Su Domani continua il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dopo la serie sull’omicidio di Mario Francese e quella sul patto tra Cosa Nostra e i colletti bianchi, raccontiamo adesso la seconda guerra di mafia, quarant’anni dopo.

Il 10.5.1981, alle ore 23.45 circa, le Guardie Giurate dell'Istituto di Vigilanza "Città Di Palermo" SPITALE FRANCESCO e CAPUANO AGOSTINO, mentre svolgevano servizio d'istituto in questa via Libertà, udivano numerosi spari esplosi in rapida successione; accorsi, notavano un giovane di circa 20-25 anni, snello e alto m.1.75 circa, che, con un'arma di grosso calibro nascosta da un giornale, sparava contro i vetri blindati della gioielleria CONTINO, lasciando ricadere i bossoli espulsi dall'arma in un sacchetto che reggeva con la mano sinistra.

Il giovane, alla vista dei metronotte, sparava al loro indirizzo senza riuscire a colpirli, ed essi di rimando rispondevano al fuoco con le pistole in dotazione.

La Guardia Giurata CAPUANO si diceva certa, dinanzi al G.I. di avere attinto al torace, con un colpo di pistola, il giovane sconosciuto, perché questi, dopo l'esplosione, aveva fatto un balzo all'indietro, quasi perdendo l'equilibrio; si era però subito ripreso, probabilmente in quanto munito di giubbotto antiproiettile, e si era dato alla fuga salendo a bordo di un'autovettura guidata da un complice, che si eclissava rapidamente.

Sul luogo della sparatoria, nonostante le precauzioni adottate dall'ignoto attentatore, venivano rinvenuti tre bossoli, sul cui fondello si leggeva la scritta "711-74", ed alcuni frammenti di proiettile.

Il giorno successivo, 11.5.1981, alle ore 12,30 circa, personale della Squadra Mobile di Palermo si portava in questa via Brunelleschi n.50 dove una telefonata anonima aveva segnalato che, poco prima, era stato consumato un omicidio. Ivi, all'interno di un atrio condominiale, veniva rinvenuto, nei pressi di un'autovettura Alfetta blindata, munita di targa di prova, il cadavere di un uomo col volto sfigurato dai colpi d'arma da fuoco, poi identificato per il "boss" di Passo di Rigano, SALVATORE INZERILLO.

Nei pressi del cadavere venivano rinvenuti tre cartucce, esplose, marca Clever per fucile calibro dodici a canna liscia e tre bossoli di fucile mitragliatore calibro 7,62, con la scritta, sul fondello, "711-74", mentre all'interno di un autofurgone Renault Saviem, abbandonato nei pressi del luogo dell'attentato, venivano rinvenuti 15 bossoli di proiettile calibro 7,62, dello stesso tipo di quelli rinvenuti vicino alla vittima.

La perizia medico-legale

Dalla perizia autoptica emergeva che l'INZERILLO era stato attinto da quattro colpi di fucile calibro dodici caricato a lupara, due dei quali sparati da circa tre metri e gli altri da circa cinque-sei metri, nonché da nove proiettili camiciati, esplosi verosimilmente da un mitra, da distanza superiore ai cinquanta-sessanta centimetri. I colpi erano stati esplosi da almeno tre killers. Anche stavolta nel corpo della vittima veniva rinvenuto, come per STEFANO BONTATE, un contenitore di sostanza per proiettili traccianti.

Data la presenza di un'autovettura blindata nei pressi del cadavere dell'INZERILLO, sorgeva subito il sospetto che l'episodio della sera prima, e cioè l'esplosione di colpi d'arma da fuoco contro la vetrina di esposizione della gioielleria CONTINO, munita di vetri antiproiettile, fosse collegato con l'assassinio del predetto e, cioè, che i killers avessero voluto sperimentare la capacità di penetrazione dei proiettili in superfici corazzate.

[…] La perizia accertava che:

- per l'omicidio di SALVATORE INZERILLO e per l'attentato alla gioielleria CONTINO era stato usato certamente lo stesso fucile mitragliatore kalashnikov (del tipo ak47 o AKM);

- il medesimo kalashnikov era stato usato, molto probabilmente, anche per l'omicidio di STEFANO BONTATE;

- Per uccidere SALVATORE INZERILLO era stata impiegata anche una arma a canna liscia calibro 12, molto probabilmente la stessa già adoperata per uccidere STEFANO BONTATE.

[…] Già questo risultato conferma, in modo obiettivo ed inconfutabile, che BONTATE ed INZERILLO sono stati uccisi dal medesimo "gruppo di fuoco", non essendo nemmeno pensabile che armi come il kalashnikov possano essere in possesso di comuni ricettatori o, peggio, possono essere cedute da "Cosa Nostra" ad estranei all'organizzazione, con tutti i rischi, a tacer d'altro, che un'operazione del genere comporterebbe.

Rimane dunque riaffermato, in modo indiscutibile, quanto si è diffusamente esposto circa l'alleanza tra il BONTATE e l'INZERILLO e circa le cause e gli autori di tali omicidi.

Ma ulteriori emergenze probatorie confortano l'assunto.

