Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata al depistaggio sulla strage di via D’Amelio, nella quale morirono Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

Questo il ricordo di Agnese Piraino, la moglie di Paolo Borsellino [Cfr. Corte di Assise di Caltanissetta, Borsellino1] :

TESTE PIRAINO A.: Mio marito si è alzato molto presto la mattina, lui era molto mattiniero, e ha ricevuto una strana telefonata alle 7.00 del mattino. Il Procuratore Giammanco l'aveva chiamato perché la notte non aveva potuto dormire pensando che la mattina doveva dare la delega per interessarsi lui dei processi di mafia riguardanti Palermo. La telefonata ha turbato (Paolo Borsellino, ndr) moltissimo, non ne era proprio entusiasta. Il Procuratore Giammanco ha detto: «Così la partita è chiusa»; lui ha ripetuto: «La partita è aperta». E ha cominciato a passeggiare su e giù per il corridoio.

P.M. dott.ssa PALMA: Per chiarire alla Corte il significato di questa telefonata, ci vuole spiegare che significa mafia di Palermo?

TESTE PIRAINO A.: Ecco, mio marito da febbraio si trovava a Palermo, era stato trasferito a Palermo... era venuto in città ma era convinto di non essere bene accetto e il Procuratore Giammanco non era entusiasta della sua presenza presso la Procura… e quando si è istituita la PNA il Procuratore ha dato la delega a lui per i processi di mafia di Trapani e di Agrigento, però assolutamente non voleva che si occupasse della mafia di Palermo.

P.M. dott.ssa PALMA: Quindi suo marito lavorava sulla mafia di Agrigento e di Trapani.

TESTE PIRAINO A.: Sì, però mi diceva: "Ho la situazione esatta di quello che accade a Palermo tramite i processi che io faccio, che istruisco su Trapani e Agrigento. Però sono delegittimato", perché il Procuratore non aveva dato questa delega a lui per trattare i processi di Palermo. Poi, quella domenica mattina, alle sette… Giammanco non era mai solito telefonare a quell'ora, non c'erano rapporti...

P.M. dott.ssa PALMA: Era capitato altre volte?

TESTE PIRAINO A.: No, no, mai.

Solo ipotesi

Su quella telefonata (l’orario, l’improvvisa urgenza, il significato delle parole) si possono fare molte ipotesi. Abbiamo raccolto alcune voci particolarmente autorevoli: il dottor Dolcino Favi, sostituto procuratore generale nel processo d’appello del “Borsellino ter”[Cfr. Corte di Assise di Appello di Caltanissetta, Borsellino ter]; il dottor Ingroia, tra i magistrati più vicini a Borsellino fin dai tempi di Marsala; il dottor Di Pisa, il collega palermitano che Paolo Borsellino cercò, invano, poche ore prima di rimanere ucciso in via D’Amelio.

FAVI. Perché la mattina del 19 luglio il Procuratore Giammanco telefona a Borsellino per dirgli che gli ha dato la delega per le indagini antimafia a Palermo? Io non so se su questo punto siano state fatte indagini o meno, se Giammanco sia mai stato interrogato su questo, però, me lo consenta la Corte, di tanto in tanto il Pubblico Ministero qualche forzatura la deve anche fare… Sia detto chiaro, io non credo che Giammanco sia tra i mandanti o tra i complici della strage, non lo credo, non lo affermo, però certo è possibile che Giammanco abbia ricevuto un ok, abbia ricevuto un “via libera”: Borsellino il 19 luglio non può più nuocere a nessuno. Ma chi, alle spalle di Giammanco, quale forza politica, quale uomo politico, quale uomo di potere, quale articolazione dalla politica ha dato il 19 luglio il via libera perché Borsellino potesse occuparsi delle indagini antimafia su Palermo?

