Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata al depistaggio sulla strage di via D’Amelio, nella quale morirono Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

La collaborazione tra il Sisde e la Procura di Caltanissetta ha vita breve. Alla vigilia del natale 1992 Bruno Contrada viene tratto in arresto ed accusato di concorso esterno in associazione mafiosa È l’epilogo di un’indagine dei magistrati di Palermo, costruita a partire dalle informazioni del pentito Mutolo.

Fino all’arresto, per mesi Contrada si trova a interpretare un duplice ruolo: punto di riferimento (lui e il Sisde) della Procura di Caltanissetta per le indagini sulle stragi di Capaci e via D’Amelio; a Palermo, indagato per reati di mafia dalla procura di Palermo. Possibile che Tinebra nulla abbia saputo dai colleghi di Palermo? Che abbia continuato ad affidarsi così ciecamente ad un funzionario che altri magistrati ritenevano corrotto? Lo abbiamo chiesto anzitutto allo stesso Contrada.

FAVA, presidente della Commissione. Il dottor Tinebra sapeva che Mutolo stava parlando e avrebbe fatto anche il suo nome, dottor Contrada? Ebbe mai la sensazione che di questo il procuratore di Caltanissetta fosse stato informato dai colleghi palermitani?

CONTRADA, già dirigente della Polizia di Stato e del Sisde. Io non solo non ho mai parlato con il dottor Tinebra di questa mia vicenda… né lui mi ha mai dato l’impressione che fosse al corrente di questo. Perché io sono sicuro che se il dottor Tinebra fosse stato messo al corrente dai suoi colleghi di Palermo delle investigazioni, delle indagini che venivano fatte sul mio conto, non avrebbe avuto più rapporti con me.

FAVA, presidente della Commissione. Come è possibile che la Procura di Palermo non abbia avvertito Caltanissetta nel momento in cui c’era in corso un’indagine su di lei, sapendo che lei collaborava con il dottor Tinebra?

CONTRADA, già dirigente della Polizia di Stato e del Sisde. Può darsi che non lo sapesse neppure la magistratura di Palermo che io collaboravo.

FAVA, Presidente della Commissione. Beh, insomma, avevate costruito una squadra di lavoro, c’erano stati più incontri a Caltanissetta, non era un lavoro del tutto sottotraccia, il vostro coinvolgimento non sarà sfuggito a molti.

CONTRADA, già dirigente della Polizia di Stato e del Sisde. L’inchiesta giudiziaria sul mio conto in sostanza ha avuto un momento di evidenza solo il 7 dicembre del ’92 quando, su segnalazione della Procura della Repubblica di Palermo, il Ministro dell’interno richiede la cessazione del distacco al Sisde e il rientro nel dipartimento della Polizia di Stato.

Il rapporto tra Contrada, Tinebra e La Barbera

In realtà Tinebra sa. Sa che su Contrada stanno indagando a Palermo, sa che Mutolo ha fatto il suo nome, lo sa ancor prima di incontrarlo per la prima volta. Eppure il procuratore di Caltanissetta non esita a dargli fiducia e ad appaltare al Sisde gli spunti investigativi più immediati. Il cui risultato, ricordiamolo, sarà proprio la relazione su Scarantino.

INGROIA, già magistrato. Dissi a Tinebra che Borsellino ci aveva riferito le cose che Mutolo gli aveva detto fuori verbale sul conto di Contrada. Questo glielo dissi l’indomani, il 20 o il 21 luglio… Me lo ricordo ancora, me lo ricordo molto bene, Tinebra in quell’accaldato mese di luglio, informale, in maniche di camicia, con perfino le maniche arrotolate, che mi accolse e mi disse “eh, so che tu sei…”

FAVA, presidente della Commissione. A Palermo?

