Su Domani continua il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dopo la serie sull’omicidio di Mario Francese e quella sul patto tra Cosa Nostra e i colletti bianchi, raccontiamo adesso la seconda guerra di mafia, quarant’anni dopo.

La feroce contesa ha pressoché totalmente azzerato il gruppo dei perdenti e rafforzato il fronte dei vincenti, con l'eliminazione di quegli elementi che, per i motivi più vari, potevano ostacolare con successo i programmi dei corleonesi, e, cioè, in ultima analisi, dei personaggi più moderati, ed ormai anacronistici in un'organizzazione sempre più violenta e sanguinaria.

Ciò che colpisce è che, quasi contemporaneamente, tutte le organizzazioni provinciali di "Cosa Nostra" hanno subito analoghi rivolgimenti interni. Ed infatti, [...], a Catania NITTO SANTAPAOLA, con l'eliminazione di ALFIO FERLITO attuata con l'aiuto dei palermitani, è rimasto incontrastato padrone del campo; a Caltanissetta, dopo l'eliminazione di GIUSEPPE DI CRISTINA, nonché di FRANCESCO CINARDO, particolarmente legato a STEFANO BONTATE, è stata messa a tacere l'ala moderata.

Nell'agrigentino numerose uccisioni, fra cui, soprattutto, quella di CARMELO COLLETTI, "capo-mandamento", hanno eliminato altri personaggi scomodi; e, a Trapani, i RIMI, potenti alleati e parenti di GAETANO BADALAMENTI, sono stati posti in fuga, lasciando cosi' mano libera a MARIANO AGATE, asservito ai corleonesi.

Oggi, pertanto, "Cosa Nostra", si presenta come un blocco monolitico e coeso, e, in quanto tale, assai più pericoloso di prima.

E che gli omicidi di cui si è fin qui parlato siano da inquadrare in un unico disegno ideato ed attuato dai corleonesi e dai loro alleati risulta ulteriormente confermato - se pure occorresse - dall'esame comparativo dei reperti balistici effettuati dal perito d'ufficio Prof. MORIN, il quale ha accertato che: A) un medesimo revolver, con anima solcata da cinque rigature destrorse, era stato impiegato negli omicidi di FICANO GASPARE, FICANO MICHELE, GENOVA GIUSEPPE, D'AMICO ANTONIO, D'AMICO ORAZIO, AMODEO PAOLO, AMODEO GIOVANNI; B) un medesimo revolver, con anima solcata da otto rigature destrorse, era stato impiegato per gli omicidi di FICANO MICHELE, FICANO GASPARE e AMODEO PAOLO; C) una medesima pistola semiautomatica cal. 7,65 "Browning" era stata impiegata negli omicidi di TERESI FRANCESCO PAOLO e IENNA MICHELE, nonché (secondo il Gabinetto Regionale della Polizia Scientifica) nell'omicidio di DI FRESCO GIOVANNI.

Non una semplice “guerra”

[…] Risulta ampiamente dimostrato dalle pagine che precedono che, a differenza della prima "guerra di mafia", quella successiva si è concretata, in realtà, nella sistematica eliminazione, da parte dei corleonesi - che in Ciò si sono ampiamente avvalsi di traditori e di "infiltrati" - di ogni avversario, a qualunque "famiglia" appartenesse.

Non si è trattato, quindi, di una rottura traumatica dell'ordine formale di "Cosa Nostra" nè tanto meno, di uno scontro armato tra "famiglie" o tra una o più "famiglie" e la "Commissione". più semplicemente si è trattato della cinica eliminazione di capi e gregari di varie "famiglie", cui si sono surrogati i traditori a titolo di compenso per il loro tradimento. Per conseguenza, appare conforme alla più rigorosa logica ritenere che coloro i quali, per effetto della c.d. "guerra di mafia", hanno accresciuto il loro potere ed hanno preso il posto dei defunti capi, non possono essere estranei al disegno criminoso che ha ridotto "Cosa Nostra" ad un docile strumento in mano ai corleonesi.

