Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dopo la serie sull’omicidio di Mario Francese, quella sul patto tra Cosa Nostra e i colletti bianchi e quella sulla seconda guerra di mafia, si passa adesso al racconto dei Casamonica.

Il collaboratore di giustizia Fazzari dice: «In quel momento non avevo né l’albanese, né Carlo Moretti» riferendosi ad affari di droga. Moretti viene chiamato “er principe”; precedenti per droga e rapina, attivo soprattutto nella zona di Guidonia, Tivoli e in rapporti strettissimi con mamma ’ndrangheta, nel 2014 finisce coinvolto in una inchiesta per l’arrivo nella capitale di droga da Gioia Tauro, insieme a membri delle cosche Nirta, in affari con gli Strangio, famiglie vicinissime ai Casamonica. E Moretti viene arrestato in una zona di competenza della casata al Quadraro, mentre era mano per mano con la fidanzata.

E proprio il rapporto con la ’ndrangheta è centrale sia per il prestigio, ma soprattutto per acquistare droga e fare affari insieme. Non sono inferiori, anche se alcuni clan li disprezzano perché zingari, come mi ha rivelato Dario De Simone, ma vale sempre una regola: per chi deve chiudere affari, conta poco chi sei, da dove vieni e i costumi che hai.

Contano i soldi e l’affidabilità. Basta leggere alcune intercettazioni per capire come questo principio si declini nelle strategie criminali. Paolo Vincenzo D’Elia, detto Don Paolo, accusato di appartenere al potentissimo clan Piromalli con affari tra Calabria, Roma, Lombardia e Stati Uniti, parla al telefono di come è entrato in rapporti con i Casamonica. Dopo l’iniziale diffidenza della casata, si presenta e a quel punto: «Mi hanno portato la carrozza, mi hanno portato tutte cose. Voi non avete l’idea». I Casamonica avevano vagliato le referenze criminali. I rapporti con i Piromalli tornano anche in un’altra vicenda.

C’e Rocco Casamonica che segue passo passo le attività di Pietro D’Ardes, imprenditore, ex direttore degli ispettori del lavoro e presidente della cooperativa Lavoro di Roma, intenzionata ad acquisire una cooperativa attiva nell’area portuale di Gioia Tauro. Finiscono in un’indagine denominata “Cent’anni”, ma Casamonica non viene mai indagato. L’inchiesta calabrese si intreccia con quella romana che provava a fare luce sugli affari proprio di Rocco, pregiudicato per traffico di stupefacenti.

D’Ardes, tra il 2006 e il 2009, mentre si muoveva liberamente tra Lazio e Calabria, mette le mani sulla cooperativa grazie anche ai rapporti prima con il clan Alvaro e poi con il potente clan Piromalli. E quando si reca in trasferta e accompagnato da Casamonica che formalmente lavora, in affidamento in prova, presso una della cooperative dell’imprenditore. Gli investigatori, però, scoprono che Rocco non ha alcuna mansione, figura solo come copertura “legale”. In realtà segue ogni particolare della delicata operazione calabrese di D’Ardes, affare suggerito dall’avvocato di Casamonica, Giuseppe Mancini, quest’ultimo arrestato nell’inchiesta.

Un intreccio che ha sullo sfondo un omicidio, rimasto irrisolto, quello di Rocco Molè, ma le piste investigative non hanno portato ad alcuna conclusione, solo a una certezza: la correlazione tra il delitto e l’acquisizione della cooperativa, sul resto – ruoli e responsabilità – niente è stato accertato. Alla fine, D’Ardes e stato condannato a undici anni di carcere, Mancini a nove anni e sei mesi.

Di certo, c’è un particolare che emerge dalle indagini: l’uso disinvolto dello strumento della messa in prova che, spesso, si tramuta in un favore alla casata.

Le coop e Mafia Capitale

Abbiamo già raccontato che alcune cooperative, come evidenziato da Gelsomina Di Silvio, sono a disposizione e consentono ai Casamonica libertà totale di movimento.

«Alcune cooperative», racconta un ex manager di una società pubblica romana, «con la giustificazione del recupero dei detenuti, permettono ai Casamonica di avere un ruolo nella gestione dei rifiuti e della vigilanza, così da inserirsi tra i fornitori delle partecipate pubbliche.» E' chiaro che molte cooperative svolgono un lavoro straordinario, ma in alcuni casi incrociando dati emergono i “nullafacenti”. Come nel caso di Edera cooperativa, che per anni ha gestito la raccolta dei rifiuti per conto di Ama, la società municipalizzata del comune di Roma.