INGROIA, già magistrato. A Palermo. Mi disse: “So che sei uno dei più stretti collaboratori di Borsellino, avremo tempo per raccogliere a verbale le tue dichiarazioni, ma vorrei sapere intanto se ci puoi fornire elementi che possono essere utili per le prime indagini”. Mi colpì un po’ che un Procuratore della Repubblica…

FAVA, presidente della Commissione. La modalità…

INGROIA, già magistrato. Esatto! Che un Procuratore di Repubblica decidesse di sentirmi a braccio, però, vabbè, io avevo trent’anni, non è che mi impuntai col Procuratore di Caltanissetta… per cui raccontai subito quello che mi era stato raccontato da Teresa Principato e Ignazio De Franscisci, i due sostituti ai quali sabato 18 luglio Paolo aveva raccontato questo incontro con Mutolo. Incontro in cui Mutolo gli aveva parlato del dottor Signorino (sostituto alla Procura di Palermo, morto suicida) e del dottor Contrada, e che lui aveva capito che c’erano delle pesanti collusioni… Quindi, io dissi a Tinebra questa cosa. Tinebra prese atto, non ha mai verbalizzato, io la verbalizzai due anni dopo, quando mi sentirono Boccassini e Fausto Cardella ma intanto abbiamo scoperto che Tinebra dopo la mia dichiarazione aveva affidato proprio a Contrada, in qualche modo, un compito investigativo diretto. Poi, a distanza di tempo, abbiamo scoperto che quel gruppo investigativo che aveva costituito Contrada su richiesta di Tinebra, e che collaborava, tra virgolette, alle indagini, era quello che aveva fatto un’informativa che fu chiave per ricostruire il presunto peso mafioso di Scarrantino… Certo, Contrada sapeva, qualcuno gli avrà detto che aveva il fiato sul collo dalla Procura di Palermo.

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FAVA, presidente della Commissione. Com’è possibile che due Procure, a distanza di 70 chilometri, entrambe fortemente coinvolte sul piano personale, professionale e giudiziario su questa indagine, anche se la titolarità diretta riguardava Caltanissetta, potessero dare questa valutazione opposta su un dirigente del Sisde e soprattutto non comunicare tra loro? E l’Alto Commissariato non avrebbe dovuto avere una funzione di coordinamento? Insomma, come poteva accadere che Caltanissetta e Palermo si muovessero in direzioni opposte sulle stesse vicende e rispetto alle stesse persone?

MARTELLI, già Ministro della Giustizia. Presidente io attribuisco, come dire alla sua eccezionale buona fede questa domanda, ma la storia della magistratura inquirente, soprattutto degli ultimi trenta, forse potremmo anche allargarci negli ultimi cinquant’anni, è talmente piena di episodi analoghi, di contrasti, contraddizioni, reciproche smentite, quando non reciproche guerre tra magistrati che francamente… La gravità dell’episodio non è nel comportamento della magistratura, è nella vittima: è Borsellino.

FAVA, presidente della Commissione. Lei dice che non possiamo stupirci.

MARTELLI, già Ministro della Giustizia. No.

FAVA, presidente della Commissione. Quando arrestano Scarantino, il 29 settembre del ’92, lei ebbe una interlocuzione con la Procura di Caltanissetta per commentare l’operazione?

MARTELLI, già Ministro della Giustizia. Ma sì, nell’immediato ci fu soddisfazione come è naturale, insomma, se il Procuratore di Caltanissetta, che è stato appena nominato, in così breve tempo, arriva ad individuare il responsabile in una strage efferata ed è reo confesso, va bene.

Resta nell’ombra, di quei sei mesi, il rapporto operativo fra Contrada e La Barbera, formalmente a capo del gruppo investigativo costituito ad hoc per le due stragi. E qui il ricordo offerto da Contrada in Commissione – su quella collaborazione e su La Barbera - si fa particolarmente puntuale. Anche su un punto controverso: la collaborazione - sotto copertura e retribuito - di La Barbera con i servizi segreti.

