Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. In questa serie, tocca al racconto della strage di Capaci, in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta: Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Di Cillo.

[…] Deve concludersi che tutto ciò che sinora si è assunto come bagaglio storico-processuale poteva ben legittimare l’indirizzo investigativo che gli inquirenti avevano scelto di privilegiare: la paternità dell’attentato, quanto meno per quanto riguarda l’aspetto dell’organizzazione della fase esecutiva non poteva pertanto, in considerazione della rilevanza del bersaglio da colpire e della difficoltà di raggiungere l’obiettivo, prescindere dal coinvolgimento di una struttura militare, qual’era ed è Cosa Nostra, secondo quanto descritto dalle narrazioni di numerosi collaboratori di giustizia, acquisite sia in questo che in altri processi.

Ebbene, per esporre quelle che in pratica si erano rilevate come le due grandi direttive investigative sulle quali si erano mossi gli inquirenti, opportuno appare il riferimento alle deposizioni rese in dibattimento da coloro che si erano incaricati di sviluppare in concreto l’ipotesi illustrata, e cioè il capitano Di Caprio, del Ros dei CC (udienza del 23 -11-95), e il dott. Gratteri della Dia di Roma, (sentito all’udienza del 6 dicembre 95), che per l’occasione aveva agito in collaborazione con il centro operativo palermitano.

Lo spunto investigativo da cui avevano preso le mosse le indagini svolte da tale ultimo organo avevano origine dalla segnalazione, collocabile sommariamente intorno al settembre 92, da parte di un soggetto che poi sarebbe divenuto collaboratore di giustizia, il Marchese Giuseppe, il quale, come primo segnale teso a dimostrare la serietà della sua intenzione di abbandonare Cosa Nostra, aveva indicato agli inquirenti un gruppo di persone ben determinato, che, sulla base della sua esperienza acquisita all’interno dell’organizzazione, era altamente probabile avesse avuto a che fare con la realizzazione dell’attentato.

Le dichiarazioni di Giuseppe Marchese

MARCHESE GIUSEPPE, esaminato all’udienza del 28 novembre 96: «Ho contribuito all’arresto degli uomini che hanno partecipato alla strage di Capaci. Io al momento in cui ho iniziato a collaborare ero in carcere, ma avevo sempre informazioni da altri uomini di onore e anche dalle persone in cui stavano vicino a Bagarella, a Riina Totò e alla mia famiglia, diciamo. Nel momento in cui iniziai a collaborare gli ho detto che per sapere qualche cosa riguardo la strage di Capaci, dovevano andare appresso a Gioè Nino, La Barbera Gioacchino e un certo Mezzanasca Santino.

E tramite di queste persone che la DIA all’epoca si mise, diciamo, a pedinarli, a darci, a starci appresso perché i contatti che noi avevamo all’epoca con Riina Totò e anche con Bagarella, erano, diciamo, queste persone Gioè Nino che noi ci tenevamo in contatto. E ci ho detto: andate appresso a loro che tramite loro si scopre, diciamo, chi sono gli anelli che, i contatti con queste persone, con anche con Brusca e compagnia bella. E infatti, dalle indagini che sono, diciamo, andati alla ricerca di queste persone, perché infatti ce n’erano anche chi era incensurato e non potevano mai minimamente pensare che loro potevano fare parte di questa cosa. Al che, hanno pedinato queste persone e hanno arrivato a un covo dov’è che gli hanno, dov’è che loro si nascondevano e hanno messo le microspie. Io diedi queste informazioni alla DIA, all’inizio ne parlai con Di Gennaro perché Di Gennaro era interessato a sapere chi era, se io sapessi qualche cosa riguardo la strage di Capaci».

Questo era quanto affermava Giuseppe Marchese nel corso dell’udienza dibattimentale del 28 novembre 1996. Sulla base delle indicazioni fornite si erano mossi pertanto gli investigatori della Dia, che avevano concentrato la loro attenzione sul paese di Altofonte e le persone indicate che da quel luogo provenivano, delle quali presero a seguire costantemente gli spostamenti.