L'ingegner Ignazio Lo Presti

Come si è detto, l'INZERILLO è stato rinvenuto morto nelle immediate vicinanze di un'autovettura Alfetta blindata con targa di prova di cui egli aveva le chiavi, ed è stato trovato in possesso di una rivoltella 357 magnum carica e di altre cartucce per la stessa arma. Come già si è rilevato per BONTATE, il fatto che la vittima usasse una vettura blindata, e andasse in giro armato, dimostra, senza ombra di dubbio, che nutriva grave preoccupazione per la sua incolumità fisica, contrariamente a quanto ha dichiarato la vedova, SPATOLA FILIPPA, secondo cui il marito, anche negli ultimi tempi, era spensierato e allegro come al solito; la SPATOLA, peraltro, ha dovuto ammettere di avere visto il marito l'ultima volta il 3 maggio 1981, cioè 8 giorni prima del suo assassinio, ma non ha saputo o voluto dire dove egli si fosse rifugiato.

Ma sono state proprio le indagini sulla provenienza dell'Alfetta blindata, da un lato, a svelare i rapporti di IGNAZIO LO PRESTI con l'INZERILLO e, dall'altro, a dimostrare che MONTALTO SALVATORE è stato effettivamente il "traditore" di SALVATORE INZERILLO ed il principale artefice della sua uccisione.

Invero, come è stato già puntualizzato nella ordinanza-sentenza istruttoria riguardante SPATOLA ROSARIO ed altri, l'auto blindata dell'INZERILLO era stata materialmente ritirata da IGNAZIO LO PRESTI e GIUSEPPE GUGLIELMINI, uomo di fiducia dell'INZERILLO, i quali si erano appositamente recati a Caronno Pertusella ad acquistarla dalla ditta MARAZZI. […].

L'impiego di un individuo come GIUSEPPE GUGLIELMINI, di cui era ben nota la "contiguità" con SALVATORE INZERILLO, per il ritiro dell'Alfetta blindata non destava sorpresa, mentre appariva strana la presenza di un professionista affermato come l'Ing. LO PRESTI, le cui utenze telefoniche venivano, poi, trovate annotate in un appunto rinvenuto sul cadavere dell'INZERILLO.

Si ponevano pertanto sotto controllo queste utenze, corrispondenti all'abitazione del LO PRESTI, agli uffici della CESPA siti in via Quintino Sella n. 77 ed al cantiere edile della società sito in Altarello di Baida; e si potevano così conoscere talune conversazioni, molto interessanti, fra il LO PRESTI, la moglie CORLEO MARIA, IGNAZIO SALVO, CARMELO GAETA e TOMMASO BUSCETTA.

Si svolgevano, poi, approfondite indagini sulla società di pertinenza del LO PRESTI e si accertava che gli uffici della CESPA erano frequentati dal latitante ALESSANDRO MANNINO, nipote di SALVATORE INZERILLO. Il MANNINO veniva pertanto immediatamente arrestato negli uffici stessi, così come l'Ing. LO PRESTI, il quale veniva incriminato per il delitto di favoreggiamento personale nell'interesse del MANNINO e, successivamente, per quello di associazione per delinquere.

Nel corso dell'istruttoria emergeva, così, una singolare familiarità di rapporti tra SALVATORE INZERILLO e l’Ing. LO PRESTI, il quale ultimo, in sostanza, era "nelle mani" di SALVATORE INZERILLO, in relazione ai lavori di realizzazione di numerose villette unifamiliari in Altarello di Baida.

[…] Insomma, appariva chiaro che il LO PRESTI era stato un docile strumento nelle mani di SALVATORE INZERILLO, e che, in contropartita della sua "disponibilità", era stato aiutato a decollare nel campo dell'edilizia, giungendo ad intrattenere rapporti con imprese prestigiose del gruppo di ARTURO CASSINA.

Il LO PRESTI, dopo l'arresto, aveva cominciato a rendersi conto della pericolosità della sua scelta di campo ed aveva mostrato una certa disponibilità verso la giustizia, ammettendo i suoi rapporti con SALVATORE INZERILLO, facendo intravedere il ruolo dei cugini IGNAZIO e NINO SALVO in seno a "Cosa Nostra" ed accennando ai motivi della cosiddetta guerra di mafia. Probabilmente altre e più importanti informazioni egli, tornato in libertà, aveva fornito al Dott. ANTONINO CASSARA', che le aveva riferite, come provenienti da fonte confidenziale, nel rapporto del 13.7.1982; ma il suo coinvolgimento e la sua ostinazione nel non volersi distaccare dagli ambienti mafiosi gli sono costati la vita. Il LO PRESTI, infatti, è scomparso, senza lasciare più traccia di sé, il 29.7.1982; prima di allora, era stato visto presenziare alle udienze del processo contro gli autori materiali dell'omicidio del Capitano BASILE (PUCCIO GIUSEPPE, BONANNO ARMANDO e MADONIA GIUSEPPE) e intrattenersi a parlare familiarmente cogli imputati, negli intervalli delle udienze.

Testi tratti dall'ordinanza del maxi processo. La fotografia proviene dall'Archivio della redazione del giornale “L'Ora” custodito nella Biblioteca centrale della Regione Siciliana.

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