CONTRADA, già dirigente della Polizia di Stato e del Sisde. Io sono stato dieci anni al Sisde, dal marzo del 1982 al dicembre del ’92, dieci anni. Ho ricoperto incarichi anche di un certo rilievo. Sono stato il coordinatore dei centri Sisde della Sicilia e della Sardegna, sono stato il coordinatore dei centri del Lazio, il Capo di Gabinetto dell’Alto Commissario e così via. Non ho mai sentito dire, né mai qualcuno mi ha confidato, mi ha sussurrato, oppure ho capito io che il capo della Squadra Mobile di Palermo Arnaldo La Barbera sia stato un collaboratore del Sisde, un agente del Sisde. Di converso mi risulta, e questo lo posso testimoniare, che il Sisde e principalmente per volontà del suo direttore, veniva incontro ad esigenze economiche di funzionari di Polizia o che ricoprivano altri incarichi di notevole rilievo, Prefetti anche… Per il Prefetto di Palermo mi risulta personalmente.

FAVA, presidente della Commissione. Il prefetto di Palermo di quale epoca?

CONTRADA, già dirigente della Polizia di Stato e del Sisde. Il prefetto di Palermo nel periodo della strage Borsellino, parlo del prefetto Mario Iovine.

FAVA, Presidente della Commissione. E in che senso il Sisde aiutava economicamente il prefetto di Palermo?

CONTRADA, già dirigente della Polizia di Stato e del Sisde. Venivano destinate delle somme a chi era particolarmente impegnato in particolari settori, che non erano soltanto quelli della criminalità organizzata… dei contributi, non so come definirli, delle prebende, degli aiuti economici… del tipo come l’avevo io stesso. Quando veniva da Roma a Palermo l’Alto Commissario, prefetto De Francesco, mi portava una busta con un assegno della Banca nazionale del Lavoro di cinquecentomila lire, duecentocinquanta euro di oggi. Era un di più oltre il mio stipendio per l’incarico che ricoprivo di suo Capo di Gabinetto, ecco… E per La Barbera che alloggiava in albergo…

FAVA, presidente della Commissione. Stiamo parlando del prefetto di Palermo. Perché il Sisde avrebbe dovuto dare, diciamo, degli emolumenti al prefetto Iovine? A che titolo?

CONTRADA, già dirigente della Polizia di Stato e del Sisde. …non so, c’è tutta la questione dei fondi neri del Sisde, no? Tutta l’indagine che è stata fatta a Roma, dove si è parlato anche di questi fondi che venivano erogati così, addirittura si parlava di una somma mensile per il Ministro dell’interno, per i suoi fondi, le sue spese riservate, diciamo.

FAVA, presidente della Commissione. Ma che spese riservate avrebbe potuto avere il Prefetto di Palermo nell’estate del ’92? Questo non riusciamo a capire.

CONTRADA, già dirigente della Polizia di Stato e del Sisde. Dico spese riservate per il Ministro dell’interno, non per il Prefetto di Palermo. Era un contributo che il servizio dava tramite l’Ufficio, c’era proprio una segreteria particolare di fondi riservati… che non ne rende conto la Corte dei Conti, no?

FAVA, presidente della Commissione. Sono fondi non registrati.

CONTRADA, già dirigente della Polizia di Stato e del Sisde. …sono stati dati dieci milioni ad un confidente, per esempio…

FAVA, presidente della Commissione. Ma il Prefetto di Palermo, non avendo funzioni investigative o giudiziarie, non avendo bisogno di risorse in nero per pagare collaboratori o confidenti a che titolo doveva essere pagato?

CONTRADA, già dirigente della Polizia di Stato e del Sisde. Magari era particolarmente esposto, lontano dalla famiglia…

FAVA, presidente della Commissione. E perché era il Sisdea pagare e non l’amministrazione dell’Interno?

CONTRADA, già dirigente della Polizia di Stato e del Sisde. …è che normalmente non portavano le famiglie…

FAVA, presidente della Commissione. Ma quindi possiamo dire che il Prefetto di Palermo aveva un rapporto di collaborazione col Sisde?

CONTRADA, già dirigente della Polizia di Stato e del Sisde. Che collaborazione poteva dare al Sisde il Prefetto di Palermo?