[…] Va - infine - precisato che i componenti dell'organismo direttivo di "Cosa Nostra", responsabile di tutti i delitti, sono stati individuati grazie alle dichiarazioni di BUSCETTA e di CONTORNO e di altri c.d. pentiti la cui attendibilita' emerge un po' da tutta la presente trattazione. Comunque, nella valutazione riassuntiva degli elementi a carico dei singoli imputati, queste risultanze saranno ulteriormente puntualizzate.

Ciò premesso, appare chiaro che debbono rispondere dei crimini determinati dalla c.d. guerra di mafia i seguenti imputati, componenti della "Commissione": RIINA SALVATORE, BERNARDO PROVENZANO, GIUSEPPE GRECO fu NICOLA ("SCARPAZZEDDA"), GRECO MICHELE, BRUSCA BERNARDO, SCAGLIONE SALVATORE, GIUSEPPE CALO', GERACI ANTONINO (ZU' NENè, nato 2.1.1917), MOTISI IGNAZIO, GRECO LEONARDO, MADONIA FRANCESCO, DI CARLO ANDREA, SCADUTO GIOVANNI, ROSARIO RICCOBONO.

Al riguardo, sono necessarie alcune precisazioni.

Per quanto concerne SALVATORE SCAGLIONE, vi sono fondati elementi per ritenere - come hanno concordemente sostenuto TOMMASO BUSCETTA, SALVATORE CONTORNO e LUIGI FALDETTA e come si deduce altresì dalla sparizione di altri membri della sua "famiglia" (Noce) - che lo stesso sia stato soppresso dai suoi alleati di un tempo.

In mancanza, però, di iniziative al riguardo da parte dell'Ufficio del P.M., che probabilmente ha ritenuto gli elementi acquisiti circa l'uccisione dello SCAGLIONE non sufficientemente univoci, non resta che disporne il rinvio a giudizio, quale componente della "Commissione" e facente capo al gruppo mafioso dei vincenti.

Di ANDREA DI CARLO, quale componente della "Commissione", TOMMASO BUSCETTA non ha parlato, ma ne ha riferito SALVATORE CONTORNO, le cui conoscenze su " Cosa Nostra" sono, per molti aspetti, più attuali ed approfondite di quelle del BUSCETTA. Il CONTORNO era in ottimi rapporti con FRANCO DI CARLO, già "rappresentante" della "famiglia" di Altofonte e componente della "Commissione", ed aveva avuto da lui confidato che era stato "posato", perché accusato di gestione poco corretta dei proventi del traffico di stupefacenti, e che era stato sostituito dal fratello, ANDREA DI CARLO. Le affermazioni del CONTORNO debbono essere ritenute veritiere, oltre che per l'attendibilita' complessiva del CONTORNO stesso, anche perché numerosi elementi evidenziano il ruolo di primo piano dei fratelli DI CARLO, fidi alleati dei "corleonesi"; si ricordino, per esempio, le fotografie in cui GIULIO e ANDREA DI CARLO sono raffigurati con GIACOMO RIINA, LORENZO NUVOLETTA e ANTONINO GIOE' e si consideri che ANDREA DI CARLO e’ cognato di BENEDETTO CAPIZZI, il quale ha avuto nella guerra di mafia un ruolo certamente più importante ed incisivo di quanto per ora emerga dalle risultanze processuali.

Secondo SALVATORE CONTORNO, anche NITTO SANTAPAOLA ed AGATE MARIANO sono componenti della Commissione. È, questa, una affermazione molto interessante che, se riscontrata, spiegherebbe il perché della contemporanea eliminazione, nelle varie province siciliane, di tutti gli elementi poco affidabili per i corleonesi ed i loro alleati, ed indurrebbe a ritenere ormai superato l'originario ordinamento di "Cosa Nostra" su base provinciale, sostituito da una organizzazione unitaria a livello regionale.

In verità questa tesi sembra trovare conforto nella circostanza che il catanese ALFIO FERLITO, il maggiore avversario di NITTO SANTAPAOLA, è stato ucciso proprio a Palermo.

Ed il FERLITO, [...], era collegato con PIETRO MARCHESE, con GIOVANNELLO GRECO e con SALVATORE INZERILLO, cioè con il gruppo dei perdenti.

