Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dopo la serie sull’omicidio di Mario Francese, quella sul patto tra Cosa Nostra e i colletti bianchi e quella sulla seconda guerra di mafia, si passa adesso al racconto dei Casamonica.

Una Rolls Royce e sei cavalli con pennacchio a trainare la carrozza funebre. Davanti c'è il cocchiere che urla: «Vieni, vie’!».

Sono venuti da Napoli, dove ci sono tanti buoni amici della casata, per rendere questo giorno unico. Alfonso Cesarano, titolare dell’impresa funebre, spiega ai cronisti: «Abbiamo sempre fatto i funerali a tutti, che vuole dire boss, se uno è libero perché deve essere vietato?». La sua azienda aveva portato all’altro mondo anche i padrini del clan Nuvoletta e del clan Maisto oltre

che attori e artisti. Poi è toccato a zio Vittorio.

Quartiere Tuscolana, la strada è bloccata, nella piazza davanti alla chiesa San Giovanni Bosco non si passa. La carrozza è la stessa di Totò, si ferma davanti alla chiesa, è abbellita da intarsi dorati, maestosa. Il re è morto.

La banda musicale intona la musica di Nino Rota e resa celebre dal film Il Padrino, le note si mischiano al nero delle lunghe gonne, delle camicie dei familiari che piangono la dipartita del loro re. Sono tutti li ad assistere Vittorio Casamonica. Tutti vestiti di nero. Un lutto che dovranno rispettare per un anno. Rifiutano carne e uova, mangiano solo pesce. I vizi vengono banditi: tv spenta, musica bassa, niente bar. Per gli uomini è imposta la barba incolta, per le donne nessuna depilazione. Per dieci giorni hanno osservato il consolo, a ogni pasto i parenti più lontani hanno portato il cibo cotto altrove. E la tradizione sinti è per lui è diventato ossequio, riguardo, osservanza estrema. «E l’ultimo re che Roma abbia conosciuto» sussurrano amici e parenti. Sono in millecinquecento fuori dalla chiesa, ci sono proprio tutti.

Antonio è il figlio del re. Ha preso un permesso, non dal lavoro, ma dalla detenzione: è imprigionato in casa per una brutta storia di estorsione, ma è il momento del dolore, non poteva mancare, e il giudice gli ha accordato un permesso. C'è Consilio Casamonica, detto Tony il Meraviglioso, il nipote del re, con il suo tatuaggio e i suoi gingilli. Ci sono i cugini Spada, pugili e orgoglio. E poi le donne. c'è Liliana, detta Stefania; Gelsomina Di Silvio, la matrona di Caldopiano, la strada dove abita e comanda; ci sono tanti dei personaggi che incroceremo in questo viaggio. C'è una sola ragione per non esserci, quella di stare dietro le sbarre.

L’ingresso in chiesa è un rito quasi catartico, una messe di gente che varca la porta di ingresso. Camminano quasi all’unisono, come fossero un blocco unico. Una scena che supera ogni sceneggiatura, ogni visione filmica. È il 20 agosto 2015. Roma viene travolta da un’ondata di indignazione e stupore per il funerale-evento di Vittorio Casamonica.

La capitale finisce al centro delle cronache dei giornali di tutto il mondo. Sui social piove sdegno, trentunmila tweet per urlare “mai più”; si muovono parlamentari, Procura, Vaticano: un putiferio. Il mondo per la prima volta sembra accorgersi dei Casamonica.

Vittorio Casamonica nasce nel 1950, in Molise, a Venafro. La sua è la storia dei Casamonica che si spostano da quella regione e dall’Abruzzo verso Roma, insediandosi nella periferia sud-est della capitale, si naturalizzano nella zona che va da Capannelle fino a Ciampino. Si stabilizzano nel periodo compreso tra l’inizio degli anni cinquanta e gli anni sessanta. All’inizio commerciavano cavalli – perché altro non sapevano fare – e si stanziano su alcuni terreni con roulotte e carovan, ma poi su quei terreni, in gran parte comunali, edificano e cominciano a tirare su le loro ville, il loro regno.

