e contabile del mandamento di Brancaccio-Ciaculli, è ovviamente 'U signuri, mentre l'appellativo di Madre natura spetta, altrettanto ovviamente, al capo titolare detenuto, Giuseppe Graviano. Salvatore Benigno è detto 'U picciriddu, il ragazzino, per quella sua aria da personcina per bene. Tanto per bene da indurre l'intero paese di Misilmeri, sindaco in testa, a organizzare una fiaccolata per richiederne la scarcerazione.

Un elenco dei soprannomi di mafia lo avevamo trovato subito dopo la cattura di Bagarella, a giugno, nel covo in cui abbiamo arrestato Nino Mangano. Si trattava di un vero e proprio libro mastro, un brogliaccio dove erano segnate entrate e uscite, dove erano indicati traffici di droga, estorsioni, spese correnti, incarichi affidati e portati a termine. E c'erano tutti questi strani nomignoli accanto a ogni annotazione. Per i mafiosi, un modo per camuffarsi meglio.

Senza l'interpretazione autentica di Pasquale Di Filippo e di Pietro Romeo difficilmente avremmo saputo a chi si riferissero quelle indicazioni che sono state preziosissime nelle indagini e nei processi.

Ma - me lo dirà Romeo mesi dopo - nella perquisizione del covo di Mangano gli agenti non avevano notato un dettaglio non proprio secondario. Sotto i cuscini del divano del soggiorno era nascosto un lanciamissili Rpg 18 che, forse per la banalità del nascondiglio, era sfuggito alla perquisizione della Dia.

Romeo, nel primo periodo della sua collaborazione, vive notte e giorno con gli agenti della Criminalpol e della squadra mobile di Palermo e, in fondo, aveva ragione Santino Giuffrè: è un ragazzo semplice e di buon carattere, anche se l'aspetto è un po' rozzo e parla uno slang incomprensibile. Per indicarmi che in un certo luogo avevano seppellito qualcuno, per esempio, mi dice che l'avevano vurricatu, participio passato di un verbo del siciliano antico che io avevo appreso, ragazzino, da mia nonna.

Negli anni successivi alla scarcerazione, però, Romeo ha fatto passi da gigante, e me ne vorrei prendere un po' di merito. Nei tanti colloqui che ho avuto con lui, gli ho insegnato a esprimersi in un italiano decente. Anni dopo l'ho sentito deporre in un dibattimento: al confronto dei suoi primi interrogatori sembrava quasi un professore universitario.

All'inizio comunicava quasi a grugniti. Dovevamo decifrare quel che diceva prima di trascrivere le sue dichiarazioni. Le prime registrazioni degli interrogatori di Romeo sono praticamente incomprensibili. Una volta, a Milano, andò a interrogarlo per due o tre giorni la bravissima collega romana Olga Capasso. Tornò a Palermo arrabbiatissima, con una paginetta e mezzo di verbale appena: non era riuscita proprio a capirlo, a comprendere il suo siciliano stretto.

Per me era decisamente più facile, perché il modo di parlare di Romeo mi ricordava il dialetto del mio paese. Termini arcaici che si usano ancora talvolta nelle campagne e che mi avevano affascinato ai tempi del liceo, quando cercavo di coglierne l'origine: greca, araba, sveva, francese, spagnola. In Sicilia per questo c'è l'imbarazzo della scelta.

copertina libro sabella cacciatore

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