Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata al depistaggio sulla strage di via D’Amelio, nella quale morirono Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

Anche Borsellino legge in quei diari dell’amico Falcone “appunti apparentemente insignificanti: ma dietro queste cose, dietro ciascuno di questi fatti, io ho la sensazione che debbano essere cose gravi”.

Sono i giorni che seguono alla strage di Capaci, e Paolo Borsellino si trova ormai nella stessa sgradevole situazione di Falcone: anche lui ostracizzato dal capo della procura, escluso dalle indagini palermitane su Cosa nostra, visibilmente isolato.

Eppure in quei cinquantasette giorni, Paolo Borsellino è più che mai un uomo delle Istituzioni e per le Istituzioni. Anche lui comincia a prendere nota di tutto ciò che va man mano scoprendo, ritenendo di doverne riferire al momento opportuno solo davanti all’autorità giudiziaria competente per quei fatti, cioè la procura di Caltanissetta. Ma quell’incontro con il procuratore Tinebra non ci sarà mai.

In questo senso la prima pagina dell’agenda rossa di Paolo Borsellino riprende, almeno idealmente, dall’ultima riga dei diari di Falcone. Un filo che annota lucidamente anche la professoressa Falcone:

MARIA FALCONE. Paolo era un caro amico di Giovanni, io lo ritenevo uno dei pochissimi amici di Giovanni, e quello che lui ci ha detto subito dopo la sua morte era di avere calma, di aspettare il momento opportuno per parlare, per prendere determinate decisioni… le parole che ha detto: «acquisire tutte quelle prove, tutti quei documenti che…» (…) verso la fine mi ha anche detto, nel trigesimo della morte di Giovanni, durante la messa, che era molto vicino a scoprire delle cose tremende… cose terribili, che avrebbero fatto saltare parecchie cose.

“Cose tremende” dice la professoressa Falcone. Verità indicibili. La chiesa di San Francesco raccoglie questo istante, mentre il vuoto prende forma attorno a Paolo Borsellino. Gli restano ventisei giorni di vita. L’ingranaggio del futuro depistaggio – come vedremo - si è già messo in moto.

Dopo la Strage di Capaci

Torniamo a Giammanco, all’estate del ‘92, al clima che si respira in Procura dopo la morte di Giovanni Falcone.

Dopo Capaci, sul Procuratore di Palermo, sui suoi metodi di lavoro e di organizzazione dell’ufficio, si concentrano attenzioni e preoccupazioni. A Montecitorio viene depositata un’interrogazione urgente al ministro Martelli, primo firmatario l’onorevole Brutti. Abbiamo ricostruito quel passaggio con entrambi.

FAVA, presidente della Commissione. Ci fu un’interrogazione del primo luglio 19923 che chiedeva al Ministro della Giustizia se risultassero vere, vado per sintesi, scelte e comportamenti posti in essere al Procuratore della Repubblica di Palermo, Giammanco, comportamenti che avrebbero ostacolato il lavoro giudiziario di Falcone, soprattutto per quanto riguardava il coordinamento delle indagini antimafia. E se vi fossero stati comportamenti anomali o rilevanti in sede penale o disciplinare da parte del dottor Giammanco.

BRUTTI, già presidente del Comitato parlamentare di controllo sui Servizi segreti. Io predisposi alcune interrogazioni parlamentari che nascevano, in gran parte, dalle note di Giovanni Falcone… Giammanco non gli aveva consentito, come risulta dalle sue note, di occuparsi del filone di indagine che riguardava la struttura Gladio, una struttura che si può definire clandestina all’interno del SISMI e che aveva una propaggine in Sicilia costituita dal Centro Scorpione, ubicato presso Trapani, e Falcone era interessato alle indagini che si stavano svolgendo, per iniziativa della magistratura, romana sull’attività di questa struttura…

FAVA, presidente della Commissione. Perché dice che era una struttura clandestina?

BRUTTI, già presidente del Comitato parlamentare di controllo sui Servizi segreti. Perché una struttura del SISMI che, in alcuni momenti nella storia della Repubblica, è stata volutamente celata anche ai Presidenti del Consiglio, non può considerarsi una struttura normale nell’ambito dei servizi d’intelligence. (…) In quell’estate del 1988 si faceva con insistenza il nome di Falcone per il ruolo di Alto Commissario per la lotta alla mafia. Naturalmente Falcone non fu nominato… Fu nominato invece Sica e dal vertice del SISMI arrivò un’istruzione al Centro Scorpione che diceva: «Mettetevi a disposizione dell’Alto Commissario Sica». (…)

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MARTELLI, già Ministro della Giustizia. Se non ci fossero stati questi contrasti e se a Falcone non fosse stato impedito di operare, se non fosse stato questo il clima a Palermo non ci sarebbe stato bisogno che io chiamassi Falcone a Roma perché potesse continuare il suo lavoro.

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