FAVA, presidente della Commissione. Se il Sisde lo pagava dobbiamo immaginare che ci fosse una contropartita.

CONTRADA, già dirigente della Polizia di Stato e del Sisde. Guardi, io mi sono convinto che anche questa storia di…

FAVA, presidente della Commissione. …La Barbera?

CONTRADA, già dirigente della Polizia di Stato e del Sisde. …della retribuzione, chiamata retribuzione, ma non saprei…

FAVA, presidente della Commissione. C’era anche un nome in codice assegnato a La Barbera: “Rutilius”.

CONTRADA, già dirigente della Polizia di Stato e del Sisde. Si davano questi nomi in codice come si davano ai confidenti, no? Per dare una spiegazione dell’erogazione di queste somme e quindi a lui si vede che gli avevano dato il nome “Rutilius”.

FAVA, presidente della Commissione. Questo tipo, diciamo, di sostegno economico nel caso di La Barbera, nel caso di Iovine, da chi era gestito? Dal direttore del servizio? Era informata l’amministrazione dell’Interno? La Presidenza del Consiglio?

CONTRADA, già dirigente della Polizia di Stato e del Sisde. Ma si faceva per tante occasioni. Adesso, per esempio, io so perché avevo allora rapporti, il Sisde pagava lo stipendio al Segretario particolare del Prefetto di Palermo, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, lui si era portato questo Segretario particolare che era un vecchio Maresciallo dei Carabinieri in pensione che veniva retribuito dal Centro Sisde di Palermo.

FAVA, presidente della Commissione. Ma perché l’aiuto economico l’avrebbe dovuto dare il Sisde e non, per esempio, il Ministero dell’Interno o la Presidenza del Consiglio? A che titolo il Sisde aveva questa funzione di sostegno economico di fronte ad altre amministrazioni dello Stato che avevano più titolo per intervenire? La risposta è perché probabilmente c’era anche la possibilità di avere da queste persone delle informazioni.

CONTRADA, già dirigente della Polizia di Stato e del Sisde. È il Sisde che deve dare le informazioni agli organi di Polizia, non è che la Polizia deve dare le informazioni al Sisde.

FAVA, presidente della Commissione. E La Barbera?

CONTRADA, già dirigente della Polizia di Stato e del Sisde. Io sono convinto che il dottor La Barbera, per un periodo di tempo, quando era Capo della Squadra Mobile di Palermo aveva un contributo, un aiuto economico mensile dal Sisde tramite l’intervento di un suo carissimo amico che è stato il suo, come dire, tutor…

FAVA, presidente della Commissione. Il suo tutore, diciamo, istituzionale.

CONTRADA, già dirigente della Polizia di Stato e del Sisde. …quello che era intervenuto per farlo mandare a Palermo come Capo della Squadra Mobile, il dottor Luigi De Sena, che era un alto funzionario del Sisde, era il capo dell’Uci, dell’Unione Centrale Informativa… Siccome al dottor La Barbera piaceva soggiornare in albergo, quindi, per venire incontro alle sue esigenze economiche gli faceva avere mensilmente il denaro.

L’idea di Contrada su Scarantino

Infine Scarantino. L’informativa del Sisde, abbiamo detto, è la pietra miliare su cui si costruisce ‘impianto del depistaggio. Ma che opinione aveva realmente Contrada di Scarantino?

SCHILLACI, componente della Commissione. Ma non ebbe la sensazione che Scarantino fosse una persona, diciamo, che viveva di espedienti, non era una persona di spicco che avrebbe potuto organizzare la strage di via D’Amelio?

CONTRADA, già dirigente della Polizia di Stato e del Sisde. Io ho fatto polizia giudiziaria per più di venti anni a Palermo, nella mia attività professionale ho conosciuto decine, centinaia di mafiosi. Ho studiato la mafia e gli uomini di mafia, la mentalità mafiosa, il comportamento, l’atteggiamento, il gergo della mafia… Io posso dire soltanto una cosa, che se avessi trattato io Vincenzo Scarantino, trattato nel senso di colloqui e d’indagini su di lui, dopo ventiquattro ore mi sarei accorto che era un cialtrone e che raccontava cose non vere.