I pedinamenti di Antonino Gioè 

Dott. Gratteri: «Il contenuto dell'informazione riguardava esattamente le persone di Gioe' Antonino e di tale Santino "mezza nasca", all'epoca non ancora compiutamente identificato, che poi verrà identificato per Di Matteo Mario Santo, che si accertò mantenevano contatti con alcuni tra i piu' grossi latitanti dell'organizzazione Cosa Nostra e, soprattutto con Salvatore Riina, Giovanni Brusca, Leoluca Bagarella ed altri. Già dalle prime fasi dell'attivita' si ebbe occasione di acclarare che il Gioe' manteneva strettissimi contatti con una persona di Altofonte, inizialmente conosciuta a noi soltanto con il nome di Gino, e che nei giorni successivi viene identificato come La Barbera Gioacchino, col quale il Gioe' s'incontrava quasi quotidianamente. Dalle attivita' dinamiche sul territorio si ebbe quasi subito occasione di capire ed anche di documentare che entrambi svolgevano una vita molto particolare, molto strana: spesse volte non rientravano in Altofonte presso i propri domicili la sera a dormire, mantenevano sostanzialmente un comportamento molto accorto e molto circoscritto. [...] I contatti di osservazione venivano effettuati sempre sul territorio palermitano, della città di Palermo, nella quale essi si movevano con molta cautela, atteso il timore che nel frattempo era maturato, fino a quando non vengono pedinati e notati entrare in uno stabile sito in via Ughetti di Palermo».

A proposito dell’identificazione di tale luogo come uno di quelli scelti dai soggetti indicati per nascondersi, la dott. ssa Pellizzari ha fatto rilevare che la riferibilità dell’immobile alle predette persone era stata riscontrata nel corso dell’attività di pedinamento: «..Fu fatto un servizio sotto l'appartamento di via Ughetti, e si vide Gioe' che s'affaccio' alla finestra, quindi fu notato proprio in quelle finestre che poi ci consentirono di localizzare perfettamente la mansarda a loro in uso».

Ritornando al dott. Gratteri: «..Viene dunque eseguito un accesso sull'appartamento, era un miniappartamento sito all'ultimo piano di un civico di via Gioe', all'ultimo piano se non ricordo male, e viene predisposta naturalmente un'intercettazione ambientale. Risaltò una conversazione che riguardava un attentato, un progetto di attentato da eseguire nei confronti di alcuni agenti di custodia, se non vado errato di Pianosa, uno dei quali di origine palermitana. Questi ed altri elementi furono acquisiti nel corso di diretta attivita' d'intercettazione ambientale. Vi erano riferimenti a Giovanni Brusca, vi erano riferimenti ad altri personaggi di Cosa Nostra».

Il riferimento al La Barbera Gioacchino era entrato nell'ottica d'investigazione successivamente a Gioe' Antonino, allorquando gli investigatori si erano resi conto che tra le frequentazione del Gioe' vi era questo Gioacchino La Barbera; a tal proposito il sovr. Scarpato, escusso all’udienza del 6-12-95 ha dichiarato : «... Si giunse alla sua identificazione perché in Altofonte fu registrato un contatto stranamente diciamo abbastanza prolungato, perche' i contatti di Gioe' Antonino erano brevi, brevissimi in sostanza e in quella circostanza mi ricordo che, in pratica, si fermarono a parlare il Gioe' Antonino e La Barbera, per un tempo alquanto lungo rispetto ai tempi che lui manifestava precedentemente».

Le intercettazioni telefoniche

Tornando alla deposizione del dott. Gratteri si apprende quanto segue: «Dalla successiva attivita' di riascolto, come penso sia noto, poi venne acclarato anche un riferimento al cosiddetto "attentatuni" che si riferiva alla strage di Capaci.

A seguito del fermo di Gioe' e di La Barbera fu naturalmente effettuata una perquisizione all'interno di questo piccolo appartamento di via Ughetti, ove furono rinvenute, tra le altre cose, delle carte d'identita', alcune in bianco, con delle fotografie che ritraevano Gioacchino La Barbera, che ritraevano Antonino Gioe', che ritraevano Leolouca Bagarella, che ritraevano Santino Di Matteo.

Nella comunicazione di notizia di reato del 26 maggio 1993 si parte dalle intercettazioni ambientali, e quindi dall'attivita' di ascolto fatta all'interno dell'appartamento di via Ughetti nr. 17, di Palermo, dove erano state registrate nel mese di marzo alcune conversazioni intercorse tra La Barbera Gioacchino e Gioe' Antonino che erano due uomini d'onore, che li' si nascondevano, pur non essendo all'epoca colpiti da nessun provvedimento restrittivo».

[…] La conversazione fra La Barbera e Gioè che rivestiva maggiore interesse per gli investigatori ha costituito oggetto della deposizione della dott. ssa PELLIZZARI, della DIA di ROMA, (udienza del 6-12-95): «In particolare nel corso di una conversazione che era avvenuta nella notte tra l'8 e il 9 marzo, tra moltissime altre cose, i due fanno riferimento all'attentato di Capaci. Mi spiego meglio: in particolare il La Barbera Gioacchino nel rivolgersi al Gioe' Antonino e nel tentativo di spiegargli ove si trovasse un luogo che, appunto, era situato a Capaci, fa un riferimento ad una officina che si trovava vicino al luogo dove lui aveva atteso quando si era fatto "l'attentatone".

