Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie si focalizza sulla relazione della Commissione parlamentare antimafia della XV° legislatura con presidente Francesco Forgione che per la prima volta ha dedicato un'inchiesta interamente sulla ndrangheta, tra le mafie più temute al mondo, per capirne la nascita, lo sviluppo e la struttura.

Ovviamente il problema delle infiltrazioni mafiose non è limitato all’autostrada A3, che pure ne rappresenta il caso emblematico, ma riguarda l’intero settore dei lavori pubblici in Calabria e nella fascia tirrenica del reggino in particolare, in cui le famiglie Piromalli – Molè e Bellocco – Pesce possono vantare una lunga tradizione.

Infatti, come riferito dalla D.A.C. nella relazione citata, già nell’anno 2002 a conclusione di un’inchiesta della Procura della Repubblica di Reggio Calabria, era stata emessa ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 43 indagati appartenenti alle cosche predette, per reati analoghi a quelli relativi ai lavori autostradali commessi in occasione di appalti pubblici per lavori interessanti l’intero versante tirrenico della provincia di Reggio.

Nel luglio 2007, a conclusione di un’altra inchiesta della Procura della Repubblica di Reggio Calabria, è stata eseguita ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 16 indagati, appartenenti alla cosca Crea, storica alleata dei Piromalli di Gioia Tauro e degli Alvaro di Sinopoli, responsabili, tra l’altro, di avere ottenuto il controllo di appalti pubblici nel comune di Rizziconi (RC) attraverso la diretta assegnazione di lavori ad imprese riconducibili alla locale famiglia.

Che il problema sia diffuso e radicato e che nessuna parte del territorio calabrese ne sia esente è testimoniato, inoltre, da due inchieste condotte dalla Procura Distrettuale di Catanzaro e dalla Procura della Repubblica di Paola, che hanno portato al sequestro del porto di Amantea ed al sequestro del porto di Cetraro, strutture entrambe controllate dalla ‘ndrangheta e non solo per gli interessi sugli appalti riguardanti il loro ammodernamento ma anche per le opportunità che i porti, anche quelli a vocazione diportistica, offrono ormai per lo sviluppo dei traffici illeciti.

Dalla situazione descritta emerge che le cosche, facendosi esse stesse imprenditrici, o controllando in modo diffuso e capillare il settore degli appalti e dei lavori pubblici e privati, condizionano il mercato del lavoro, segnato in Calabria da una debolezza strutturale e di conseguenza esercitano un condizionamento sociale diffuso capace di incidere sui diversi livelli istituzionali e sulla pubblica amministrazione.

