Su Domani continua il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dopo la serie sull’omicidio di Mario Francese e quella sul patto tra Cosa Nostra e i colletti bianchi, raccontiamo adesso la seconda guerra di mafia, quarant’anni dopo.

Alle ore 11 circa del 9 giugno 1981, con telefonata anonima veniva segnalata una sparatoria verificatasi presso una conceria di pelli ubicata in via Messina Montagna. Gli agenti della Squadra Mobile localizzavano detta conceria al civico 166 di Corso Dei Mille e qui, nei pressi di un cancello metallico, rinvenivano posteggiata, con il senso di marcia rivolto verso l'ingresso della conceria, una Fiat 132 di colore bleu.

Sull'asfalto, alla destra di detta auto, rinvenivano tre proiettili deformati ed una grande macchia di sangue.

I presenti riferivano che proprio in quel punto era stato fatto segno a colpi di arma da fuoco DI NOTO FRANCESCO, il cui cadavere era stato rimosso e trasportato all'interno degli uffici della conceria.

Si apprendeva, inoltre, che, al momento della sparatoria, all'interno della conceria vi erano i dipendenti ZARCONE GIUSEPPE e VARISCO NICOLO', intenti a caricare delle pelli su un autocarro.

Lo ZARCONE riferiva che quella mattina, verso le ore 10,30, mentre era intento a lavorare dentro al deposito, aveva sentito distintamente cinque o sei colpi di arma da fuoco esplosi all'esterno del cancello di ingresso e, accorso, aveva rinvenuto il corpo esanime del suo datore di lavoro.

Era quindi, corso ad avvisare il fratello della vittima, DI NOTO GIACOMO, titolare di altra conceria all'Acqua Dei Corsari e, con la sua autovettura, si era recato ad avvertire altri congiunti in via Oreto e l'altro fratello della vittima, DI NOTO VINCENZO, sanitario presso l'Ospedale di Carini.

Era tornato verso le 12,30 ed aveva notato che il corpo del DI NOTO era stato rimosso e trasportato all'interno della conceria.

Escludeva di aver visto gli autori dell'omicidio e di aver sentito un'auto allontanarsi dopo la sparatoria.

VARISCO NICOLO' rendeva una identica versione dei fatti.

Apparentemente un normale imprenditore

DI NOTO GIACOMO riferiva di essere stato informato telefonicamente dell'omicidio dai dipendenti del fratello e, accorso, aveva notato il corpo dello stesso a circa due metri dal cancello d'ingresso accanto alla sua autovettura con lo sportello lato guida aperto. Gli stessi dipendenti gli avevano riferito di aver sentito sparare all'esterno mentre stavano effettuando un carico, ma di non aver visto gli esecutori materiali dell'omicidio.

DI NOTO VINCENZO riferiva di essere stato avvertito dell'omicidio da suo fratello GIACOMO il quale, a mezzo di furgone guidato da un suo dipendente, si era recato all'Ospedale di Carini ove prestava servizio. Entrambi avevano raggiunto la conceria ed avevano trovato il corpo del fratello che giaceva riverso accanto alla propria autovettura.

Credendo che il fratello fosse ancora vivo, lo avevano trasportato all'interno della conceria ove, constatatane la morte, avevano telefonato alla polizia.

Riferiva, altresì, che la vittima aveva acquistato di recente diversi appartamenti, un terreno nei pressi di Villabate per la costruzione di un centro residenziale, nonché degli uffici in via Libertà ove aveva intenzione di intraprendere l'attività di vendita di pelli in campo internazionale, acquistando il prodotto anche in Cina ove varie volte si era recato per indagini di mercato.

Anche DI NOTO GIACOMO riferiva come la vittima fosse intenzionata ad edificare alcuni appartamenti nella zona di Corso Dei Mille su di un'area di proprietà della moglie TARGIA SANTA e come di recente avesse acquistato due appartamenti in via Libertà, in uno dei quali vi era la ditta "TARGIA SANTA" per il commercio di pellami.

Ammetteva che, sia lui che il fratello, essendo originari della zona di Corso Dei Mille, conoscevano i fratelli BONTATE, i GRECO ed i MARCHESE, ma che con gli stessi vi erano stati solo dei rapporti di pura e semplice amicizia.

TARGIA SANTA, vedova del DI NOTO, riferiva che questi si dedicava da tempo alla raccolta delle pelli ed aveva "il pallino" del costruttore edile. Recentemente aveva ripreso tale sua attività imprenditoriale ed era intenzionato ad edificare uno stabile in prossimità della via Conte Federico, ove aveva acquistato un terreno.

