Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dopo la serie sull’omicidio di Mario Francese, quella sul patto tra Cosa Nostra e i colletti bianchi e quella sulla seconda guerra di mafia, si passa adesso al racconto dei Casamonica.

La Rolls Royce è ferma davanti alla chiesa. La funzione scorre via come le lacrime dei familiari. All’uscita tutti si dispongono su due lati, lasciano al centro lo spazio per l’uscita della bara.

Una donna urla in lingua sinti, si dispera, si tormenta. La banda suona, pochi attimi, ed esce il feretro. Una pioggia di mani sorregge il re, lo innalza verso il cielo.

Ci sono i petali, i cavalli, la carrozza con intarsi dorati, ma c’è anche altro e non passa inosservato: l’auto di lusso, la grande passione di Vittorio Casamonica.

C’è proprio quella che lui amava tanto. La bara viene trasportata al cimitero in una Rolls-Royce, mentre le lacrime e i petali non smettono di cadere.

«Hai conquistato Roma, ora conquisterai il paradiso» e poi «ciao zio Vittorio da nunu, Loredana, Marco e Jaklin» si legge sugli striscioni. L’indignazione e servita per la pioggia di petali, per l’elicottero e per la carrozza con i cavalli. Dopo anni di silenzi e sottovalutazione, sai che disonore i petali sulla città.

La chiesa di don Bosco, sulla Tuscolana, è un buon ritrovo per le celebrazioni dei Casamonica. I rapporti con la Chiesa sono cambiati nel 1997. Da papa Wojtyła, in quel gennaio, arriva Stefania Casamonica a leggere il Padre Nostro davanti al sommo pontefice. Quel giorno e il grande “Giubileo-gitano”, papa Wojtyła proclama beato Ceferino Giménez Malla, detto “El Pelé”, ucciso dai repubblicani nella guerra civile di Spagna del 1936. «Ora non sono emozionata ma domani chissà» confessa la ragazza, «ho solo la prima elementare e ho imparato a scrivere dalle suore. Non mi e mai capitato di leggere in pubblico. E poi vedrò il Papa da vicino.»

Il padre di Stefania si chiama Guerino, 51 anni: «Una volta sono stato in carcere ma i miei figli filano tutti diritti. Ho dato loro una educazione severa. Fino a ieri, i parroci ci cacciavano. Ma se finalmente abbiamo un santo, nostro, lo dobbiamo a don Mario Riboldi».

Guerino aggiunge: «Siamo battezzati ma non praticanti. Ad esempio il matrimonio non lo celebriamo in chiesa ma secondo le nostre tradizioni, rapendo la sposa. I matrimoni, pero, durano tutta la vita».

Quel Guerino che giurava «i miei figli rigano diritto» è il padre di Giuseppe Casamonica, detto Bitalo, e di Stefania, quella che lesse davanti al Papa. Giuseppe e Stefania, che in realtà si chiama Liliana, finiscono in carcere nel luglio 2018 nell’operazione Gramigna, come l’erbaccia perenne, accusati di mafia. Entrambi li ritroveremo più avanti.

