Su Domani continua il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dopo la serie sull’omicidio di Mario Francese e quella sul patto tra Cosa Nostra e i colletti bianchi, raccontiamo adesso la seconda guerra di mafia, quarant’anni dopo.

È chiaro, allora, che qualcuno molto vicino allo INZERILLO aveva informato gli avversari dell'acquisto dell'auto blindata. Chi sia il traditore si deduce dalla testimonianza di CORLEO MARIA, moglie di IGNAZIO LO PRESTI.

Costei, infatti, sapeva che il marito era partito per ritirare la macchina blindata dell'INZERILLO, in compagnia del fratello, GIOACCHINO, di CARMELO GAETA, di GIUSEPPE GUGLIELMINI e di SALVATORE MONTALTO: il marito le parlava del MONTALTO come di un personaggio molto amico di SALVATORE INZERILLO, ma, dopo l'omicidio di quest'ultimo, aveva preso a parlarne in termini di assoluto disprezzo.

Non sembra, dunque, che possano esservi dubbi circa la persona, molto vicina a SALVATORE INZERILLO, che lo ha "consegnato" ai suoi assassini; trattasi di SALVATORE MONTALTO.

INZERILLO, dunque, aveva visto giusto nel dubitare di quest'ultimo fin dai tempi dell'omicidio di GIUSEPPE DI CRISTINA, anche se non aveva saputo (o potuto) trarre le debite conseguenze da questa esatta intuizione.

E così é chiaro perché IGNAZIO LO PRESTI, parlando per telefono con TOMMASO BUSCETTA di questa vicenda, diceva: «Cose troppo tinte (gravi) ci sono qua, signor ROBERTO...... non si sa più da chi si deve guardare uno...... troppe invidie, troppi tradimenti....... troppi.... troppe cose tinte».

Si riferiva proprio a SALVATORE MONTALTO.

Un omicidio preparato rapidamente

Da altri accertamenti effettuati dalla polizia giudiziaria si deduce che i killers hanno organizzato l'agguato a SALVATORE INZERILLO in pochissimo tempo: e ciò conferma singolarmente le dichiarazioni di BUSCETTA sul punto, come appresso si vedrà.

PADRUT MICHELE, abitante al piano rialzato del condominio di via Brunelleschi n.50, ha riferito che, quella mattina, verso le ore 9, aveva visto un furgone di colore azzurro, targato PA e con numero di targa iniziale 5, compiere manovre di parcheggio, con la porta anteriore rivolta verso l'ingresso dello stabile; verso le 12,30, affacciatosi a seguito dei colpi d'arma da fuoco, aveva visto il furgone allontanarsi ad andatura normale, come se nulla fosse accaduto. Trattasi, ovviamente, di quel furgone Renault Saviem, colore azzurro, targato PA-513987, dentro il quale venivano rinvenuti ben quindici bossoli espulsi dal kalashnikov usato per l'omicidio di SALVATORE INZERILLO. Se si esaminano le fotografie del veicolo ci si accorge che le aperture posteriori erano state oscurate in maniera rudimentale con cartone da imballaggio, e che altro cartone era stato sistemato dietro ai sedili per nascondere alla vista i killers appiattati nella parte posteriore del furgone da cui furono esplosi i colpi. E' certo, infatti, che il kalashnikov venne utilizzato direttamente dall'interno del furgone, perché il vetro anteriore del veicolo, al momento del suo rinvenimento, era completamente in frantumi e frammenti del vetro venivano reperiti vicino al cadavere dell'INZERILLO .

Quando il PADRUT vide arrivare il furgone, la Giulietta non c'era; ciò significa che i killers dovevano necessariamente sapere che l'INZERILLO, nella mattinata, sarebbe arrivato in quel luogo.

[…] NUCCIO SALVATORE e NUCCIO VINCENZO, titolari dell'autorimessa nella quale veniva custodito il furgone, di proprietà della ditta TESCOR, hanno dichiarato che il furgone era stato rubato certamente la sera del 10/5/1981 dopo le ore 22, mentre era parcheggiato dinanzi l'autorimessa. Essi, infatti, lasciavano il furgone fuori tutte le volte che non era carico di merce, come era accaduto quella sera.

Ciò significa, quindi, che, oltre alla prova dell'arma, anche il furto del furgone é stato compiuto in tutta fretta la sera prima dell'agguato: il reato evidentemente doveva essere eseguito senza ritardi.

Resta da capire come mai i killers avevano saputo in un battibaleno che in quello stabile abitava certa signora DI MARTINO la quale - quella mattina - non era in casa.

La testimonianza di Buscetta

Secondo BUSCETTA, dopo l'omicidio di STEFANO BONTATE, ANTONIO SALAMONE aveva telefonato, fra gli altri, anche a SALVATORE INZERILLO mettendolo in guardia sulla possibilità che SALVATORE RIINA gli facesse fare la stessa fine. L'INZERILLO - però - non si era soverchiamente preoccupato, ritenendo che finché non avesse pagato al RIINA e allo stesso SALAMONE un carico di cinquanta chilogrammi di eroina affidatogli per l'esportazione negli U.S.A., non avrebbe corso pericoli. Ma non aveva fatto bene i suoi conti, poiché il RIINA non aveva esitato a farlo uccidere, senza attendere il pagamento della partita di droga.

