Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. In questa serie, tocca al racconto della strage di Capaci, in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta: Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Di Cillo.

Il racconto di Giovanni Brusca per la parte relativa alla fase ora in esame ha preso le mosse direttamente dal momento in cui era avvenuto il caricamento, e in particolare dall’istante in cui egli, giunto sul luogo dove doveva avvenire l’operazione, aveva visto i bidoncini avvolti nei sacchetti dell’immondizia riposti sotto un albero di ulivo: Brusca pertanto non sa come, ne chi aveva provveduto al trasporto degli stessi dalla villetta vicino al passaggio a livello al condotto, pur se ipotizza che l’attività poteva essere stata svolta dal gruppo che faceva capo a Bioindino, formato da Biondo e Ferrante.

L’arrivo al condotto per l’imputato va fissato in serata, quando già c’era buio, indicativamente intorno alle ore 21. Posto che continua ad essere valido lo schema cronologico cui si è fatto cenno già nel corso dell’esame dello svolgimento delle prove di velocità («...prima abbiamo fatto le prove, che abbiamo stabilito il punto dove potere azionare il telecomando. Dunque, avendo stabilito il punto dove azionare il telecomando avendo collocato il frigorifero, avendo messo, cioè avendo fatto il segnale sul paracar con lo scai, avendo finito questo fatto, poi la sera abbiamo cominciato il caricamento») può concludersi che il caricamento del condotto abbia avuto inizio la sera del giorno in cui erano state ultimate le prove.

Il motivo per cui tale operazione era stata effettuata per ultima è stato ben chiarito dall’imputato: «…il caricamento fu fatto per ultimo per non avvicinare più nel cunicolo, infatti lo abbiamo fatto appositamente di notte per non essere osservati da nessuno».

Le “difficoltà” nel posizionare l’esplosivo

Brusca ha ricordato di essere arrivato per primo insieme a La Barbera e che, solo successivamente erano giunti gli altri portati da Troia, il quale, per evitare che restassero troppe macchine parcheggiate nei dintorni, che potevano far insorgere sospetti in occasionali passanti, aveva fatto più viaggi per consentire alle persone incaricate di partecipare all’operazione.

Quanto alla sistemazione originaria dei bidoncini Brusca li ha collocati con precisione: «Dunque, c’è l’autostrada, c’è un sottopassaggio, andando verso sempre monte appena, passando la scarpata dell’autostrada, non lo so, cinquanta, cento metri, settanta, ottanta metri, sempre sul lato monte a destra, che c’era, mi sembra, un oliveto, cioè vicino ad un piede di olivo, è messo dentro dei sacchi di plastica, quelli della spazzatura, quelli neri... a circa cento metri, ottanta, settanta, centodieci, su per giù questi».

L’imputato si era dato carico insieme a Gioè, a La Barbera, a Rampulla e probabilmente a Bagarella di portare i bidoncini dall’albero al cunicolo: poco dopo erano cominciati i tentativi di procedere al collocamento delle frazioni di esplosivo nel condotto: «...E allora, i primi di tutti siamo arrivati io e LA BARBERA; io e LA BARBERA, abbiamo cominciato a vedere un pochettino la situazione...dall’altra estremità, quando io e LA BARBERA andavamo a controllare di trovare questa uscita del cunicolo, non siamo stati in grado di potere trovare l’uscita di questo cunicolo, credo che era ostruito, non so, da cespugli, da queste cose qua e noi non siamo riusciti ad individuarlo, ma credo che non era ostruito, ostruito solo da questi fatti. Poi il TROJA per non lasciare macchine - cioè questo per non lasciare macchine nella zona - ha fatto due o tre volte per andare a prendere le altre persone e sarebbe il RAMPULLA, il BAGARELLA, il BIONDINO e il BATTAGLIA, ehm BIONDO, non BIONDINO, BIONDO e il BATTAGLIA. Nel frattempo che il TROJA faceva questi viaggi di andare a prendere gli altri componenti, io e LA BARBERA cominciavamo a verificare come potere entrare il materiale, cioè il bidoncino di esplosivo dentro il cunicolo. Al che, non avendo valutato prima come fare, cioè ponendoci il problema subito, quando eravamo arrivati subito sul luogo o con una corda o con delle travi, cioè trovare un sistema come meglio potere entrare questo materiale lì dentro, al che io, LA BARBERA andavamo per trovare l’uscita dell’altro lato, per vedere dove andava a spuntare, come potere fare, ci siamo un pochettino stancati, cioè essendo che ci siamo un pochettino stancati, affaticati, avevamo un po’ di sospiro, un poco, cioè il fiatone. Al che abbiamo deciso di vedere, di cominciare ad entrarci noi e accompagnare i fustini noi. Appena abbiamo fatto la prova sia il LA BARBERA che io per entrare lì dentro cioè abbiamo visto che ci mancava il respiro, cioè un senso di afa, cioè non riuscivamo a respirare, perché eravamo stanchi di, il fiatone era molto intenso e credo da questo fatto ci siamo un pochettino preoccupati e sia per me e per LA BARBERA saremmo difficili in quanto avremmo trovato questo ostacolo e ci veniva difficile potere continuare, tranne che non trovavamo un’altra soluzione. A un dato punto arriva il GIOE’, arriva il GIOE’».