E ancora più in particolare il teste Rampini Luca, in servizio presso la D.I.A. Centro Operativo di Roma, escusso all’udienza del 6-12-95: «Sul nastro numero 5 si evidenzio' questo brano dove La Barbera Gioacchino riferendosi ad Antonino Gioe', per fargli capire un po' sul luogo, una persona Santino gli dice: «Ma ti ricordi, dducu a Capaci?», e lui non riesce a capire, non riesce ancora... «In sostanza, dducu a Capaci, unni ci ficimu l'attentatuni», e questo che dice: «Santino, avia l'officina...». E quindi ci bloccammo li' su quel punto, perche' facevano un preciso, specifico riferimento alla strage di Capaci».

L’indicazione del Marchese era dunque stata più che fruttuosa, perchè era servita a porre all’attenzione degli investigatori un gruppo ben determinato di persone, appartenenti ad un unico contesto spaziale, connotato da un particolare tipo di condotta, prossima a defiirsi come quella di soggetti che, per la pressione degli eventi esterni, e cioè il diffondersi delle notizie sul pentimento di Di Maggio e Marchese, erano sul punto di darsi alla latitanza.

Per il Gioè, ad esempio, è illuminante il contributo di coloro che avevano preso parte all’attività di appostamento e ascolto delle conversazioni telefoniche, ad esempio il teste Caputo (ud. 6 dicembre 1995): «Accertamenti successivi sul Gioè permisero di stabilire che egli era sentimentalmente legato ad una donna, Camarda Giovanna, che era impiegata presso le Poste con incarico semestrale e che in quei periodi si era impiegata presso uffici postali di Cerami, provincia di Enna. Quindi, atteso che era interessante sapere cosa dicessero nelle conversazioni, visto che, (al limite), quello dell'ufficio postale sia quello dell'abitazione dove aveva preso una stanza in affitto per poter li' risiedere, furono posti tutti e due sotto controllo, proprio per stabilire la natura delle loro conversazioni. E durante queste conversazioni si ebbe modo di capire e di avere la certezza diciamo della natura clandestina che il Gioe' in quel momento assumeva. [...]».

Sempre con riguardo a Gioè utile appare riportare altro passo della deposizione del teste Scarpato, ispettore capo aggregato presso la Dia di Roma: «Gioè era difficile a controllare perche' non aveva un comportamento regolare, in quanto discontinuo nel senso che anche quando guidava, e mi riferisco alle fasi di pedinamento, la sua guida era intervallata da una corsa veloce e da una corsa lenta. E come pure, io mi ricordo perfettamente questi particolari, spesso, ancor prima di entrare in macchina, insomma, si guardava con fare circospetto il territorio dove lui (stava) e in piu'... come pure il guardarsi in continuazione e, in alcune occasioni abbiamo avuto modo di constatare, in continuazione di guardare lo specchietto retrovisore, uno dei comportamenti caratteristici del Gioe' all'epoca».

Ed ancora, del vice Sov. Luca Rampini: «Prima individuammo un luogo in via Ignazio Gioe', in contrada Inserra, dove loro si recavano la notte, per trascorrere la notte in pratica la frequentavano, di li' successivamente poi loro si spostarono, sempre per problemi loro di sicurezza, diciamo cosi'. Noi all'epoca avevamo i telefoni sotto controllo, sia del distributore, che era in uso a Gioe' Antonino, che di casa, nonché i telefoni di La Barbera, e quindi conoscevamo queste abitudini, questi movimenti e non solo, ci rendevamo conto del discorso che era di via Gioe', dove loro trascorrevano la notte e poi il giorno andavano in movimento. Ad un certo punto si registro' questo, c'era anche un discorso legato alla collaborazione di Leonardo Messina, che aveva scatenato una serie di mandati di cattura, per cui c'era movimento, c'era fermento delle forze dell'ordine, e quindi lasciarono questo covo, e noi nel frattempo continuammo dei servizi su di loro, finche' non ci portarono in questa via Ughetti al civico 17, e da li' quindi scoprimmo che, abbandonando quello, si erano recati in questo appartamento, di questi tre palazzi che c'erano, esistevano al civico 17».

[…] Quel che rilevava ancora di più era l’emersione di una traccia inequivocabile, cioè il riferimento all’“attintatuni“ verificatosi a Capaci, che pertanto non poteva che interpretarsi come fatto ascrivibile a quel gruppo di persone.

Testi tratti dalla sentenza della Corte d'Assise di Caltanissetta (Presidente Carmelo Zuccaro)

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