Tra i primi a insediarsi c'è il padre di Vittorio, Guerino Casamonica, re degli zingari, e la madre Virginia Spada. Guerino, nel 1948, compra a via del Mandrione uno stabile che poi cede al figlio Vittorio. È l’inizio dell’insediamento. Pochi anni dopo, nel 1956, viene realizzato un reportage sonoro proprio presso la comunità zingara di via del Mandrione. «Una comunità organizzata attorno al nucleo dominante della famiglia Casamonica, ancora oggi uno dei gruppi zingari stanziali più influenti del Lazio e dell’Italia centrale. Di questa famiglia facevano parte uno dei fisarmonicisti ritratti: Guerino Casamonica e la danzatrice con fazzoletto sul collo: Rosaria Casamonica.»

E il futuro re? Vittorio a tredici anni inizia a trafficare motorini. A diciassette anni brucia le tappe, e ha la sua prima Ferrari, la compra dal noto compositore e pianista Armando Trovajoli: «Vendo anche la macchina a Little Tony».

Le case costruite sui terreni pubblici

La maggior parte delle loro case è costruita su terreni pubblici, demaniali. La terra dove edificano l’imperò è di proprietà comunale. I terreni sono infatti nel comune di Frascati, ma ricadono in un municipio di Roma.

Hanno rivendicato la proprietà in qualunque modo, anche e soprattutto con la violenza. Sono circa cinquecento le case in queste condizioni nel quartiere, molte sul citofono hanno lo stesso cognome: Casamonica. Questi terreni demaniali sono gli antichi usi civici, terreni che, negli anni venti, erano destinati al pascolo e alla coltivazione, non cedibili a terzi: pubblici. Sono diventati la base della roccaforte della famiglia. Negli anni sessanta è venuto su un feudo nelle aree demaniali dell’antica

università agraria di Frascati, disciolta nel 1925, ville su ville senza nessun controllo, i condoni hanno fatto il resto a partire da quello del 1985, poi quello del 1994. Quelle terre erano destinate nel dopoguerra ai reduci, agli ex combattenti, ma a partire dagli anni cinquanta i Casamonica hanno tirato su casa.

E anche le ville a schiera, fortino dello spaccio, insistono su terreni pubblici. Un’intera area a ridosso del raccordo anulare vive questa situazione paradossale. Attualmente il comune di Frascati prova a liberarsene, i terreni vengono venduti a 50 euro a metro quadrato, qualcuno compra. Loro no, tranne in due casi.

Di solito vanno in comune a capire quanto devono versare, si fanno vedere, arrivano, capiscono la situazione e poi vanno via. Marcano l’area, ma non tirano fuori un euro.

In pratica per chiudere i contenziosi potrebbero pagare i terreni e appropriarsene, ma non lo fanno. Hanno costruito su terreni demaniali un imperò abusivo. Sgomberi? Zero come la tolleranza alle chiacchiere.

In mezzo alle decine di contenziosi che devono stabilire la natura giuridica del terreno, uno ha riguardato la signora Virginia Casamonica. Il commissario agli usi civici – perché in una situazione del genere non poteva mancare un classico italiano: il commissario, uno per ogni emergenza – nel giugno 2016 ha stabilito che i «terreni oggetto di causa e siti in Comune di Roma non sono gravati da usi civici» con buona pace dello Stato, del demanio e del comune di Frascati. Ora c'è un ricorso alla Corte di appello. «Quando siamo arrivati e abbiamo messo su la casa, era abusiva, cinquanta anni fa, ora siamo regolari. Poi ho fatto i soldi con i cavalli. La vedi la strada? Mio fratello mi disse di cederla al comune, lui era amico dei politici. Erano terreni miei.»

A parlare è il fratello del re, Nando Casamonica, detto Papaniello o J.R., come il ricco petroliere della serie Dallas, cappello da cowboy, baffi e sedia a rotelle per via della sua invalidità. Difende la reggia dove vive, al centro di un dossier della municipale, oggetto di abusi ripetuti, e edificata sui terreni del comune di Frascati, gli usi civici a disposizione della casata.