FAVA, presidente della Commissione. E come mai non se n’è accorto il dottor La Barbera che era uomo di grande esperienza anche in Sicilia?

CONTRADA, già dirigente della Polizia di Stato e del Sisde. Io non ho mai avuto a che fare con Scarantino, non l’ho mai visto, non ho mai fatto un minimo accenno d’indagini su di lui. L’unica cosa che son venuto a sapere è che questo Vincenzo Scarantino era un parente di un mafioso della zona sua…

FAVA, presidente della Commissione. Dottor Contrada, proprio perché lei avrebbe avuto, conoscendolo, questa immediata impressione sulla pochezza criminale di Scarantino, le chiedevo come mai, secondo lei, un poliziotto di antica e collaudata esperienza come La Barbera dopo decine di colloqui investigativi e rapporti personali con Scarantino ha continuato fino alla fine a credere che fosse un attendibile efficace collaboratore di giustizia.

CONTRADA, già dirigente della Polizia di Stato e del Sisde. Signor Presidente, io non voglio apparire come quello che parla di persone che non possono più difendersi o contraddirmi… però è necessario che io le dica una cosa: che ci sono degli organismi di polizia giudiziaria, in primo piano quello di Palermo, ma poi anche quello di Catania, di Reggio Calabria e di Napoli, che non possono essere affidati a funzionari, anche dotati di buona cultura, di intelligenza, di acume, di perspicacia, ma che non hanno un’esperienza di anni e anni di lavoro, di conoscenza, di frequentazione con i criminali della ‘ndrangheta, della mafia, della camorra. A Firenze si può mandare a fare il capo della Squadra Mobile uno che non ha mai fatto Polizia giudiziaria a Firenze. A Palermo, no.

FAVA, presidente della Commissione. Al dottor La Barbera hanno affidato la direzione del gruppo investigativo “Falcone-Borsellino”.

CONTRADA, già dirigente della Polizia di Stato e del Sisde. Quando io ho letto, negli anni successivi, i nomi dei 25 componenti del gruppo “Falcone-Borsellino”... Dico, ma questi qua che esperienza avevano? Non li avevo mai sentiti questi nomi. Come si fa ad affidare a loro un’indagine su un delitto come la strage di via D’Amelio dove vengono ucciso un Procuratore aggiunto e cinque agenti di polizia?

FAVA, presidente della Commissione. Che risposta si è dato?

CONTRADA, già dirigente della Polizia di Stato e del Sisde. Il dottor La Barbera sarà stato un ottimo funzionario di Polizia, un ottimo investigatore, un ottimo poliziotto, ma ha fatto servizio sempre nel nord… è venuto a Palermo che non sapeva neppure dov’era di casa la mafia e forse ne sapeva di mafia meno di mia madre!

FAVA, presidente della Commissione. Però, mi faccia dire, siamo di fronte alle due più clamorose stragi terroristico-mafiose che abbiamo conosciuto, Capaci e via D’Amelio, e ci troviamo con un Procuratore della Repubblica a Caltanissetta che dichiara candidamente “io non capisco nulla di mafia”, con un gruppo di investigazione affidato ad un funzionario che lei mi dice di mafia ne capisce meno di sua madre… È soltanto un problema di superficialità o c’è altro?

CONTRADA, già dirigente della Polizia di Stato e del Sisde. Ma secondo lei io non ho pensato questo? Anche se non l’ho mai detto a nessuno e non vorrei dirlo, anche perché il dottor Giovanni Tinebra, purtroppo, non c’è più… però io uscendo da quell’incontro con lui dissi: «ma come fa questo qua a condurre un’inchiesta giudiziaria su fatti di questo genere?» Qua c’era un’impreparazione generale e ci metto anche il Sisde dove io facevo servizio perché tranne la mia modestissima persona e qualche vecchio sottoufficiale, i miei superiori non conoscevano la Sicilia neppure per motivi turistici.