Ma il rigore e la prudenza che hanno ispirato queste indagini hanno consigliato di sottoporre ad ulteriori verifiche e riscontri le affermazioni del CONTORNO, verifiche che saranno approfondite nella prosecuzione dell'istruttoria.

Per quanto riguarda GIOVANNI SCADUTO, il suo ruolo di "capo-mandamento" di Bagheria è stato illustrato da BUSCETTA e CONTORNO, le cui affermazioni hanno trovato riscontro nelle indagini istruttorie, anche di natura bancaria, compiute fin dal procedimento contro SPATOLA ed altri.

La nomina del giovane SCADUTO, dotato di scialba personalità e di scarsa esperienza, a "rappresentante" di Bagheria e "capo-mandamento" era - di sicuro - un riconoscimento meramente onorifico e formale per sancire la stretta alleanza fra la "famiglia" dei GRECO (lo SCADUTO era genero di SALVATORE GRECO FERRERA) e quella di Bagheria, comprovata da numerosi elementi; mentre l'elemento di spicco della mafia bagherese è GRECO LEONARDO, come emerge dalle univoche risultanze processuali e come ha ribadito SALVATORE CONTORNO, il quale ha precisato che il GRECO è il vero capofamiglia di Bagheria e componente della "Commissione".

Quale sia stata la soluzione formale per consentire ad entrambi di operare in seno alla "Commissione" è ignorato da SALVATORE CONTORNO e sarebbe stato strano se egli, semplice "soldato", ne fosse stato a conoscenza. Al limite, è possibile ipotizzare che uno dei due fosse "rappresentante" della "famiglia" di Bagheria e l'altro fosse "capo-mandamento"; una soluzione, cioè, del tipo di quella adottata a suo tempo, come si è visto, dai fratelli ANGELO e SALVATORE LA BARBERA. Ma tutto Ciò importa veramente poco, poiché le strutture formali di "Cosa Nostra" ormai non sono altro che un mero espediente per dare veste di legittimità ad assetti di potere acquisiti con la violenza. Ai fini che ci interessano, comunque, è chiaro che entrambi gli imputati debbono rispondere dei crimini della guerra di mafia.

Per quanto riguarda ROSARIO RICCOBONO, da più parti sono stati avanzati sospetti che sia stato soppresso, come hanno riferito BUSCETTA e CONTORNO, anche se essi stessi sono piuttosto scettici sulla veridicità della notizia. È certo, però, che la sparizione del RICCOBONO e quella dei suoi generi LAURICELLA e MICALIZZI nonché l'attentato contro membri del suo clan (vedi la sparatoria al bar "SINGAPORE TWO") sono indicativi di un attuale contrasto fra la "Commissione" ed il RICCOBONO, contrasto che non investe la "famiglia" di Partanna Mondello nella sua globalità, dato che non sono avvenute uccisioni generalizzate contro i membri della stessa famiglia. È fondato ritenere, pertanto, che anche ROSARIO RICCOBONO, una volta consumato il tradimento nei confronti degli alleati di un tempo, sia stato eliminato o - comunque - posto in condizione di non nuocere dai corleonesi, non essendo più utile ed avendo mostrato con il tradimento la sua slealtà.

Poiché non è certa la sua morte, il RICCOBONO, quindi, deve essere rinviato a giudizio per i crimini relativi alla guerra di mafia, di cui è stato protagonista non secondario.

Un discorso a parte va fatto per FRANCESCO INTILE, rappresentante della "famiglia" di Caccamo, che, come risulta dalle circostanziate e riscontrate dichiarazioni di VINCENZO MARSALA, ha sostituito, quale "capo-mandamento", CALOGERO PIZZUTO, prima deposto e, poi, ucciso per la sua amicizia con STEFANO BONTATE.

L'INTILE, essendosi sostituito al PIZZUTO in seno alla "Commissione", deve - ad avviso di chi scrive - rispondere anch'egli, al pari degli altri membri, degli omicidi e degli altri delitti provocati dalla guerra di mafia. Tanto si segnala all'Ufficio del P.M. per le iniziative di sua competenza.