In Edera hanno lavorato diversi Casamonica come Enrico, detto Ringo, nel 2005 e nel 2006. La società nel 2015 riceve anche un’interdittiva antimafia e finisce nella rete di Mafia Capitale, l’organizzazione guidata da Massimo Carminati e Salvatore Buzzi. L’Anac dispone la gestione straordinaria per l’azienda, che ha continuato a dirsi vittima della cooperativa è totalmente estranea alle indagini. C’è un’altra esperienza che viene presentata: nel 2007, in comune a Roma come esempio positivo, la prima cooperativa di sole donne rom in Italia con un contratto di lavoro per rom e sinti di Roma. Si chiama Baxtalo Drom. A presentarla c’è anche Concetta Casamonica di Porta Furba. L’iniziativa viene ospitata nella sala degli Arazzi del Campidoglio.

Mioara Miclescu, estranea alle indagini, presidente di Baxtalo si reca anche in Senato per raccontare l’esperienza di sartoria sociale che nel 2011 rischia di chiudere, come viene denunciato in un documentario pubblicato da Repubblica tv. Il primo appalto arriva grazie a una convenzione con l’Assessorato ai servizi sociali del comune di Roma, le donne di Baxtalo devono occuparsi del lavaggio e della stiratura degli indumenti di una casa per anziani.

Dispiace constatare che esperienze di cooperative, nate con le migliori finalità, finiscano diversamente. Secondo i carabinieri, Baxtalo è «a disposizione dei Casamonica per le esigenze più disparate». Tra i fondatori della cooperativa ci sono Rubina e Mafalda Di Silvio, madre e sorellastra di Ciccillo, Ottavio Spada, quello dei Rolex. Lo stesso Massimiliano Casamonica risulta aver lavorato presso la cooperativa, ma era un’occupazione del tutto fittizia «per ottemperare alla prescrizione di trovare uno stabile lavoro, impostagli all’atto della sua sottoposizione alla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, attivata in data 28 settembre 2015 subito dopo la sua scarcerazione». La cooperativa veniva usata anche per far lavorare Antonietta Casamonica,

la sorella che doveva ricevere redditi per intestarsi beni e proprietà così da sfuggire ai sequestri. Un’esperienza sporcata dalla casata. La stessa Antonietta finisce in carcere nel blitz del luglio 2018. Secondo gli inquirenti, quella cooperativa e dei Casamonica: le migliori intenzioni piegate al volere della casata, a quanto sembra, in attesa dei necessari riscontri giudiziari.

In rapporti con i Piromalli

Torniamo ai Casamonica e ai rapporti con la ’ndrangheta, in particolare con i Piromalli, il gotha della mafia calabrese. Una conferma, ulteriore, arriva da un collaboratore di giustizia, Armando De Rosa, ex camorrista: «Antonio Leonardi aveva investito dei soldi a Roma e riciclava soldi del clan e aprì delle piazze di spaccio. Si alleò con il gruppo Senese e con i Piromalli per la cocaina, che gli riforniscono la droga per il tramite dei Casamonica». Leonardi è un broker della droga, fedelissimo di Paolo Di Lauro, prima di girarsi e cambiare fazione.

E a proposito di rapporti, emergono quelli tra Casamonica, Giuseppe, ma non Bitalo, bensì il re di via Devers, classe 1972 e Pasquale Nocera, vicino al boss Salvatore Strangio. Nocera e Casamonica si sentono al telefono e si incontrano, il tutto emerge dall’indagine Tenacia e i rapporti risalgono al 2009. In quell’anno, a Bova Marina, in Calabria, Giuseppe Casamonica arriva con il nipote Guerino, figlio di Consilio, vengono anche fermati dai carabinieri.

Casamonica vive a via Devers, nel quartiere Romanina, una strada che incrocia via Barzilai, il fortino dei Casamonica, dove sorge una piazza di spaccio aperta ventiquattr’ore al giorno, interessata da un’inchiesta della magistratura. Ci caliamo in questa indagine perché offre uno spaccato sullo stile di vita e le modalità criminali dei “nullafacenti”. E anche perché gli affari, nonostante le inchieste, a quanto mi risulta continuano ancora.

L’organizzazione prevedeva un costo a dose di 40 euro; all’inizio le bustine erano termosaldate, ma successivamente, per evitare i controlli della polizia, la cocaina veniva inserita in bustine aperte. E tra i fermati c’è proprio lui, Giuseppe Casamonica.

Secondo gli inquirenti, Giuseppe avrebbe organizzato con altri un traffico sistematico di cocaina demandando lo spaccio alle donne. Una davanti a ogni casa; ai controlli degli inquirenti, tutte tornavano dentro. Giuseppe girava sul suo motorino così come le vedette, a piedi o munite di veicoli, per evitare retate e monitorare l’area.

Durante il processo, un agente di polizia del commissariato Casilino ha raccontato come si lavora in frontiera con due auto in borghese che erano ben note ai cittadini, figurarsi ai Casamonica. Quando arrivavano per i controlli «le vedette ci salutavano» e non era pensabile fare intercettazioni perché in quel periodo, tra il 2008 e il 2011, «non fu possibile reperire neanche un interprete».