FAVA, presidente della Commissione. Allora, dottor Contrada, può darsi che non ci fosse soltanto ingenuità… Voglio dire: strumenti investigativi, professionalità, capacità, competenza esistevano a Palermo, la polizia giudiziaria aveva affrontato e risolto indagini molto complesse. Quando si decide di estromettere di fatto tutta l’esperienza investigativa siciliana per affidarsi ad un gruppo costruito sulla carta, affidato ad un funzionario che – almeno per ciò che dice lei - non ne capisce nulla di mafia, c’è anche il sospetto che forse non si voleva davvero un’investigazione professionale su quello che aveva determinato la strage di via D’Amelio. E forse il depistaggio e i 17 anni senza verità ne sono anche una conferma.

CONTRADA, già dirigente della Polizia di Stato e del Sisde. Non è soltanto questo. Poi ci sta l’ambizione esasperata, perché l’ambizione di carriera è umana, di volere andare avanti nella carriera. Anch’io non volevo rimanere sempre Commissario, volevo diventare Commissario Capo e poi Vicequestore aggiunto e poi primo dirigente… ma non in maniera esasperata passando su tutto e su tutti, “vestendo i pupi”, come nel gergo si dice, cioè sostenendo delle tesi che sono manifestamente infondate, assurde, piste investigative impercorribili perché manifestamente non conducenti, e tutto solo per la bramosia della carriera, di avere un grado in più insomma.

Solo una vendetta di mafia?

Bramosie di carriere, suggerisce Bruno Contrada. Forse. Ma probabilmente non solo questo. Il ruolo giocato dal Sisde in quell’estate del ‘92, assieme ad altri protagonisti e comprimari, qualunque sia stata la molla iniziale, determina un arretramento traumatico della soglia della verità giudiziaria e processuale. Per diciassette anni quel depistaggio – voluto, protetto, subito da molti corpi dello Stato - blinda la strage di via D’Amelio dentro una formula assolutoria: fu solo una vendetta mafiosa.

Il contesto, suggeriva il procuratore generale Scarpinato, come abbiamo scritto nelle prime pagine di questa relazione. E in quel contesto è difficile immaginare per i servizi d’intelligence che forzature e reticenze, fondi neri e agenti coperti, siano stati solo il prodotto d’un legittimo desiderio di carriera.

C’era altro, dice Scarpinato: anzi, c’è altro.

SCARPINATO, Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Palermo. Quando parliamo di Servizi, secondo me dobbiamo avere la mente a quello che hanno fatto i Servizi fino alla caduta del muro di Berlino. C’è stata una parte dei servizi che ha avuto una fedeltà atlantica superiore alla Costituzione e che obbediva più a interessi esterni, sull’altare dell’anticomunismo, con la necessità, quindi, per questa finalità di fare anche operazioni sigillate e coperte che prevedevano omicidi e stragi… Stiamo parlando di apparati dello Stato che si sono mossi nell’ambito di interessi, non solo nazionali ma internazionali. È questo il punto.

Quanto cade il Muro di Berlino, tutte le protezioni che avevano garantito sino ad allora questi personaggi, improvvisamente vengono meno… Non c’era solo l’esigenza di coprire un funzionario corrotto, si trattava di coprire settori dei Servizi che avevano fatto una guerra sporca, perché questo era accaduto, e che non ci stavano a essere sacrificati perché erano cambiati gli equilibri internazionali.

Quali siano state le tappe di questa “guerra sporca” va oltre le intenzioni di questa relazione e ci porterebbe fuori tema. Ma forse è tempo che su questo tema si apra una riflessione che non può essere confinata solo nelle aule parlamentari né delegata alle iniziative della magistratura. In fondo, attraverso quelle tappe e quella guerra sporca passa l’anima profonda della nostra storia repubblicana.

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