E il re? Il re, invece, ha vissuto gli ultimi anni in una villa in via di Roccabernarda, al numero 10, dove ora vive il figlio. Piscina, telecamere di sorveglianza, leoni e orpelli come da tradizione.

L’oro come scettro di comando e segno distintivo. Trascorreva, però, gran parte della sua vita a via Veneto, nel salotto buono di Roma, lontano dal fortino. Lì era ormai diventato di casa. Al Cafe de Paris si sedeva ai tavolini e portava gente, era diventato habitué, anche se come suo solito non pagava.

Vittorio, il “re”

«Oggi» racconta un amico «direbbero solerti giudici forcaioli, estorsione, ma allora erano una costante, una buona abitudine. Quella di non far pagare il re era prassi. Lui nobilitava il locale.»

Per conoscerlo bisogna aprire il bazar dei social dove il “re” e stato immortalato mentre canta, suona, parla e balla. Per i suoi sessant’anni viene intervistato da un giovane della dinastia mentre sotto c'è una musica assordante: «Per i miei sessant’anni ho fatto entrare nella mia villa questa bella comitiva, ma non finisce qui. Tra un mese, un mese e mezzo, faccio una festa e devono mettere le bombe a mano». Il re, insomma, annunciava una festa memorabile. «Il numero uno del mondo l’ho fatto sempre e rimarrà per sempre, tra un mese, un mese e mezzo. Sara una festa grande.» Lo “zio” ha un cappello, una giacca e cravatta nera, un copriabito bianco, l’anello alla mano, Rolex, e dietro di lui risate e goliardia. In un altro video e al microfono, seduto su uno sgabello. Indossa una tuta rossa e la sua collana con croce d’oro e canta My way di Frank Sinatra, il suo cavallo di battaglia, ma i parenti si distraggono. Il nipote Tony il Meraviglioso, al secolo Consilio Casamonica, mostra il suo orologio in favore di telecamera. Il re si alza, delizia i familiari, il capostipite cede al nipote il microfono per un finale memorabile.

A conoscerlo bene e il suo avvocato di sempre, fino alla morte, Mario Gilardi. Professionista che ancora oggi segue diversi Casamonica. «Vittorio Casamonica è morto con qualche condanna per truffa, ma nulla di grave. Era di un altro pianeta rispetto a oggi. Non è mai stato arrestato, tranne una volta e poi fu assolto. L’unica colpa di Vittorio è stata lo sfruttamento della sua grande intelligenza.» Intelligente o, per meglio dire, scaltro e viveur. La prima volta fu assolto ed era il 1987. L’accusa della Procura di Venezia era gravissima: associazione mafiosa finalizzata al sequestro di persona, i giornali titolarono La banda dei giostrai. Fu anche arrestato, ma non c'entrava niente. «Ma Vittorio Casamonica» ricorda l’avvocato che ne ottenne l’assoluzione «non c'entrava niente». E, nel 1995, per lo “zio” fini l’incubo: assolto. Di procedimenti ne ha avuti a decine, ma ne è uscito spesso archiviato, assolto, prescritto e in alcuni casi gli è andata di lusso per la remissione della querela.

Una lunga carriera “quasi criminale”

Il primo inciampo risale al 1970 con un’indagine per assegni a vuoto: la chiuse con la pena sospesa e il pagamento di una multa. Fu il primo di una lunga serie, oltre una decina di fascicoli aperti per lo stesso reato. Con gli assegni lo “zio” ci “campava”, a volte a vuoto, scoperti, altre volte ballerini, legati a conti aperti solo per imbastire qualche truffa. Un bel giro di soldi, quelli degli altri, e

affari. Una volta finì in una brutta storia di droga. E sulla droga i Casamonica, che spacciano a ogni ora del giorno e della notte, ogni tanto si soffermano per evidenziare una presunta stagione d’oro, quella dei vecchi che la droga non l’hanno, o non l’avrebbero, mai toccata.