I mafiosi di spicco della fazione “corleonese”

Oltre che ai componenti della Commissione, i delitti della guerra di mafia sono stati contestati anche ad altri imputati, e precisamente A: VERNENGO PIETRO, PRESTIFILIPPO MARIO GIOVANNI, LO IACONO PIETRO, MONTALTO SALVATORE, BONURA FRANCESCO, BUSCEMI SALVATORE, PULLARA' IGNAZIO, PULLARA' GIOVAMBATTISTA, SAVOCA GIUSEPPE, CUCUZZA SALVATORE, CAROLLO GIOVANNI, BONO GIUSEPPE, MARCHESE FILIPPO e GRECO FERRARA SALVATORE.

Tutti costoro sono elementi di spicco di Cosa Nostra e sono gravati da sicure prove di colpevolezza, ma non sono, di certo, i soli ad avere partecipato ai delitti di mafia; tanti altri soggetti sono sicuramente coinvolti, e le indagini tese alla loro identificazione sono ancora in corso.

Passiamo adesso in rassegna i personaggi sopra indicati.

PIETRO VERNENGO, già da tempo grossissimo contrabbandiere e trafficante di stupefacenti, era fra gli elementi di maggiore spicco della "famiglia" di S. Maria di Gesù. L'uccisione del suo capo, STEFANO BONTATE, non soltanto non ha in alcun modo intaccato il suo prestigio mafioso, ma lo ha accresciuto, tanto che sicuramente egli è adesso ai vertici della piramide mafiosa. I suoi legami coi "corleonesi", di vecchia data, sono stati consolidati con il matrimonio del padre del VERNENGO, COSIMO, rimasto vedovo, con una sorella di GIUSEPPE DI MICELI, e sono comprovati, tra l'altro, dalla circostanza che la villa di via Valenza, nella quale la polizia interrompeva un summit della mafia vincente cui partecipavano i reggenti di S. Maria di Gesù, apparteneva a RUGGERO VERNENGO, cugino di PIETRO.

Sono altresi' provati i suoi legami con altri elementi del gruppo vincente. è stato, infatti, individuato in via Messina Marine - e, quindi, in territorio controllato dalla "famiglia" del feroce FILIPPO MARCHESE (Corso dei Mille) - un laboratorio di eroina sicuramente di pertinenza dei VERNENGO e di PIETRO VERNENGO in particolare, come si è dimostrato nella sede opportuna, e si è accertato che la villa in cui era installato il laboratorio apparteneva a DI SALVO NICOLA, compare di PIETRO VERNENGO.

Il DI SALVO è un personaggio che gravita nell'orbita della "famiglia" di corso dei mille, come è stato ampiamente dimostrato nella parte di questo provvedimento riguardante le indagini istruttorie concernenti il laboratorio di via Messina Marine.

Aggiungasi, a definitiva conferma della predominante posizione e delle gravi responsabilità del VERNENGO PIETRO nella c.d. guerra di mafia, quanto risulta - dalle dichiarazioni di SINAGRA VINCENZO - in ordine alla sua partecipazione all'omicidio di RUGNETTA ANTONINO, come sarà meglio precisato nella relativa trattazione.

MARIO PRESTIFILIPPO, fin dalle prime indagini di polizia, era indicato da tutte le fonti informative come freddo e spietato killer legato a PINO GRECO "SCARPUZZEDDA" ed a MICHELE GRECO, dei quali è parente.

Figlio di GIOVANNI PRESTIFILIPPO e nipote di SALVATORE PRESTIFILIPPO, due protagonisti della prima guerra di mafia, è già, malgrado la giovane eta', un mafioso di grosso calibro, tipico esponente di quella nuova generazione - avida di denaro ed assetata di violenza - che ha spazzato via i precedenti "padrini", ormai ritenuti anacronistici, imponendo la logica del mitra.

I suoi rapporti con MICHELE GRECO ed il suo coinvolgimento nei più eclatanti delitti di mafia sono dimostrati da univoci elementi.