E BUSCETTA continua, testualmente: «Dopo una quindicina di giorni (dall'omicidio di STEFANO BONTATE: n.d.r.) appresi dai giornali dell'omicidio di SALVATORE INZERILLO e telefonai.....ad ANTONIO SALAMONE......(").....mi recai nuovamente a San Paolo per parlare.....(col predetto), il quale mi fece un discorso che non mi piacque per nulla. Mi disse, cioè, che a conoscenza dell'intenzione di STEFANO BONTATE di uccidere SALVATORE RIINA eravamo noi due e SALVATORE INZERILLO; e poiché quest'ultimo era stato ucciso, le conclusioni da trarre erano evidenti.

Ovviamente, mi inalberai per questa insinuazione nei miei confronti da parte del SALAMONE, il quale ben presto riconobbe di essere sulla strada sbagliata. Alla fine, si convenne che la soluzione migliore era che egli, anche se non invitato, si recasse a Palermo per cercare di chiarire con MICHELE GRECO i motivi di quanto stava accadendo a Palermo. Dopo pochi giorni egli partì e mancò poco dal Brasile. Al suo rientro, mi disse di avere appreso da MICHELE GRECO che quest'ultimo era a conoscenza del fatto che STEFANO BONTATE e SALVATORE INZERILLO avevano intenzione di uccidere SALVATORE RIINA. Più precisamente, era accaduto che, dopo l'uccisione di INZERILLO, EMANUELE D'AGOSTINO, intimo amico di ROSARIO RICCOBONO ed appartenente alla famiglia di BONTATE, timoroso per la propria incolumità, gli aveva chiesto asilo in un luogo nella disponibilità del RICCOBONO stesso; a quest'ultimo, poi, aveva confidato dell'intenzione di STEFANO BONTATE di uccidere SALVATORE RIINA. A questo punto i corleonesi ed i loro alleati cantavano vittoria, essendo venuti in possesso di un validissimo motivo, "ex post", per giustificare l'uccisione del due.

Quanto al D'AGOSTINO, era stato fatto uccidere e scomparire da ROSARIO RICCOBONO il quale, in siffatta maniera, aveva ampiamente mostrato la sua lealtà nei confronti dei corleonesi».

[…] Dopo l'omicidio dell'INZERILLO - ha aggiunto BUSCETTA - la "reggenza" della "famiglia" del medesimo (Passo di Rigano) era stata affidata a SALVATORE BUSCEMI e quella della "famiglia" di Uditore, già diretta da GIUSEPPE INZERILLO (padre dell'ucciso), a FRANCESCO BONURA, mentre SALVATORE MONTALTO, in premio del suo tradimento, era stato nominato capo della "famiglia" di Villabate. Non meno significative - ed in perfetta sintonia con quelle del BUSCETTA - sono le dichiarazioni di SALVATORE CONTORNO, che consentono di guardare i fatti da un altro angolo visuale.

Dopo l'omicidio di BONTATE, secondo CONTORNO, MIMMO TERESI si era recato da MICHELE GRECO il quale, vedendolo a bordo di una vettura blindata, lo aveva rassicurato, che non aveva nulla da temere.

[…] Da entrambe le dichiarazioni, dunque, emerge chiaramente il comportamento viscido e sfuggente di MICHELE GRECO che, dopo l'uccisione di STEFANO BONTATE, prendeva tempo con i fedelissimi di quest'ultimo e perfino con ANTONIO SALAMONE, in attesa che venisse eseguito anche l'assassinio di SALVATORE INZERILLO; viene confermato, altresì, il ruolo dei MONTALTO nell'uccisione dell'INZERILLO, tanto che GIUSEPPE MONTALTO, figlio di SALVATORE, aveva personalmente accompagnato l'INZERILLO al fatale incontro in via Brunelleschi; viene confermato, in sintesi, che l'INZERILLO era stato ucciso dai corleonesi e dai loro alleati per gli stessi motivi per cui era stato ucciso il BONTATE.

Le dichiarazioni di BUSCETTA e CONTORNO hanno trovato altri importanti riscontri.

[…] La notizia che SALVATORE INZERILLO si incontrasse con un'amante in un appartamento dello stabile dinanzi al quale era stato ucciso, non ha trovato una conferma diretta. Tuttavia, PINTO GIOVANNI, che dopo la morte dell'INZERILLO, e precisamente a fine luglio 1981, ha preso in locazione da SPATOLA FILIPPA, vedova dello INZERILLO, un appartamento nello stabile sito in via Brunelleschi n.50, ha dichiarato che l'appartamento presentava tracce evidenti di uso; e la stessa vedova INZERILLO ha precisato che l'appartamento era stato allestito già alla fine del 1978 e che ignorava a quale uso il marito lo avesse adibito. Infine, TORREGROSSA ANTONINO - che, per un certo periodo, aveva svolto attività di portiere nello stabile in questione -, pur dichiarando di non avere visto l'INZERILLO parlare con alcuna donna abitante nello stabile, ha riferito di avere visto di tanto in tanto il predetto, mentre seguiva i lavori ancora in corso nello stabile.

Testi tratti dall'ordinanza del maxi processo

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