Sia il terreno che la licenza edilizia erano stati intestati a lei, come pure a lei erano intestate altre attività del marito.

Recentemente il marito aveva costituito la società "SICILPELLE" con sede in via Libertà, della quale era Amministratore Unico, con lo scopo di interessarsi di importazioni di pellami anche dalla Cina, paese nel quale il marito si era recato in passato.

Escludeva, comunque, che il marito avesse avuto rapporti di affari con STEFANO BONTATE o SALVATORE INZERILLO - recentemente assassinati -, nonché con i GRECO di Ciaculli.

Per la polizia, invece, tale omicidio doveva essere posto in rapporto con altri omicidi verificatisi a seguito della destabilizzazione di vecchi equilibri in seno alle famiglie mafiose esistenti nella zona e delle quali il DI NOTO era uno dei più eminenti esponenti.

Dagli accertamenti patrimoniali e bancari si evinceva la notevole disponibilità economica del DI NOTO il quale, appunto, risultava venditore ed acquirente di innumerevoli unita' immobiliari.

La personalità del DI NOTO - genericamente indicato dalla polizia come esponente di spicco delle famiglie mafiose - cominciava gradatamente ad emergere attraverso le dichiarazioni di vari soggetti che, per la loro contiguità o per la loro appartenenza a dette famiglie, erano in grado di riferire circostanze più concrete sulla vittima.

CALZETTA STEFANO per primo riferiva come dopo l'uccisione di STEFANO BONTATE fossero stati eliminati molti dei suoi amici più fidati, tra i quali DI NOTO FRANCESCO, titolare di una conceria di pelli in via Messina Montagne.

Tale dichiarazione del CALZETTA circa la collocazione del DI NOTO tra gli amici di STEFANO BONTATE, trovava conferma in quelle di TOMMASO BUSCETTA il quale collocava questi all'interno della famiglia di Corso Dei Mille, ed in posizione di tutta preminenza.

Parlando di detta famiglia il BUSCETTA riferiva: «Diversi anni addietro il capo era PIETRO CHIARACANE. Alla sua morte, avvenuta oltre venticinque anni fa, vi fu un lungo periodo di interregno poiché la famiglia in questione e' molto turbolenta e tutt'altro che omogenea. Per lunghi anni e credo dal 1971 al 1979 la reggenza della famiglia fu affidata ad un certo FRANCO NOTO, che io ho conosciuto personalmente negli anni '60 e sul quale posso fornire i seguenti dati somatici: attualmente dovrebbe avere 50-55 anni, alto circa mt.1,75, portava gli occhiali essendo molto miope, carnagione chiara: se non erro commerciava in pellame». Aggiungeva che, dopo tale periodo, era stato nominato il capo di tale famiglia nella persona di un MARCHESE, forse FILIPPO, inteso "MILINCIANA".

Successivamente il BUSCETTA riconosceva il "NOTO FRANCO" nella foto del DI NOTO FRANCESCO, del quale aveva già parlato come "reggente" della famiglia di Corso Dei Mille.

Anche SALVATORE CONTORNO elencando i membri della famiglia di Corso Dei Mille, indicava quale componente della stessa FRANCESCO DI NOTO, "ucciso".

Come già si è ripetutamente detto, la "guerra di mafia" non ha posto di fronte famiglie "perdenti" e famiglie "vincenti" nella loro interezza, ma ha interessato solo quegli elementi che, per amicizia e fedeltà a STEFANO BONTATE, SALVATORE INZERILLO, GAETANO BADALAMENTI ed altri, - potevano opporsi alla strategia di egemonia portata avanti dai corleonesi, dai GRECO e dai loro accoliti.

Non v'è dubbio che il DI NOTO rientrasse nel novero degli "amici" del BONTATE ed in tale qualità, nonché per il prestigio in passato goduto e che lo aveva portato ad essere il "reggente" della famiglia di Corso Dei Mille, dovesse essere eliminato.

La sua uccisione rientra chiaramente nel programma criminoso deciso ed attuato dalla "Commissione" nonché da alcuni elementi mafiosi, primo dei quali proprio FILIPPO MARCHESE che nel DI NOTO - già reggente della famiglia di cui ora il "MILINCIANA" era stato nominato capo - doveva vedere un pericoloso concorrente.

Testi tratti dall'ordinanza del maxi processo

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