* * *

INGROIA, già magistrato. Riguardo allo specifico episodio di quella telefonata del 19 luglio, è stato un po’ l’epilogo di un lungo braccio di ferro… Su Mutolo, si ritarda il momento in cui Borsellino se ne occupa, perché Giammanco ostacola questa cosa, fino a quando Mutolo non si rifiuta di parlare davanti ad altri magistrati che non siano Borsellino… Così come Borsellino, dopo l’omicidio Lima, voleva occuparsene e Giammanco lo aveva tenuto a distanza da quell’indagine. Voleva andare ad interrogare Buscetta, negli Stati Uniti, e Giammanco glielo negò, e così via. Rimane il mistero di quella telefonata del 19 luglio, che ha sempre angosciato molto Agnese Borsellino, perché lei sentì quella telefonata e la risposta veemente di Paolo al telefono… Cosa era scattato il 19 luglio perché, dopo tante resistenze, alla fine Giammanco avesse ceduto? Sì, credo anch’io - ma è una deduzione - che gli sia stato dato il via libera da qualcuno.

Quale significato ha quella telefonata?

FAVA, presidente della Commissione. La mattina del 19 luglio 1992 lei ha avuto modo di dichiarare che Paolo Borsellino la cercò con insistenza, ma non la trovò.

DI PISA, già magistrato. Ricordo perfettamente che io mi recai quel giorno a Marinalonga, nel pomeriggio, dove mio cognato aveva una villetta e poi anche Borsellino aveva un bungalow in un residence. Mi disse che Borsellino quel giorno mi aveva cercato insistentemente, ma non c’eravamo incrociati…

FAVA, presidente della Commissione. Non ha mai saputo né potuto immaginare di cosa le volesse parlare Borsellino quella domenica?

DI PISA, già magistrato. No, francamente no.

FAVA, presidente della Commissione. È la stessa mattina in cui Giammanco alle 7,30 chiama Borsellino…

DI PISA, già magistrato. Io so che Giammanco in quella telefonata, per la verità inusuale alle 7,30 del mattino, disse a Borsellino che intendeva delegargli le indagini sulla mafia del palermitano, cosa che fino ad allora gli aveva negato. Certo è una telefonata anomala, quasi come se sapesse quello che sarebbe successo poi nel pomeriggio. Ma questa è una mia illazione, una mia considerazione…

Dice opportunamente il dottor Di Pisa che quelle sono “considerazioni sue”: vero. C’era un solo modo per capire quale fosse il significato di quell’ultima telefonata di Giammanco a Borsellino: chiederglielo. Ma nessuno lo fece. Di più: Giammanco non è mai stato interrogato dal procuratore di Caltanissetta Tinebra, che aveva la titolarità dell’inchiesta su via D’Amelio (oltre a quella su Capaci).

Scegliere di non sentire il capo della procura di Palermo voleva dire scegliere di non ricostruire quei 57 giorni, le indagini sottotraccia di Borsellino, le ragioni dei contrasti manifesti tra lui e Giammanco, l’esclusione dalle più importanti indagini palermitane, la gestione “sorvegliata” del pentito Mutolo, le minacce su possibili attentati che non furono mai comunicate a Borsellino. Nulla di tutto questo: incredibilmente, e senza alcuna comprensibile motivazione, Giammanco non verrà convocato a testimoniare a Caltanissetta. Nessuno gli chiederà di ricostruire i suoi ultimi contatti con Borsellino. E la sua telefonata all’alba del 19 luglio salterà fuori solo quando verrà ascoltata, tre anni dopo, la vedova Agnese.

Quei tre anni di silenzio e la scelta di non chieder conto a Giammanco di ciò che era accaduto attorno a Borsellino dopo la strage di Capaci è il primo determinate tassello su cui si fabbricherà il malandato impianto del depistaggio. Come fa capire Antonio Ingroia, sollecitato in Commissione su questo aspetto:

INGROIA, già magistrato. È ovvio che la conduzione delle indagini del dottor Tinebra era tutta finalizzata a sottodimensionare tutti i vari aspetti della vicenda, evitare di mettere in mezzo il profilo istituzionale, fare un’indagine di pura mafia, era la mafia che si vendicava di Paolo Borsellino, dopo essersi vendicata di Giovanni Falcone per l’esito del maxiprocesso. Questa era la lettura che doveva passare e sulla quale la Procura di Caltanissetta ha proseguito a lungo. Scarantino, poi, è stato il cacio sui maccheroni.

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