In sintesi i primi tentativi di riempire il cunicolo erano falliti: nessuno dei sistemi che sembra sul momento i due avessero escogitato, e cioè sia quello delle travi che quello delle funi o l’ultimo della spinta con le sole mani, era apparsi dopo la sperimentazione pratica in grado di realizzare lo scopo che gli operatori si erano prefissi, anzi entrambi gli imputati avevano realizzato che penetrando dentro il cunicolo, veniva a mancare addirittura l’aria: la prosecuzione dell’operazione era stata merito esclusivo di Gioè che giunto sul luogo dopo che Brusca e La Barbera avevano già sperimentato i primi insuccessi, evidentemente non affaticato dal trasporto dall’albero al cunicolo dei bidoncini, aveva mostrato ai due la via per risolvere il problema: […].

Gioè quindi riesce ad entrare agevolmente nel cunicolo e, in prima battuta lo ripulisce dei detriti di pietrisco che vi si erano concentrati, dopodichè, seguendo la traccia segnata sul pavimento come se fosse una scia sulla quale meglio si poteva scivolare, comincia l’inserimento dei bidoni. Sebbene il suo intervento fosse stato risolutore rispetto alle prime difficoltà incontrate da Brusca e La Barbera, l’operazione subì ugualmente una fase d’arresto essendosi constatata da parte degli agenti l’estrema lentezza con cui i lavori procedevano.

Di qui il successivo sforzo ideativo in esito al quale si optò per l’utilizzo dello skateboard, che consentiva alla persona che si introduceva nel condotto di scivolare al suo interno con maggiore velocità, e che fu procurato secondo l’imputato da Troia o Battaglia.

[…] Il posizionamento delle singole frazioni aveva costituito ancora un altro problema per gli operatori: Brusca infatti ha ricordato di aver appreso nel corso dei primi incontri con Riina, aventi ad oggetto gli abbozzi preliminari dei preparativi della strage, che l’autovetture sulle quali si muoveva il giudice viaggiavano per lo più sulle corsie di sorpasso, di qui l’esigenza di far si che la carica fosse concentrata per buona parte soprattutto in quella parte di carreggiata, e la conseguente necessità di trovare l’espediente tecnico che consentisse di posizionarla in quel modo: «Siccome quando le ho detto che mi hanno dato le indicazioni della velocità, la strada che faceva il Dottore FALCONE, CANCEMI, GANCI, in quell’occasione, o BIONDINO a marzo, cioè la prima volta presso l’abitazione di GUDDO GIROLAMO ci hanno detto pure che il Dottore FALCONE viaggiava sulla carreggiata, sempre sulla carreggiata della linea di sorpasso, quindi noi dovevamo andare a collocare il tritolo in particolar modo nella linea di sorpasso....dovevamo vedere come andare a posizionare il tritolo, cioè l’esplosivo in quel punto. E allora cosa abbiamo fatto? Abbiamo preso una corda e abbiamo preso il punto nella carreggiata, cioè nel lato di sorpasso sino alla punta del cunicolo e lo abbiamo misurato. L’abbiamo misurato sviluppando quanti metri potevano essere, valutando che i tubi erano di un metro ciascuno, siamo arrivati, cioè man mano che entravamo i bidoncini, contavamo i tubi e siamo andati a posizionare cioè l’esplosivo nella linea di sorpasso e poi tutto quello in più sempre ad uscire, ad uscire sino a dove siamo arrivati.

Quindi, abbiamo adoperato sia lo skate-board, avevamo dei guanti quelli da muratore per spingerci e non fracassarci le mani in quanto dovevamo posare le mani a terra per spingerci, perché poi entravamo con la testa in fuori, con i piedi all’interno, cioè in maniera che spingevamo i fustini con i piedi e li andavamo a collocare e poi uscivamo. Nell’ultimo - c’erano sei, sette, otto fustini, gli ultimi fustini - abbiamo adoperato addirittura anche una corda per fare in modo che appena davamo il segnale, chi era fuori ci tirava e uscivamo subito».

