Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è incentrata su Luigi Ilardo il pentito di mafia che aveva deciso di collaborare con la giustizia e che è stato ucciso il 10 maggio del 1996, cinque giorni prima di entrare nel programma di protezione. Ilardo stava portando gli investigatori verso il latitante Bernardo Provenzano.


Non passò molto tempo da quando i guai e le scelte sbagliate portarono l’inizio della decadenza nelle nostre vite e nella nostra famiglia. Papà in quegli anni scalò le vette di Cosa nostra; il temperamento, la posatezza, la serietà lo rendevano «diverso» agli occhi dei membri dell’associazione, che in prevalenza era formata da uomini provenienti da ambienti più umili e disagiati, soprattutto da un punto di vista etico, sociale, culturale. Nel frattempo, dal grande amore con mia madre, nascemmo mia sorella e io.

Le foto e i racconti ci vedono in un grande appartamento a Picanello (Catania), zona ad alta concentrazione di personaggi di spicco e malavitosi di potere. I vestiti lavorati a mano e le copertine pregiate di eccellente manifattura dimostravano l’importanza della nostra nascita e la magnificenza della famiglia da cui provenivamo, come sfondo due bellissimi genitori che rappresentavano l’apoteosi di un amore consacrato e dello stesso benessere e agio economico di cui godevamo. Attraverso quelle immagini degne di un film kolossal, già s’intravedeva la massima scalata al potere che, da lì a breve, avrebbe cambiato per sempre le nostre vite.

Mio padre, in quegli stessi mesi, si macchiò la coscienza di colpa per un concorso in sequestro di persona a scopo estorsivo in Calabria e traffico internazionale di armi. Erano gli anni dei sequestri in Aspromonte, le famose impervie montagne calabresi. Anche questa verità l’ho saputa più avanti, intorno ai miei undici anni, solo in uno sfogo di ira di mia madre, in preda all’alcol. Per anni mi portai addosso il trauma di aver sentito quella verità così violenta e dura, sbattuta senza troppi giri di parole sul mio piccolo e non preparato cuore.

Era difficile accettare che l’uomo più buono al mondo, ai miei occhi, si fosse macchiato di un atto tanto brutto, che le sue scelte e azioni fossero state causa di sofferenze per persone innocenti. La cruda, spietata confessione di mia madre cominciò già allora a tormentare la mia anima e il mio cuore. Poi, crescendo, aumentò in me la curiosità di sapere, ma insieme anche l’imbarazzo di dover chiedere. Da dove potevo partire? Iniziai a fare qualche timida domanda a mia nonna. Il suo deciso «Chi ti ha detto una cosa del genere?», stoppò definitivamente ogni ulteriore tentativo.

Solo alcuni documenti lasciati incustoditi iniziarono a schiarirmi le idee, alleggerendo la mia sofferenza, seppur immensa. Dalle carte emergeva che mio padre non era un assassino... tuttavia, era stato accusato di sequestro lampo di persona, durato ventiquattro ore, ai danni del figlio di un imprenditore (un gioielliere), senza nessuna conseguenza per la povera vittima. Non era andato a buon fine. Un caso, altrimenti... Furono solo mio padre e la sua omertà a pagarne il conto alla giustizia: mandato di cattura internazionale per le imputazioni dei reati ascritti. Principio della sua folle fuga e della sua conclamata latitanza.

In latitanza Ilardo diventa padre

Io fui concepita esattamente durante questo periodo di latitanza. Nacqui il 7 aprile 1980.

Mia madre, già instabile di carattere e propensa a una certa dipendenza dall’alcol che ben presto si sarebbe radicalizzata facendo di lei un’alcolista, non riusciva a farsi carico di una neonata e così la famiglia decise di portarmi a Enna, dalla sorella di mia nonna. Zia Costantina aveva un maschietto, avrebbe voluto avere una bambina: i suoi desideri e la necessità della famiglia coincisero. Ovviamente con il consenso di mio padre, che aveva un legame di profondo affetto con la zia. Fino ai sei anni portai il cognome di mia madre: Loana Dalla Lastra.

Mio padre, essendo latitante, non poté riconoscermi e, per lunghi anni, ciò fu motivo di grande sofferenza durante la sua carcerazione. Avviò le procedure di riconoscimento proprio dopo la cattura, dal penitenziario stesso. Ricordo che questa delicata situazione, che a lui premeva molto, credo principalmente per l’inaffidabilità di mia madre – con i suoi gravi problemi di dipendenza dall'alcol – e per il suo orgoglio di uomo, diede un gran da fare a mia nonna, che gestiva tutta l’organizzazione famigliare seguendo le indicazioni che mio padre inviava dal carcere, stressata anche dal rapporto con il pool di avvocati che avevamo a nostra disposizione.

Vagamente, rammento anche i vari incontri con le assistenti sociali che valutavano la stessa richiesta e la conferma dell’inevitabile affidamento ai nonni paterni, visto che mia madre passava ormai più tempo in Veneto che in Sicilia. Il giorno del mio riconoscimento suggellò la fine delle preoccupazioni di mio padre; ero piccola, ma lo percepivo. Da Loana Dalla Lastra, a circa sei anni diventai finalmente Luana Ilardo.

In Sicilia, tutti tendevano a storpiarmi il nome originario. Loana era insolito e così fu cambiato in Luana. Ho la certezza che, al di là dell’orgoglio paterno verso la propria erede, mio padre ci tenesse tanto a quel riconoscimento per tutelarmi dall’instabilità di mia madre, che continuava a rifiutare aiuto con un percorso di disintossicazione.

© Riproduzione riservata