Via Devers era stretta, ma la casata aveva disposto fioriere e cataste di legno per ridurre ancora di più la carreggiata. Le case sono provviste di scale di legno e terrazze comunicanti, ma soprattutto di camino, rigorosamente acceso anche in estate.

Tutte munite di telecamere per riprendere gli spostamenti, con almeno una persona a controllare l’area ed eventuali ingressi indesiderati. In tutto tredici appartamenti con almeno settanta persone in totale e cinque sei persone per appartamento, tante unioni sono state fatte solo civilmente o con rito rom.

C’è un’altra testimonianza che spiega come i poliziotti sono costretti a lavorare in quei luoghi. Nel 2009 gli agenti riescono a bloccare una donna che aveva indosso sostanze stupefacenti. Immediatamente sono però arrivate dieci o quindici persone e tra urla e spintoni «sono riusciti a togliercela dalle mani e quindi è sparito tutto. Noi eravamo in tre ma loro erano una quindicina, ripeto, tante donne si buttano addosso, chi strilla chi si strappa. Ci hanno proprio costretti al muro». Lo Stato al muro.

Quando, invece, i poliziotti hanno posizionato una telecamera è durata quattro giorni, prima di essere distrutta. Il tempo necessario per calcolare che in una notte sono passate quattrocento autovetture. Quattrocento clienti: un supermercato.

Diversi consumatori sono stati contattati per il procedimento penale, ma hanno risposto omettendo, ridimensionando, impauriti dal potere della casata. A parlare, invece, sono stati i clienti transessuali in quanto le loro generalità, seppur riportate nei vari verbali, molto difficilmente avrebbero consentito di rintracciarli a eventuali soggetti che avessero voluto punirli delle loro dichiarazioni.

Amicizie in Procura

In uno dei filoni di questa inchiesta viene coinvolto anche un pubblico ministero, il magistrato della distrettuale antimafia di Roma Roberto Staffa, che finisce in carcere nel 2013. L’accusa e quella di aver favorito esponenti del clan in cambio di prestazioni sessuali.

Tutto parte dalla dichiarazione di una transessuale che spiega di aver subito un ricatto: sesso per ottenere un permesso di soggiorno. I pm della Procura di Perugia fanno installare telecamere nell’ufficio di Staffa, immagini che in sede processuale vengono invalidate perché l’ufficio di un pm gode di totale riservatezza. Sono bastate pero le testimonianze, tra queste quella dell’ex donna di Consilio Casamonica, alla quale Staffa avrebbe promesso favori in cambio di una prestazione sessuale. Staffa viene condannato in primo grado, nell’aprile 2018, a undici anni di carcere.

E Giuseppe Casamonica? Viene condannato a sedici anni in primo e secondo grado, insieme a familiari e sodali. Nel periodo 1997-2009 il Casamonica non ha presentato alcun reddito, un altro “nullafacente”. Mi è capitato di incontrarlo nel 2015, quando volli andare di persona a vedere le case stucco e sfarzo della casata. Mentre camminavo incrociai al balcone quest’uomo bruno, con barba sfatta e maglietta nera. Era già stato condannato in primo grado. Il funerale di Vittorio Casamonica si era celebrato da poco. Giuseppe resto fermo sul suo terrazzino fissandomi: «E' uscita tutta questa cosa per il funerale, noi i funerali è dagli anni ottanta che li facciamo così».

Gli chiedo del supermercato della droga: «E questa mica è mafia?». E poi aggiunge, con una punta di orgoglio: «Ma se eravamo mafiosi, stavamo in galera o no?». E, invece, era lì. Sul suo terrazzino, con la scala con colonne bianche, l’orologio al polso, il camino sempre acceso anche d’estate e il figlio al suo fianco. Gli chiesi di scendere e raccontarmi, mi rispose: «Non posso, sono ai domiciliari». Chiesi a sua moglie e mi rispose: «Non posso, sono ai domiciliari anche io». Abbassai lo sguardo su una finestra che sporgeva sulla strada, una signora mi fissava e provai: «Ma allora parla lei?» e mi rispose: «Sto come loro».

Una strada, civico per civico, con i Casamonica a scontare nelle proprie dimore dorate comodi domiciliari. Tre anni dopo torno in quelle strade. E Giuseppe è sempre lì, seduto su una sedia di paglia. «Io ho ancora mamma in galera a settanta anni, ho anche tre sorelle in galera.» E poi racconta la sua enorme sfortuna giudiziaria: «Lo sai perché ho preso sedici anni? Perché ero fuori

casa mia a mangiare un panino». Condannato per una merenda.

«Loro hanno un filmato mentre io mangio un panino e mi hanno dato sedici anni. Non ho ancora il definitivo e ora sto qua.»

Testi tratti dal libro di Nello Trocchia "Casamonica. Viaggio nel mondo parallelo del clan che ha conquistato Roma". Testi, nomi e processi sono riportati nella serie del blog Mafie così come presentati nel libro, aggiornati dunque al 2019.

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