Brusca ha ricordato che nel corso di quest’operazione sia lui che RAMPULLA, GIOE’ e LA BARBERA avevano indossato delle tute da meccanico blu procurate da Gioè o da La Barbera e che, a causa del buio, avevano delle lampadine tascabili, circa due o tre.

[…] All’operazione materiale dell’inserimento dentro il cunicolo avevano partecipato oltre Brusca anche LA BARBERA e GIOE’; RAMPULLA pur essendo lì presente non partecipò materialmente al caricamento avendo un fisico abbastanza robusto, che pertanto gli impediva di muoversi con scioltezza all’interno del condotto che, non lo si dimentichi, era di circa cinquanta centimetri di diametro. Del resto era anche impegnato in un’attività particolare, cioè la preparazione del bidoncino con il detonatore:

[...]Oltre Rampulla, impegnati nelle attività sopra descritte c’erano BATTAGLIA, BIONDO e BAGARELLA, che avevano tutti funzione di copertura, per espletare la quale si erano dotati di armi:[...].

All'improvviso sbuca una pattuglia

Nel corso dell’attività di caricamento, quando erano circa a metà dell’opera, si era verificato un episodio che aveva interrotto lo svolgimento dei lavori: sulla strada provinciale si era fermata infatti una autovettura di servizio e alcuni carabinieri ne erano scesi per sostare per alcuni minuti sulla strada.

«...ad un dato punto, non so se BIONDINO o BAGARELLA, uno dei due, vide arrivare a distanza sul lato PUNTA RAISI una macchina dei Carabinieri, forse una FIAT UNO, e credo che i Carabinieri in quell’occasione si sono fermati, uno è sceso, credo che abbiano fatto qualche bisogno personale in cinque minuti, in dieci minuti, in sette minuti, non più di tanto, si sono messi in macchina e se ne sono andati».

Malgrado le esigenze di comunicazione fra gli operatori fossero meno vitali rispetto alla fase precedente, quella delle prove di velocità, deve rilevarsi anche per questo momento l’importanza dell’uso degli apparecchi cellulari, considerata, oltre all’esigenza di darsi comunicazione degli eventuali imprevisti, innanzitutto la necessità principale che i presenti avevano, e cioè quella di comunicare a Troia la fine del caricamento e quindi la richiesta di venire a prenderli con la macchina per andare via.

[…] Ultimata l’operazione di caricamento che, com’è ben comprensibile, era durata per un periodo di tempo rilevante, fino alle tre, quattro del mattino, gli operatori erano tornati grazie al Troia al casolare: «Lì ci siamo tolti le tute, abbiamo, tutto quello che non ci serviva più, lo scotch, le lampadine, tutto quello che non ci serviva più è stato distrutto. Abbiamo aspettato che si faceva giorno, cioè all’alba, intorno alle sei, e ce ne siamo tornati ad ALTOFONTE, abbiamo preso poi appuntamento per cominciare ad operare per quando cominciarci ad appostare».

Pietro Rampulla, che faceva parte del gruppo capeggiato da Brusca, non era tornato ad Altofonte con loro, ma si era fermato in una casa sita in via Ignazio Gioè, che Antonino Gioè aveva provveduto ad affittare usando le generalità di un parente [...].

I ricordi di Giovanbattista Ferrante

[…] «…nel corso della fase preparatoria, mi sono incontrato con MIMMO GANCI, non so addirittura se sia stato prima di fare le prove, comunque sicuramente è stato prima di, diciamo, del caricamento, diciamo del condotto, [...]”. Era stato in quest’occasione che Ferrante, che era in compagnia di altri di cui poi si dirà, aveva visto la Croma che il dott. Falcone usava per i suoi spostamenti parcheggiata nei pressi dell’abitazione del giudice, e aveva scambiato con Domenico Ganci i numeri dei cellulari: “..l'autovettura è praticamente, era alle spalle dell'ingresso principale di VIA NOTARBARTOLO, alle spalle, però era posteggiata non nel marciapiede dello stesso palazzo, nell'altro marciapiede, quindi, di fronte, era posteggiatala macchina lì, regolarmente, lì ho avuto il numero di targa, ci siamo scambiati i numeri di telefono con MIMMO GANCI».

L’incontro si era realizzato in due riprese, prima a Palermo e poi all’aeroporto.

