Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata a don Pino Puglisi, parroco che aveva sfidato i boss del quartiere Brancaccio a Palermo offrendo ai ragazzi un’alternativa ai fratelli Graviano, ucciso nel 1993.

Attraverso le tante prove accumulate nel corso di una lunga ed incessante istruzione dibattimentale svoltasi avanti i giudici del primo grado di giudizio, è stato acclarato, in maniera incontrovertibile, come già detto, che la posizione preminente in seno al sodalizio criminoso del famigerato quartiere di Brancaccio, all’epoca dell’uccisione del sacerdote, da liberi ma pur durante la latitanza e successivamente anche dal carcere, era di entrambi i fratelli Graviano, Giuseppe e Filippo, odierni imputati.

Giuseppe Graviano, libero e non ancora latitante, si occupava prevalentemente di strategie ed azioni sul campo: capeggiava il “gruppo di fuoco” creato per la commissione dei più svariati reati connotati dal comune denominatore di procacciare entrate finanziarie alla famiglia e mantenere saldo il predominio nel quartiere, che, successivamente, ed in particolare dopo il suo arresto, venne capeggiato da Mangano Antonino, considerato suo “alter ego”.

Flippo Graviano aveva anch’egli un ruolo preminente nell’ambito di quel sodalizio criminoso locale: era collocato non già in un “gradino inferiore”, sibbene alla pari con il fratello al vertice della famiglia, anche se con mansioni più strettamente, ma non esclusivamente, inerenti alla gestione finanziaria dei crimini.

Questa ripartizione di potere criminale fra i due fratelli, tuttavia, non incideva minimamente sulla collocazione di entrambi “ex aequo” al vertice di quell’aggregato mafioso, sì che tutto promana indifferentemente da loro, senza che l’uno fosse più o meno attivo dell’altro, senza che l’uno primeggiasse o fosse meno capace dell’altro ad attuare la gestione familiare dei crimini e ad imporre il loro dominio sul territorio. Essi, quindi, “insieme” comandavano, promuovevano e gestivano gli affari illeciti, uccidevano e facevano uccidere, ed avevano un ritorno economico della collaudata “partnership” familiare mafiosa.

Non solo non è distinto il ruolo dei due ma addirittura è giudicato paritario scorrendo tutte le numerose dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e dei vari inquirenti, anche se formalmente il capo mandamento veniva indicato nella persona di Giuseppe.

Alla luce degli elementi probatori versati in atti, infatti, risulta pacificamente acclarato l’inserimento, con posizione di preminenza, e paritaria, dei due fratelli, Giuseppe e Filippo Graviano, nell'organizzazione criminale “Cosa Nostra”, indipendentemente dall’attribuzione di qualunque carica formale.

Al vertice del mandamento 

Questo primato criminale, questo loro dominio incontrastato nella zona viene così descritto dai giudici del primo grado di giudizio: “Il quartiere di Brancaccio si presentava, all’epoca dei fatti, come uno di quelli a più alta densità delinquenziale, in cui era maggiormente radicata la presenza di dinastie mafiose di consolidata origine e tradizioni ed in cui il potere sul territorio era mantenuto attraverso l’uso della forza militare e della violenza. La cosca mafiosa di Brancaccio era, nei primi anni novanta, saldamente nelle mani dei fratelli Graviano…” Giuseppe e Filippo. [...].

E convergenti erano anche le volontà dei due fratelli Graviano nell’ideazione, decisione e realizzazione delle varie azioni criminose perpetrate nella zona e non, per le necessità funzionali della famiglia, in considerazione del loro ruolo paritario di vertice rivestito in seno a quell’aggregato mafioso di Brancaccio.

Il ruolo di questo fratello è tanto importante al punto che gli affiliati non sono in grado spesso di distinguere le posizioni dei due ed enunciano una sorta di comunanza indistinta di ruoli, sia in virtù del rapporto di fratellanza che lega i due, sia a causa della consapevolezza che la volontà dell’uno non possa non coincidere con quella dell’altro: «erano come la stessa persona» ha precisato sintomaticamente il collaborante Brusca Giovanni.

Comunanza indistinta di ruoli, quindi: tutto promana indifferentemente dai Graviano, sicuramente individuati nei fratelli Giuseppe e Filippo, odierni imputati, indiscussi dominatori del quartiere.

La volontà indistinta degli stessi diviene il cardine di ogni manifestazione esteriore degli intenti criminosi da realizzare. Anche Graviano Filippo, quindi, all’epoca dei fatti che ci occupano, era incontrastato capo “ex equo” di quello scacchiere mafioso; e, insieme al fratello Giuseppe, che si interessava prevalentemente del settore operativo, egli si occupava della gestione familiare dei crimini, in posizione del tutto paritaria, anche se, come detto, con mansioni più strettamente, ma non esclusivamente, inerenti all’aspetto finanziario.

Stante il loro provato inserimento, con posizioni di preminenza, nell’organizzazione criminale “Cosa Nostra”, tra i due fratelli vi era anche un acclarato consueto accordo decisionale non solo per la gestione degli affari illeciti della famiglia ma anche per la realizzazione di tutte le azioni criminosa in genere. Unicità di intenti criminosi da realizzare, quindi.

[…] Tutto promana, indifferentemente ed indistintamente dai “picciotti”, tanto che anche il Mangano sovente usa espressioni quali: «i picciotti hanno mandato a dire…», «i picciotti dicono…».

Espressioni che confermano la loro indiscussa posizione di preminenza in seno alla famiglia e che sono in grado di farci individuare le loro comuni responsabilità in ordine ai singoli fatti delittuosi perpetrato nell’interesse e per le esigenze di quell’aggregato mafioso e, per quanto qui ci occupa, in ordine all’omicidio del povero padre Puglisi.

Ed invero, in quanto collocati al vertice del sodalizio criminoso del quartiere di Brancaccio, in posizione del tutto paritaria, essi soltanto, e non altri, avevano il potere supremo di impartire l’ordine di uccidere un esponente locale del clero cattolico, secondo le precise ed inderogabili regole del sistema mafioso o antistato.

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