Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata al depistaggio sulla strage di via D’Amelio, nella quale morirono Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

Le riunioni di Enna sono uno dei capitoli più importanti e dirimenti dell’intera stagione stragista di Cosa nostra. Siamo alla fine del 1991, e i capi della commissione regionale di Cosa nostra per diversi mesi soggiornano nelle campagne della provincia ennese, territorio meno a rischio di altri, per incontrarsi ripetutamente e discutere la nuova strategia stragista dell’organizzazione. Obiettivo: un progetto di destabilizzazione del Paese.

Così le ricostruisce per la Commissione il procuratore Scarpinato.

SCARPINATO, Procuratore Generale presso la Corte d’Appello Palermo. Tra la fine del 1991 e gli inizi del 1992 si tengono contemporaneamente in Calabria, in Sicilia, una serie di riunioni tra i massimi vertici della ‘ndrangheta e della mafia per discutere un progetto politico di destabilizzazione violenta molto complesso. Le prime riunioni sono soltanto tra quattro capi: Santapaola, Riina, Provenzano e Giuseppe Madonia di Caltanissetta; poi progressivamente si allargano agli altri capi componenti della commissione regionale di cosa nostra. In queste riunioni veniva preso atto che i vecchi referenti politici di Cosa nostra non erano più in grado di garantire, com’era avvenuto in passato, gli interessi dell’organizzazione: occorreva, testualmente, “buttarli giù” e sostituirli con un nuovo soggetto politico. A tal fine occorreva porre in essere una strategia terroristica di attacco violento allo Stato, con stragi ed altri atti eclatanti in modo da creare un clima di panico di sfiducia nella popolazione, idonea a destabilizzare il vecchio ordine politico ed a propiziare la discesa in campo di un nuovo soggetto politico in fase di formazione.

In quella fase storica il nuovo soggetto politico era una lega meridionale che, alleandosi con la Lega Nord, soggetto allora in fortissima ascesa politica, avrebbe dato vita ad una maggioranza parlamentare in grado di varare una riforma federale dello Stato con la divisione dell’Italia in tre macro Regioni: la macroregione del Nord, una del Centro, una del Sud che avrebbe ricompreso (la Sicilia, la Campania e la Calabria, realizzando di fatto una sorta di secessione.

L’esecuzione delle stragi e degli omicidi finalizzata all’azione di destabilizzazione era stata delegata a Cosa nostra ed alla ‘ndrangheta; su espressa indicazione di Riina le azioni violente dovevano essere rivendicate con la sigla Falange Armata. La scelta degli obiettivi da colpire doveva essere in primo luogo funzionale alla realizzazione globale del piano di riassetto politico ed in tale ambito cosa nostra poteva colpire anche i suoi nemici storici come Falcone ed altri, realizzando così una convergenza di interessi. (…)

Nei documenti allegati dal dottor Scarpinato ed acquisiti da questa Commissione sono riportate le dichiarazioni, al riguardo, di più di dodici collaboratori, tra cui Leonardo Messina, il quale rivelò a Paolo Borsellino, ai primi di luglio del 1992, i tratti essenziali del piano di destabilizzazione discusso ad Enna, rifiutandosi, tuttavia, di verbalizzare perché era ancora privo del piano di protezione.

Questo invece è il racconto che Filippo Malvagna fa su quei summit nel corso del processo c.d. “‘ndrangheta stragista”.

Mio zio, Giuseppe Pulvirenti (“U’ Malpassotu”, ndr.) mi raccontò che c'era stata una riunione in provincia di Enna dove si erano incontrati tutti i vertici delle varie famiglie in Sicilia… La riunione era presieduta da Totò Riina e da Santapaola. (…) Bisognava destabilizzare… si doveva fare confusione per non fare capire da dove provenisse questo terremoto e Riina disse di rivendicare gli atti terroristici con la 'Falange armata' di cui non avevo mai sentito parlare. Mio zio mi disse: “se zio Totò ha deciso così, vuol dire che sa quello che fa”. (…) Secondo Riina bisognava depistare, confondere e si doveva fare credere che fosse tornato in atto un gruppo terroristico.

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