Si è appreso, infatti, da SALVATORE CONTORNO che MARIO PRESTIFILIPPO aveva partecipato all'attentato contro di lui (unitamente a PINO GRECO "SCARPUZZEDDA", SALVATORE CUCUZZA e FILIPPO MARCHESE), e che il medesimo era solito frequentare la villa di Casteldaccia e le tenute palermitane di MICHELE GRECO e SALVATORE GRECO, cosi’ come PINO GRECO ("SCARPUZZEDDA"), LEONARDO GRECO, SALVATORE CUCUZZA, GIUSEPPE LUCCHESE ed altri; si è appreso - inoltre - che i PRESTIFILIPPO gestivano un laboratorio di eroina a Croce Verde Giardina e, cioè, in territorio di MICHELE GRECO.

Le dichiarazioni di CONTORNO, che pongono in luce gli intimi collegamenti della famiglia dei PRESTIFILIPPO (di MARIO PRESTIFILIPPO, in particolare) con MICHELE e SALVATORE GRECO e con PINO GRECO "SCARPUZZEDDA", hanno trovato due precisi ed obiettivi riscontri. […] Un ulteriore riscontro si trae dalle propalazioni di STEFANO CALZETTA, cui era noto il grosso prestigio di MARIO PRESTIFILIPPO, vi è più accresciutosi dopo l'omicidio del Prefetto DALLA CHIESA.

A Ciò si aggiunga che l'agente della P.S. CALOGERO ZUCCHETTO ed il Vice Questore Dott. ANTONINO CASSARA' hanno riferito di avere visto, nel corso di un servizio di pedinamento, MARIO PRESTIFILIPPO e PINO GRECO "SCARPUZZEDDA" dirigersi a bordo di un'autovettura verso la villa dove poi venne arrestato SALVATORE MONTALTO.

Senza dire che sussistono fondati elementi per ritenere che MARIO PRESTIFILIPPO sia l'esecutore materiale dell'omicidio del Dott. SEBASTIANO BOSIO, noto medico palermitano, dato che la vedova, PATANIA ROSARIA, l'ha riconosciuto in fotografia.

MARIO PRESTIFILIPPO è, quindi, uno dei più fidi e prestigiosi "uomini d'onore" di MICHELE GRECO, sicuramente implicato a pieno titolo nello sterminio del clan BONTATE.

PIETRO LO IACONO e GIOVAMBATTISTA PULLARA', nominati reggenti della "famiglia" di S. Maria di Gesù dopo l'assassinio di STEFANO BONTATE, sono inchiodati alle loro gravi responsabilita' dalle specifiche e circostanziate accuse di TOMMASO BUSCETTA e SALVATORE CONTORNO. […] Lo stesso dicasi per MONTALTO SALVATORE ("uomo d'onore" della "famiglia" di SALVATORE INZERILLO, divenuto capo della "famiglia" di Villabate dopo l'uccisione di ANTONINO PITARRESI, capo della stessa), BONURA FRANCESCO (vice di GIUSEPPE INZERILLO, divenuto capo della "famiglia" di Passo di Rigano), SAVOCA GIUSEPPE (divenuto capo della "famiglia" di Brancaccio dopo l'uccisione del capo GIUSEPPE DI MAGGIO, di FRANCESCO MAFARA e di tanti altri), CORALLO GIOVANNI (divenuto capo della "famiglia" di Palermo Centro dopo l'uccisione di IGNAZIO GNOFFO), MARCHESE FILIPPO (nominato capo della "famiglia" di Corso dei Mille dopo l'eliminazione del vecchio "reggente", FRANCESCO DI NOTO).

E l'esistenza del complotto, a parte altre considerazioni, risulta con ogni evidenza dal fatto che tutti costoro, per un verso o per un altro, sono elementi da tempo "vicini" ai corleonesi, a MICHELE GRECO ed a PIPPO CALO' (ad esempio, il CALO' ed il CORALLO erano commessi entrambi nel medesimo negozio di tessuti di Palermo); e che sono stati nominati "capi" all'indomani dell'uccisione dei loro predecessori e proprio nel periodo "caldo" della c.d. guerra di mafia, quando i corleonesi avevano assoluto bisogno di elementi di sicura affidabilità.