La forza della ‘Ndrangheta

Non si possono comprendere la forza della ‘ndrangheta, la sua diffusione, il suo radicamento nella regione e l’espansione delle sue attività al nord ed all’estero, se non se ne coglie in profondità la natura di grande holding economico-criminale. La storia degli ultimi decenni ha mutato e segnato il corso di questa evoluzione da mafia arcaica a mafia imprenditrice a centrale finanziaria della globalizzazione. Mantenendo sempre, come un tratto costante, il controllo maniacale, quasi ossessivo, del territorio e delle strutture sociali ed economiche ad esso riferite. Anni di trasformazioni e di interventi per lo sviluppo segnati da grandi flussi finanziari dello Stato e dell’Unione Europea destinati alla Calabria hanno accompagnato questo salto di qualità, la cui evoluzione si era già sperimentata, dopo i primi anni ’70, col controllo degli appalti per l’autostrada Salerno-Reggio Calabria e l’insediamento industriale nell’area di Gioia Tauro. Per questo vanno colti i nessi tra le dinamiche del processo di modernizzazione della Calabria e le ragioni del suo mancato sviluppo economico, produttivo, sociale e civile, e in questo doppio processo va individuato il ruolo che la ‘ndrangheta ha avuto nel drenare risorse immense aggredendo, attraverso la permeabilità della macchina amministrativa e della politica, la cosa pubblica ed il bene collettivo. Il Rapporto Svimez sull’economia del Mezzogiorno presentato nel 2007, nella parte che riguarda la Calabria, presenta il quadro di una regione con un p.i.l. pro-capite di 13.762 euro, pari al 54,6% del p.i.l. pro-capite del Centro-Nord Italia, un tasso di disoccupazione di circa il 13%, un’economia sommersa, in crescita, pari al 27% e lavoratori irregolari, ancora in crescita, per oltre 176.000 unità. Dallo stesso Rapporto risulta che le imprese che pagano il “pizzo” nella regione sono 150.000, la metà del totale delle imprese esistenti nella regione, con una punta del 70% a Reggio Calabria. Qualora corrispondessero alla realtà queste percentuali, basate su stime della Confesercenti, preoccuperebbero meno dei dati relativi ad altre regioni del Sud (secondo i dati, infatti, un terzo delle imprese soggette ad estorsione in Italia ha sede in Sicilia, dove il 70% e talvolta l’80% delle imprese è vittima di estorsioni, mentre a Napoli, nel Barese e nel Foggiano la quota di imprese soggette a estorsione rispetto al totale è pari al 50%). Ma è davvero così? In realtà, la situazione è di gran lunga peggiore e ciò è confermato anche dall’analisi effettuata dai responsabili degli Uffici di Procura della Repubblica sulla base delle risultanze giudiziarie. Basta il dato dell’usura, che secondo il Rapporto Svimez fa segnare in Calabria la percentuale più alta di commercianti vittime del fenomeno in rapporto ai soggetti attivi: il 30% con 10.500 commercianti coinvolti in regione. Ma anche in questo caso, il quadro sembra notevolmente più preoccupante se si esaminano i dati emersi dalle indagini giudiziarie.

Nell’ambito del distretto di Catanzaro “è praticamente inesistente l’impresa resistente alla criminalità organizzata”. Non esiste, se non in rarissimi casi, la denuncia spontanea all’Autorità Giudiziaria da parte delle imprese vittime della criminalità organizzata semplicemente perché in alcuni distretti del territorio - come quello del vibonese- non esiste la categoria delle “imprese vittime”. Quando non sono direttamente colluse, infatti, le imprese sono acquiescenti alle mire e agli interessi della criminalità organizzata e ciò avviene in tutti gli ambiti economici: imprese agricole (specie nella sibaritide, nell’alto Ionio e nel crotonese), imprese turistiche (nel Vibonese e lungo la costa crotonese), imprese commerciali (nel lametino), grande distribuzione, ma soprattutto nell’edilizia, con un’egemonia mafiosa sull’intero ciclo del cemento. Nel settore turistico, il meccanismo viene svelato grazie ad uno dei rari casi di collaborazione. Il rappresentante di Parmatour SpA in Calabria, con una denuncia all’autorità giudiziaria, rendeva note le sistematiche estorsioni in danno di alcuni villaggi-vacanze in Calabria, di proprietà della società.

I villaggi turistici erano: il Triton Club di Sellia Marina, nonché il Sabbie Bianche e il Baia Paraelios di Parghelia (Vibo Valentia). Gli estorsori venivano indicati come incaricati o appartenenti, per il primo villaggio, alla famiglia Arena di Isola Capo Rizzuto e per gli altri due alla cosca dei Mancuso. Nello specifico, l’operatore economico spiegava che gli Arena ritiravano annualmente la somma di 40.000 euro, oltre ad imporre varie assunzioni di parenti ed amici, mentre i Mancuso, preposti al controllo del “corretto” svolgimento delle attività, avrebbero lucrato un contributo del 10% sugli introiti. Per inciso, in data 28.11.2007, il GIP di Catanzaro ha disposto il giudizio nei confronti dei tre incaricati dei villaggi turistici oggetto delle estorsioni per favoreggiamento, aggravato dalla mafiosità, per avere negato, nel corso delle indagini preliminari, di avere mai ricevuto pressioni estorsive.

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