«Con la droga non ha mai, dico mai, avuto a che fare» taglia corto l’avvocato Gilardi e, infatti, quel procedimento fini con l’archiviazione, ma che cosa era successo? La vicenda apre un capitolo sulla penetrazione del potere Casamonica anche in altre regioni come Molise, Abruzzo e Umbria, nel centro Italia. Nel 2002 Vittorio Casamonica viene coinvolto in una inchiesta per droga, avrebbe fatto cedere a due persone diversi quantitativi di cocaina.

E il racconto che fa uno degli indagati, un racconto che non sarà confermato in dibattimento «perché l’indagato si sentiva pesantemente condizionato dalle minacce rese a lui e alla figlia… Invece, nel corso dell’interrogatorio reso dinanzi al pm, affermò che la droga arrivava in Abruzzo, quasi tutta da Roma da Casamonica Vittorio che ha tutto il territorio sotto il suo dominio, ma che non opera in prima persona, ma attraverso altre persone». Il procedimento è finito con il proscioglimento di Casamonica. Vittorio, formalmente, non ha mai lavorato, non aveva alcuna posizione né all’Inail né all’Inps eppure era intestatario di una decina di auto, tra cui due Ferrari e di un appartamento; beni e auto nelle sue disponibilità, ma intestati ai familiari. Il patrimonio dei Casamonica vive di stime al ribasso, dai cento milioni di euro in su, ma è un calcolo basato solo su una cinquantina di appartenenti.

Di racconti sul re ne girano tanti. Come quella volta che, in una notte di vino e follia, il “re” comprò casa. Uscì con due amici con i quali si frequentava da tempo, uno era un imprenditore, l’altro un prete. La destinazione erano i migliori night di via Veneto dove le ragazze si spogliano e deliziano gli occhi. Nei giorni precedenti zio Vittorio aveva saputo dall’amico che aveva una casa sul litorale romano. «Ao, ma che cazzo te ne fai di quella casa, vendimela», raccogliendo i ripetuti no dell’ingenuo imprenditore. Una sera tirarono a far mattino.

Lui, l’imprenditore e l’arzillo prete. Bevevano, il vino scendeva e Casamonica accompagnava. Si era però premunito di portarsi dietro un contratto di compravendita, come quelli che le persone normali firmano davanti a un impettito agente immobiliare, a un cestino di caramelle e a un caffè della macchinetta. Lui, Vittorio, il re, no. Cosi mentre l’amico beveva, gli fece firmare il contratto. Dopo due giorni il libertino imprenditore si trovo davanti a un notaio per firmare l’atto di cessione della villa a mare.

Nel rogito si leggeva che una parte dei soldi erano stati versati in contanti, altri con i soliti “assegni”. In realtà zio Vittorio gli aveva dato solo qualche milione. A distanza di qualche giorno, del trabocchetto si accorge il figlio dell’imprenditore. Vittorio Casamonica viene denunciato, ma finirà, come spesso e successo in questi anni, con la remissione della querela e un accordo economico tra le parti. «Lui era fatto cosi, un genio, criminale è stata solo la sua intelligenza», raccontano gli amici. Uomo di bella presenza, scaltro e furbo, alla ricerca di un gagio da “fottere” e di belle donne da idolatrare – e da fregare.

Una volta conquistò il cuore di una signora vedova di stanza in Veneto. La signora aveva una concessionaria di auto, l’altra passione dello zio. Iniziò il corteggiamento della sciura veneta, riuscì a convincerla delle sue buone intenzioni. Fece arrivare a Roma una bisarca, circuendo la proprietaria dell’autosalone. Sopra c'erano tutte auto di grande valore, ma anche quella volta non pagò niente. La signora denunciò, ma finì con la prescrizione.

Le auto erano la grande passione della sua vita: il suo “lavoro”, hobby in comune con il suo storico amico e mentore: il Secco di Romanzo criminale, quello che le cronache indicano, provocando la sua reazione stizzita, come il cassiere della Banda della Magliana e molto altro: Enrico Nicoletti.

Testi tratti dal libro di Nello Trocchia "Casamonica. Viaggio nel mondo parallelo del clan che ha conquistato Roma". Testi, nomi e processi sono riportati nella serie del blog Mafie così come presentati nel libro, aggiornati dunque al 2019.

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