Funerali, ma anche battesimi e matrimoni

Torniamo a quel giorno, il giorno del funerale. All’esterno della chiesa di don Bosco c’è un’enorme gigantografia. Il volto e quello del capostipite con una croce al collo. Abito bianco. Il papa. Sotto la Cupola di San Pietro e il Colosseo. «Vittorio Casamonica, re di Roma.» I vigili accompagnano le esequie, si scatenerà una gazzarra infinita quando in realtà è prassi consolidata e da anni. Una della famiglia me lo conferma con orgoglio: «Voi schiattate per gelosia, per mio zio, guardie e vigili disponibili, tutti a fare il traffico. Voi schiattate e crepate, vi sta bene. Noi abbiamo i rubinetti d’oro, le vasche, noi siamo nati nell’oro». Mentre i vigili dirigono il traffico, i musicisti suonano le note del Padrino mentre vestita di nero “la famiglia” accompagna lo “zio” alla cappella di famiglia al cimitero del Verano. Dei musicisti nessuno viene pagato, neanche un rimborso spese, come da tradizione. Mentre la banda e intenta ai preparativi, si avvicinano i parenti del re: «Dovete suonare Il Padrino» ottenendo la reazione dei musicisti: «Vorremmo suonare marce funebri». «Qui si fa come diciamo noi, suonate il Padrino» rispondono, e alla fine farà discutere la musica di Nino Rota, celebre in tutto il mondo. «Uno al funerale del parente morto potrà far suonare quello che gli pare?» si chiedono i familiari di Vittorio Casamonica quando dovranno giustificarsi di quella scelta e non di decenni di dominio. Su quel funerale è stato scritto di tutto, ma quel tutto già basta. Forse l’analisi più originale è quella che, data l’esibizione del lutto, il funerale sia la dimostrazione che quella roba non ha nulla a che fare con la mafia, la mafia non si mostra più. Quel funerale e folclore, solo folclore e Vittorio Casamonica un personaggio minore, un delinquente di etnia sinti. «Come se i Casamonica fossero davvero i re di Roma, e non una delle tante famiglie criminali della capitale, zingari pacchiani, in balia del loro machismo da strada […] Noi non abbiamo una foto della mafia, i Casamonica si mettono in posa, i giornali online racimolano clic, e l’antimafia retorica ha di che andare avanti per un’altra estate, per non annoiarsi.»

Originale certo come analisi, ma in realtà sostanzia l’assunto che quelli con la mafia siciliana, con quella mafia senza faccia di Matteo Messina Denaro, non hanno nulla a che fare.

«È sempre stato cosi, ora si scandalizzano» mi scrive un poliziotto per esplicitarmi il suo disappunto per la fanfara mediatica sul funerale del “re”. «Ogni volta battesimi, matrimoni, funerali, ma del clan Casamonica penso sia la cosa meno grave.»

Sempre fatti. Mica solo funerali, anche battesimi, matrimoni, solo che ogni tanto la città si sveglia poi per il resto dorme beata.

L’ultimo, quello di Vittorio, nell’agosto 2015, è stato la pietra dello scandalo. Eppure. Basta sfogliare le cronache per risalire a eventi che hanno trasformato la Romanina, Roma sud, la culla dei Casamonica, in un frenetico e glorioso teatro.

Basti pensare a quanto accaduto nel 1967, quando muore Guerino Casamonica, padre del più noto Vittorio. Guerino, per tutti, era un riferimento. Quel giorno c’era un carro per ogni corona di fiori, la famiglia sfilo a lutto da Tuscolana fino al Verano, il cimitero che ospita la tomba di famiglia. E a portare a spalla la bara del padre, c’era proprio un giovanissimo Vittorio. Nel 1977 la scena del funerale faraonica si ripete per la regina che si spegne: Virginia Spada. Il funerale viene celebrato nella chiesa di don Bosco sulla Tuscolana e la capostipite viene trasportata nella stessa carrozza di Vittorio, quella del funerale scandalo nel 2015. Virginia e Guerino hanno dato vita a sedici figli, tra questi Vittorio, per tutti lo “zio”, meglio: il “re”. Ma non sono gli unici eventi degni di nota e menzione. Qualche decennio dopo, la città non solo chiude gli occhi, ma contribuisce alla celebrazione del potere dinastico e familiare. E partecipa attivamente.

La relazione della Dia di Roma

[…] Chi era, insomma, Vittorio Casamonica? Per la Direzione distrettuale antimafia di Roma – che nel 2004 ne chiede la sorveglianza speciale e il sequestro preventivo dei beni – “zio” Vittorio e «un soggetto che pratica, senza soluzione di continuità, l’estorsione, l’usura, la ricettazione, il traffico di sostanze stupefacenti e il riciclaggio di autoveicoli acquisiti, per lo più, mediante truffe a terze persone e/o con violazione delle norme sull’Iva». Viene fuori il profilo di un capo non solo temuto e vengono ricordate le relazioni nel mondo della malavita romana «con elementi di spiccatissimo spessore criminale quali Enrico Nicoletti». Secondo la ricostruzione dell’accusa e della Direzione investigativa antimafia, tutto questo ha facilitato la famiglia Casamonica nell’incessante opera di accumulazione di un ingente patrimonio frutto delle attività criminali. Secondo la fo tografia scattata nel 2004, Vittorio Casamonica è formalmente un nullatenente, come tutti i componenti della famiglia, del resto.