PULLARA' IGNAZIO, cosi' come il fratello GIOVANBATTISTA, cui è particolarmente legato, è vicino ai corleonesi, fin dai tempi della latitanza di LUCIANO LEGGIO.

CUCUZZA SALVATORE è divenuto "capo" della "famiglia" del Borgo e risulta coinvolto in prima persona nel tentato omicidio di SALVATORE CONTORNO, insieme con PINO GRECO "SCARPUZZEDDA" e con MARIO PRESTIFILIPPO. […] Fin dai tempi del rapporto del 13.7.1982 il CUCUZZA era indicato come persona legata a MARIO PRESTIFILIPPO, PINO GRECO "SCARPUZZEDDA" e MARCHESE FILIPPO e mandante di numerosi omicidi. È indubbio che il suo prestigio in seno a Cosa Nostra è in continua ascesa.

GIUSEPPE BONO, anche se non è membro della "Commissione", è certamente uno dei personaggi di maggiore spicco di "Cosa Nostra".

Dalle concordi dichiarazioni di TOMMASO BUSCETTA e di SALVATORE CONTORNO risulta che il BONO è uno dei più fidi alleati dei corleonesi, ed uno dei vertici del traffico internazionale di stupefacenti; affermazioni, queste, che trovano conferma nelle istruttorie, recentemente concluse, dei giudici istruttori di Roma e di Milano. Del resto non va dimenticato che GAETANO FIDANZATI, "uomo d'onore" della "famiglia" di PIPPO BONO, già nel 1970 era stato inviato a Castelfranco Veneto per uccidere GIUSEPPE SIRCHIA (del fronte dei perdenti) e che lo stesso GAETANO FIDANZATI aveva attirato in un tranello ANTONINO GRECO, su mandato della "Commissione". Anzi, alla luce di quanto emerge dalla dichiarazione, già riportata, di MARIO INCARNATO, si ritiene di dover segnalare al P.M., per le valutazioni e le iniziative di sua competenza, la posizione del FIDANZATI, quale corresponsabile degli omicidi della c.d. guerra di mafia. Il BONO risulta particolarmente vicino anche ad ANTONIO SALAMONE, il quale, come è emerso dalle istruttorie di Roma e di Milano, benché "rappresentante" della "famiglia" di San Giuseppe Jato e "capo-mandamento", subisce molto l'autorità del BONO. Basterebbe questo per comprendere quale sia la "statura" mafiosa del personaggio.

SALVATORE GRECO FERRARA (FERRARA è il cognome della madre, che si aggiunge al suo cognome per distinguerlo da omonimi), infine, è tutt'uno con il con il fratello MICHELE GRECO, il capo di Cosa Nostra: per usare una frase cara a SALVATORE CONTORNO, si potrebbe dire che gli stessi sono "due cuori e un'anima".

L'assoluta identita' di vedute tra i due traspare chiaramente dalla totale comunanza negli affari, risulta dalle dichiarazioni di TOMMASO BUSCETTA e di SALVATORE CONTORNO ed emerge dalla recente sentenza della Corte di Assise di Appello di Caltanissetta che, per l'assassinio del Consigliere Istruttore di Palermo, ROCCO CHINNICI, li ha dichiarati entrambi responsabili, quali mandanti.

SALVATORE GRECO, detto il "SENATORE", era il personaggio che, forse più ancora del fratello MICHELE, manteneva i collegamenti, apparentemente leciti, con esponenti della politica e del mondo imprenditoriale e del lavoro.

[…] Su altri personaggi come ENEA SALVATORE, ANTONINO CASELLA, ZANCA CARMELO, GERACI ANTONINO (nato l'11.11.1929) ed ANTONINO ROTOLO gravano pesanti indizi di responsabilità per gli omicidi relativi alla "guerra di mafia". In particolare, per ANTONINO ROTOLO, già accusato da LEONARDO VITALE di essere un killer assai vicino al pericolosissimo GIUSEPPE CALO' - in compagnia del quale è stato poi arrestato -, gli elementi di prova sono univoci.

Egli era stato proposto per la nomina in "Commissione", ma, a causa della recisa opposizione di STEFANO BONTATE, l'incarico era stato conferito a MOTISI IGNAZIO, capo mandamento, appartenente alla stessa "famiglia" del ROTOLO (Pagliarelli).

