Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie si focalizza sulla relazione della Commissione parlamentare antimafia della XV° legislatura con presidente Francesco Forgione che per la prima volta ha dedicato un'inchiesta interamente sulla ndrangheta, tra le mafie più temute al mondo, per capirne la nascita, lo sviluppo e la struttura.

In questo contesto diffuso di degrado politico e della pubblica amministrazione purtroppo non sono molti i consigli comunali calabresi sciolti per infiltrazione mafiosa e sarebbe utile analizzarne approfonditamente le ragioni. Eppure la storia dello scioglimento dei comuni, in un certo senso, comincia proprio nella Piana di Gioia Tauro.

È il 3 maggio 1991, i telegiornali danno notizia di quella che verrà ricordata come la “strage di Taurianova”. Nella cittadina vengono uccise 4 persone. Ad una di esse viene decapitata la testa e lanciata in aria diventa oggetto di un macabro tiro al bersaglio. Il fatto conquista le prime pagine di tutti i giornali italiani e stranieri.

Il governo dell’epoca, nell’ottica dell’emergenza che ha storicamente contraddistinto la storia altalenante della legislazione antimafia, emana il decreto (convertito in legge nel luglio del 1991) con il quale si prevede la possibilità di procedere allo scioglimento dei consigli comunali o provinciali sospettati di essere infiltrati o inquinati dalle cosche mafiose.

Da allora (fino al 2007, ndr) in Italia sono stati sciolti 172 consigli comunali, dei quali 38 in Calabria: 23 in provincia di Reggio, 7 in provincia di Catanzaro, 5 in provincia di Vibo Valentia, 3 in provincia di Crotone. A distanza di alcuni anni, per 3 comuni – Melito Porto Salvo (Rc), Lamezia Terme (Cz) e Roccaforte del Greco (Rc) - si è reso necessario ricorrere ad un secondo scioglimento.

Questo dimostra come la legislazione vigente non è completamente efficace a recidere i legami tra le organizzazioni mafiose ed esponenti del mondo politico e come lo scioglimento non abbia sempre rappresentato e non rappresenti tuttora un’occasione di bonifica della macchina amministrativa che spesso, anche a consigli comunali sciolti, continua a garantire le stesse logiche di governo del territorio, gli stessi interessi e gli stessi contatti con i boss.

Il caso Lamezia Terme

Alcuni comuni, tra il 2004 e il 2005, hanno fatto ricorso al Tar o al Consiglio di Stato per impugnare il provvedimento di scioglimento e per 5 di essi il ricorso è stato accolto. Si tratta dei comuni di Santo Andrea Apostolo sullo Ionio, Botricello, Cosoleto, Monasterace, Africo e Strongoli.

Osservando le dimensioni dei comuni sciolti, Lamezia Terme, con i suoi 70 mila abitanti, è l’unico di dimensioni elevate e dopo due scioglimenti (30 settembre 1991 e 5 novembre 2002) ha intrapreso la strada di una difficile ricostruzione del tessuto democratico.

Seguono altri 2 comuni con una popolazione inferiore ai 20 mila abitanti, Melito Porto Salvo (30 settembre 1991 e 28 febbraio 1996) e Roccaforte del Greco (10 febbraio 1996 e 27 ottobre 2003), tutti in provincia di Reggio Calabria. Gli altri scioglimenti hanno riguardato comuni non superiori a 5 mila abitanti quando non di piccolissime dimensioni come Marcedusa, Calanna e Camini, inferiori ai mille abitanti.

A conferma della gravissima situazione esistente in alcune realtà il Procuratore Nazionale antimafia Piero Grasso, nell’audizione del 7 febbraio 2007, ha affermato: «In certi paesi come Africo, Platì e San Luca, è lo Stato che deve cercare di infiltrarsi», sottolineando così la sottrazione di intere aree del territorio calabrese al governo e al controllo delle istituzioni repubblicane.

Quanto ciò incida non solo sul sistema dei diritti e sul bene comune ma anche sulla qualità della vita quotidiana dei cittadini ha «segni evidenti e tipici del governo del territorio da parte di amministratori organici alla mafia o collusi e dunque caratteristiche comuni alle amministrazioni sotto il controllo mafioso sono costituiti inoltre dall’assenza di piani regolatori, dell’assoluta inefficienza dei servizi di polizia municipali, da gravi disservizi nella raccolta e nello smaltimento dei rifiuti, dal dilagante e distruttivo abusivismo edilizio, da gravi carenze nella manutenzione di infrastrutture primarie (strade, scuole, asili), da assunzioni clientelari di personale, da anomalie nell’affidamento di appalti e servizi pubblici, ma, soprattutto, dalle drammatiche condizioni di dissesto finanziario».

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