Zero redditi dichiarati che fanno a pugni con un regno fatto di ville, appartamenti, terreni di rilevante valore commerciale, per non parlare di un parco autovetture di lusso, una nutrita scuderia di cavalli da corsa e innumerevoli rapporti bancari.

Sulla provenienza illecita di questo tesoro l’accusa e categorica, parlando dell’esistenza «di una vera e propria holding del crimine che, avvalendosi degli strumenti tipici delle organizzazioni malavitose, ha imperversato per decenni sul territorio della Capitale, seminando paura e insicurezza e accumulando indebite ricchezze». Per la Procura, dunque, ci sono tutte le condizioni per chiedere il sequestro di un’infinita di beni, tra cui compaiono – oltre a un gran numero di immobili intestati a prestanome – Ferrari, Mercedes, Rolls-Royce, conti correnti e società. Non la pensa allo stesso modo il Tribunale, sezione misure di prevenzione, che, partendo dall’archiviazione del procedimento per associazione mafiosa a carico dello “zio” e di assoluzione per il reato di usura, nel 2005 rigetta la proposta della dda con questa motivazione: «Non si ritiene formulabile a carico del proposto un giudizio di pericolosità attuale, idoneo a giustificare attualmente l’applicazione della misura richiesta».

Insomma i reati c’erano, il profilo criminale pure, ma niente di recente. E cosi per lo “zio” niente sorveglianza speciale e revoca dei decreti di sequestro a suo carico. Tutto restituito con tante scuse. Una carriera e una vita niente male per il “re” dei Casamonica, vissuta nell’indifferenza di una città, della pubblica opinione e trascorsa senza troppi patemi giudiziari.

Eppure, eppure. Massimiliano Fazzari viene da una famiglia di ’ndrangheta e oggi si è pentito. Per parlare del “re” fa un paragone, di quelli pesanti, che rende l’idea raccontando di come, secondo lui, Vittorio fosse equiparabile a Domenico Oppedisano (il capo crimine, la massima carica della provincia, organo collegiale posto al vertice della ’ndrangheta) e la Romanina fosse come la Madonna di Polsi per la ’ndrangheta. «Quando Vittorio era in vita, da quello che ho capito. Quello e. Cioè dice a, e a.» Il paragone è improprio, non è paragonabile alla mafia calabrese, ma serve a chiarire il ruolo del “re”. Quello che diceva era legge, vangelo. Il vangelo del “re”, del boss, del capostipite a sentire il pentito. E oggi chi comanda? Bisogna chiederlo al fratello del re, Nando, che incontro alla Romanina, davanti alla sua casa costruita sui terreni del comune di Frascati.

«A comandare era mio padre, Guerino, era il capo di tutti gli zingari. Io avevo un agente della mobile che era amico di mio padre, la polizia lo sapeva che mio padre comandava. Tutti questi Casamonica non c’erano. Arrivarono in quattro a Roma, mio padre e gli altri tre fratelli: Antonio, Anacleto e Luciano. Oggi? Io ’ndo vado più, vivo sopra ’sta sedia, comando la famiglia mia. Giro su questo motorino elettrico che mi ha dato l’Inps. Oggi ognuno comanda a casa sua.»

E ha ragione Papaniello. E così, ogni famiglia ha un riferimento, ma c’è una sola eccezione.

Quando il riferimento di casa è indisponibile perché in galera, per esempio, oppure morto o perché inebriato da alcol o stordito da altri vizi, allora comanda un altro. Di certo ogni cerchio ha un centro, e al centro ci sono i capi delle isole di questo arcipelago di potere e malaffare.

Testi tratti dal libro di Nello Trocchia "Casamonica. Viaggio nel mondo parallelo del clan che ha conquistato Roma". Testi, nomi e processi sono riportati nella serie del blog Mafie così come presentati nel libro, aggiornati dunque al 2019.

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