Ora, appare opinabile che degli omicidi della guerra di mafia debba rispondere un personaggio nominato in sostituzione del ROTOLO e non quest'ultimo, "rappresentante" della "famiglia" di cui il MOTISI è espressione (Pagliarelli).

Tanto si segnala all'ufficio del P.M., per le eventuali iniziative che gli competono.

Il ruolo di Salamone

Per quanto riguarda, infine, ANTONIO SALAMONE, rappresentante della famiglia di S. Giuseppe Jato e capo-mandamento, vi è da dire che si tratta di una figura forse più enigmatica dello stesso GAETANO BADALAMENTI: è un personaggio, infatti, che, pur essendo cugino di SALVATORE GRECO "CICCHITTEDDU", odiato dai corleonesi, è riuscito finora a destreggiarsi tra le parti in conflitto.

Il SALAMONE, come è stato riferito dal BUSCETTA, risiedeva stabilmente in Brasile, per cui il suo incarico in seno a Cosa Nostra veniva temporaneamente assunto dal vice, BERNARDO BRUSCA, legatissimo ai corleonesi, il quale, però, si faceva da parte tutte le volte che egli rientrava in Sicilia.

Il SALAMONE, a detta - ancora - del BUSCETTA, era al corrente dell'intenzione di STEFANO BONTATE di uccidere SALVATORE RIINA ed aveva promesso il suo appoggio all'impresa, ma solo a "cose fatte"; egli, evidentemente, condivideva il proposito del BONTATE ed aveva tutto l'interesse a favorirlo perché mal sopportava il suo vice BERNARDO BRUSCA, troppo legato ai corleonesi, ma non intendeva compromettersi nell'eventualita' che il piano fallisse.

Sembra pertanto poco probabile che il SALAMONE fosse stato previamente informato della decisione dei corleonesi di uccidere STEFANO BONTATE e SALVATORE INZERILLO: Ciò è confermato dal BUSCETTA, il quale ha precisato che nel periodo dei due omicidi SALAMONE si trovava in Brasile, e si era recato in Sicilia solo dopo avere avuto notizia degli assassinii, per accertare quanto era successo.

Sembra, inoltre, che il SALAMONE non abbia per nulla condiviso il massacro degli oppositori, deliberato dai corleonesi e dai loro alleati; anzi, dalle indagini condotte dalla Squadra Narcotici della Questura di Roma - e principalmente dalle intercettazioni telefoniche - è emerso che il comportamento guardingo del SALAMONE aveva cominciato ad impensierire i vertici di "Cosa Nostra", tanto che avevano deciso - come si può fondatamente ritenere alla stregua di una avveduta "lettura" di alcune conversazioni telefoniche - di metterlo alla prova e, per saggiarne la lealta', gli avevano affidato l'incarico di partecipare, in Brasile nel 1982, all'uccisione di un avversario dei corleonesi. Questa azione, guarda caso, era sollecitata soprattutto da BERNARDO BRUSCA.

Vittima designata era sicuramente TOMMASO BUSCETTA, che risiedeva in Brasile, aveva contatti col SALAMONE e, in quello stesso periodo (9.9.1982), aveva subito l'assassinio dei suoi due figli.

Ma il SALAMONE non eseguiva la sentenza di morte.

Il 25.10.1982, invece, rientrava in Italia e si presentava spontaneamente alla sede del soggiorno obbligato, probabilmente per non commettere il delitto commissionatogli e sottrarsi - al contempo - alle rappresaglie dei corleonesi.

Alla luce di quanto esposto, appare, dunque, abbastanza plausibile, almeno allo stato, che il SALAMONE, mafioso di vaglia ancorato ai principi tradizionali di "Cosa Nostra", non abbia aderito nè partecipato ai delitti della c.d. guerra di mafia, malgrado gli incarichi di rilievo da lui ricoperti; e, pertanto, correttamente l'Ufficio del P.M. non ha iniziato azione penale nei suoi confronti per tali delitti.

Testi tratti dall'ordinanza del maxi processo

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