«Io ci sono stato sicuramente di mattina e ci sono stato con SALVATORE BIONDINO, e credo, che con noi c'era pure SALVATORE BIONDO, ci sono stato con SALVATORE BIONDINO sicuramente perché, perché quando sono arrivato, diciamo, lì è sempre un problema trovare parcheggio, SALVATORE BIONDINO è sceso dalla macchina ed è andato a parlare con MIMMO GANCI...io sono rimasto prima ad aspettare, a cercare del, dove posteggiare, e poi, poi ho raggiunto, poi ho raggiunto loro nella CARNEZZERIA, dopodiché ricordo che siamo andati al BAR CIROS e già nel, diciamo, nel tratto a piedi che abbiamo fatto MIMMO mi ha fatto vedere dov'era posteggiata la macchina, la CROMA del Dottore FALCONE... l'autovettura è praticamente, era alle spalle del, diciamo dell'ingresso principale di VIA NOTARBARTOLO, alle spalle, però era posteggiata non nel marciapiede,. diciamo, del, dello stesso palazzo, nell'altro marciapiede, quindi, di fronte, era posteggiata la macchina lì, regolarmente, lì ho avuto il numero di targa, ci siamo scambiati i numeri di telefono con MIMMO GANCI lì, nella CARNEZZERIA, perché siamo passati, cioè siamo andati prima al bar, mi ha fatto vedere la macchina qual’era, lì appunto parlando proprio della macchina, mi ha detto che la macchina era sempre quella lì, sia la macchina che l'autista erano sempre uguali, le altre non erano, le altre macchine di scorta non erano, potevano pure cambiare, ma quella del Dottore FALCONE era sempre quella bianca, e l'autista era sempre la stessa persona».

Nel corso di questo primo incontro l’imputato aveva raggiunto la piena consapevolezza che i preparativi, a cui aveva partecipato, erano volti all’organizzazione di un attentato ai danni del dott. Falcone: […].

Ferrante si era occupato, innanzitutto, con la sua autovettura, del trasporto dell’esplosivo dalla villetta, sita vicino al passaggio a livello, al cunicolo. Lo aveva fatto utilizzando la sua auto, una Mercedes, che era stata preceduta come battistrada dalla Fiat Uno dove si trovavano Troia e Biondo.

La circostanza che si sia avvalso della propria auto induce a rilevare una certa imprudenza dell’azione, considerata la pericolosità del trasporto: tale condizione era comunque stata valutata in precedenza dagli operatori che, in origine, avevano avuto infatti intenzione di utilizzare, per tale attività, altra autovettura, naturalmente rubata. Questa, però, la sera in cui era stato effettuato il caricamento non si era messa in moto, costringendoli dunque a fare ricorso a soluzioni d’emergenza: si spiega così il ricorso all’auto personale.

Pur se l’imputato non è riuscito a collocare con precisione quando si era verificato il collocamento dell’esplosivo, è possibile determinare il periodo, perchè egli lo ha posto, rispetto allo stazionamento nella villetta del passaggio a livello, uno o due giorni dopo il travaso nei bidoncini, e comunque di sera tardi: […]. L’imputato comunque, la sera del caricamento li aveva trovati [i bidoncini, ndr.] già dissotterrati ed ha attribuito a Battaglia il merito di averli riportati alla luce e liberati delle buste di plastica e del letame che li ricoprivano: […]. Si trattava naturalmente degli stessi bidoncini che si erano prima riempiti di esplosivo, ma l’imputato aveva notato subito che ce n’era qualcuno in più: […].

In ordine al numero dei bidoni che formavano la carica, Ferrante ha ricordato un particolare relativo ad un intervento di Pietro Rampulla, teso a rassicurare i compagni sugli effetti devastanti dell’esplosione, pur se non erano stato impiegato tutto l’esplosivo di cui si disponeva: «PIETRO riteneva già sufficiente quella quantità di esplosivo, perché i bidoncini che si erano comprati, per essere successivamente riempiti, ce n'era qualcuno in più, perché volevano mettere dell'altro esplosivo. E' stato PIETRO a garantire, e a dire che quell'esplosivo sarebbe bastato. E perché si parlava, appunto, di quantità di esplosivo, perché si voleva raggiungere i cinquecento chili di esplosivo, mentre quell'esplosivo lì non arrivava a cinquecento chili. Però, PIETRO aveva detto che sarebbe bastato. Anzi, già riteneva sufficiente quell'esplosivo, perché già diceva, allora, che dopo l'esplosione i detriti sarebbero arrivati sino alla strada, diciamo, alla PROVINCIALE 113». […].

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