Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. In questa serie, tocca al racconto della strage di Capaci, in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta: Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Di Cillo.

Era stato privilegiato, sopra tutti, l’uso delle due radio [una trasmittente e una ricevente, la quale, lanciando un segnale radio alla trasmittente, consentiva attraverso la chiusura di un interruttore di dare il via all’esplosione., ndr] perché si trattava di un equipaggiamento di semplice impiego, efficace e di sicuro funzionamento. E queste caratteristiche rispondevano, secondo i consulenti, all'assunto che per la realizzazione di un attentato di questo genere, si doveva impiegare materiale semplice e di facile reperibilità sul mercato.

[…] Pertanto in conclusione, i consulenti ritenevano verosimile che per la realizzazione dell’attentato a Capaci, in relazione alle dinamiche di attivazione della carica, fossero state impiegate due radio, una messa in corrispondenza dell’ordigno, l'altra collocata nel punto di appostamento.

Questo sistema era a loro giudizio efficace, sia per quel che riguardava l’attivazione della carica sia per la scelta del punto di appostamento dal quale sarebbe stato lanciato il segnale, essendo chiaro che la posizione di preminenza di coloro che con la trasmittente dovevano mandare l’impulso, rispetto al punto di scoppio, ne rendeva la recezione ottimale a valle, non essendoci, fra l’altro, fra i due punti, ostacoli che potessero intralciarne la propagazione.

I tecnici pertanto sono risultati concordi nell’escludere che siano state utilizzate altre metodologie e tanto hanno affermato sulla base di ragioni di ordine logico, perché, una volta dimostrato teoricamente ed empiricamente che il sistema più semplice per dare luogo all’attentato si rilevava anche quello più sicuro, non era più spiegabile, ipotizzando negli attentatori persone di media intelligenza, il ricorso ad altri meccanismi che non assicurassero la certezza del risultato.

E’ altresì vero che si deve riconoscere che, malgrado lo sforzo profuso dai consulenti nella ricerca delle possibili tecniche alternative, è sempre possibile che residuino ancora altri meccanismi attraverso i quali gli attentatori avrebbero potuto raggiungere l’effetto desiderato. Va però evidenziato che gli stessi tecnici non hanno trascurato o escluso l’ipotizzabilità di altre dinamiche, come ad esempio il ricorso all’utilizzo del satellite. Essi però, affrontando tale ipotesi, hanno ribadito che non c’era ragionevolmente la necessita' di arrivare a tanto, perche', a loro giudizio, per realizzare un attentato di tale portata non era logico ricorrere a mezzi più sofisticati di quelli che risultavano necessari, una volta realizzato che meccanismi molto semplici avrebbero comunque garantito l’effetto desiderato. D’altro canto è di tutta evidenza che il ricorso a tecniche particolarmente raffinate avrebbe, ove accertato, facilitato il lavoro degli investigatori, essendo da un lato ben individuabili i canali di rifornimento di determinati materiali, e dall’altro, rilevabile obiettivamente l’uso di strumentazioni come i satelliti, il cui funzionamento è verosimile sia costantemente rilevato dalle strutture che si occupano della sicurezza dello Stato.

Va sottolineato in definitiva che la conclusione indicata dai tecnici si appalesa come la più idonea a raggiungere lo scopo, e ciò non solo in via di principio, ma anche sotto il profilo del rispetto dell’esigenza di osservare doverose regole di cautela, che ogni persona che progetta un’imboscata o, più in generale un attività illecita di grosso spessore, deve tener presente per garantire l’impunità a sè stessa e ai complici. Muovendo cioè dall’assunto che non era possibile ipotizzare, da parte degli autori della strage, l’ accettazione del rischio di lasciare tracce che consentissero di risalire anche ai soli meri esecutori materiali, devono essere scartate tutte quelle tecniche di attivazione della carica basate su sistemi che prevedevano l’uso di apparecchiature fabbricate e distribuite non su vasta scala, o che potevano lasciare sui luoghi evidenze non marginali (ciò evidentemente per la possibilità di risalire agli acquirenti), o che richiedevano, per l’installazione e l’uso, l’impiego di uomini particolarmente qualificati.

D’altro canto andavano scartate anche quelle metodologie che non garantivano di colpire con certezza il bersaglio individuato, o si prestavano ad essere vanificate dall’uso di tecniche di prevenzione di attentati, come il variare la posizione della persona tutelata nel corso della trasferimento in auto o l’accurato controllo delle autovetture blindate prima del loro utilizzo, o ancora, le precauzioni contro l’avvicinamento delle stesse da parte di estranei. [...].

La strage riprodotta in un’area militare 

La comparazione fra i dati acquisiti dall’effettuazione dell’esperimento [a Sassetta, ndr.] e quelli rilevati sui luoghi teatro della strage aveva indotto i tecnici a concludere, in ordine alla questione del peso della carica, che quella fatta brillare a Sassetta avesse una forza superiore rispetto alla prima, avendo determinato rispetto ad essa un incremento di efficacia valutabile intorno al 20%.

Tale indicazione aveva portato i tecnici a concludere che il peso della stessa dovesse assestarsi fra i 500 e i 550 kg.

Sempre sulla base del criterio della comparazione è possibile derivare che, contrariamente a quanto verificatosi nella realtà, il fatto che non sia stato riscontrato alcun fenomeno di aratura sul terreno è da considerare indice univoco della circostanza che a Capaci la carica esplosiva non era stata intasata secondo le condizioni ottimali, cioè a regola d’arte.

Ed ancora, il mancato ritrovamento dei reofori, dimostra che l’innescamento dell’ordigno esplosivo era stato costruito in maniera più rudimentale rispetto a quanto era stato fatto a Sassetta, quindi con un sistema che doveva prevedere un numero di detonatori di gran lunga più limitato; in ultimo, la constatazione dell’analoga dinamica di traslazione riguardo al comportamento del materasso in esito alla sollecitazione dell’esplosione induce a concludere per la fondatezza dell’ipotesi già formulata in astratto, e cioè che l’oggetto era stato collocato all’imboccatura del condotto per nascondere quanto in esso era stato riposto.

Sulla base delle analisi svolte dai ct è stato possibile appurare una serie di elementi, alcuni dei quali, come si è già sottolineato, caratterizzati da rilievo oggettivo e pertanto idonei a dimostrare i fatti o le circostanze ad essi sottesi. L’esistenza del cunicolo sotto il punto di scoppio, la composizione in frazioni della carica, la sua attivazione tramite un sistema a distanza basato sull’uso di radio trasmittenti, l’uso del tritolo come uno dei componenti della stessa, sono infatti dati che per il rilievo delle considerazioni esposte a loro fondamento, devono ritenersi allo stato incontestabili.

Testi tratti dalla sentenza della Corte d'Assise di Caltanissetta (Presidente Carmelo Zuccaro)

© Riproduzione riservata