Su Domani continua il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dopo la serie sull’omicidio di Mario Francese e quella sul patto tra Cosa Nostra e i colletti bianchi, raccontiamo adesso la seconda guerra di mafia, quarant’anni dopo.

Il 16.6.1982, alle ore 10.15 circa, a seguito di segnalazione telefonica anonima, personale della Polizia di Stato e militari dell'Arma si portavano sulla Circonvallazione di Palermo, nel tratto denominato via Ugo La Malfa, prossimo all'imbocco dell'autostrada Palermo - Mazara del Vallo. Ivi si presentava ai loro occhi uno spettacolo agghiacciante: una autovettura Mercedes, targata EN 26306, posta diagonalmente sulla strada nella corsia di sinistra (rispetto alla direzione Mazara Del Vallo), crivellata di colpi d'arma da fuoco, con dentro i cadaveri di quattro uomini, di cui due vestiti con divisa di carabinieri; a circa venticinque metri dal veicolo, sul lato destro della carreggiata, il cadavere di un altro uomo, in divisa da carabiniere, riverso sull'asfalto ed anch'esso attinto da colpi di arma da fuoco.

Accostata alla fiancata destra della Mercedes vi era la Fiat 500 targata PA 213267, palesemente danneggiata; disseminati per alcune centinaia di metri lungo la strada, vi erano numerosi bossoli di proiettili calibro 7,62, mentre sette cartucce esplose - per arma a canna liscia, calibro 12 - si trovavano nei pressi della Mercedes.

Tutti e cinque i cadaveri presentavano gravissime lesioni d'arma da fuoco ma il più martoriato appariva quello dell'individuo rinvenuto, ammanettato, nel sedile posteriore della Mercedes fra due carabinieri; infatti, parte dell'ovoide cranico esploso per i colpi d'arma da fuoco e frammenti di materia cerebrale di quel cadavere venivano trovati sul sedile anteriore destro della fiat 500.

Quasi subito, ad un paio di chilometri dal luogo del massacro, venivano rinvenute due autovetture ormai distrutte dalle fiamme e cioè una BMW 520 ed una Alfa Romeo Alfetta, munite di targa falsa; trattavasi sicuramente delle vetture utilizzate per l'agguato e poi bruciate per eliminare qualsiasi traccia (a bordo della BMW veniva rinvenuto, infatti, un bossolo calibro 7,62 (FOT.058326)).

Si accertava che gli uccisi erano il detenuto ALFIO FERLITO, in traduzione della Casa Circondariale di Enna a quella di Trapani, i militari addetti alla scorta del detenuto e, cioè, l'App. CC. FRANZOLIN SILVANO ed i carabinieri BARCA LUIGI e RAITI SALVATORE nonché l'autista civile DI LAVORE GIUSEPPE.

Si accertava, altresì, che la Mercedes, prima di arrestarsi nel luogo dove era stata rinvenuta dagli inquirenti, aveva invaso la corsia di sinistra, e si era scontrata violentemente con la Fiat 500 guidata da tale PECORELLA NUNZIA, che, nell'urto, aveva riportato la frattura del ginocchio destro ed altre lesioni di minore entità.

Si accertava ancora che le due auto utilizzate dai killers e poi bruciate erano state rubate a Palermo qualche mese prima.

Sulla base di queste obiettive risultanze e delle scarne dichiarazioni rilasciate dalla PECORELLA, le modalità dell'eccidio potevano essere ricostruite con sufficiente precisione.

L'autovettura Mercedes, nel percorrere la Circonvallazione di Palermo diretta a Trapani, veniva affiancata verosimilmente dalla BMW (in questa vettura e' stato rinvenuto un bossolo di proiettile calibro 7,62) e fatta segno a colpi di arma da fuoco.

Il capo scorta, Appuntato FRANZOLIN SILVANO, si lanciava fuori dall'auto, ma non riusciva a sfuggire agli assalitori, che lo freddavano all'istante; la vettura, priva ormai di guida poiché l'autista, DI LAVORE GIUSEPPE, era stato colpito a morte, invadeva l'opposta corsia di marcia, entrando in collisione con la Fiat 500 guidata da PECORELLA NUNZIA, per arrestarsi definitivamente in prossimita' del ciglio sinistro della strada. I killers entravano immediatamente in azione e, circondata la Mercedes alla presenza della PECORELLA, concludevano l'opera uccidendo tutti gli occupanti della vettura con colpi di fucile mitragliatore calibro 7,62 (kalashnikov) e di lupara.

La ritrattazione

La PECORELLA, interrogata in ospedale dopo circa un'ora dall'agguato, riferiva che:

- Aveva notato una vettura colore scuro, proveniente dalla direzione opposta, invadere la sua corsia di marcia, senza pero' potere evitare lo scontro;

- Aveva visto, subito dopo, tre individui vestiti di scuro che sparavano contro il conducente della vettura con pistole lunghe e aveva sentito numerosi colpi a ripetizione.

Queste dichiarazioni, rese ai CC. quando ancora la donna era sotto shock per la terribile scena cui era stata costretta ad assistere, non venivano confermate, per evidenti motivi di paura, dinanzi al G.I. La PECORELLA, infatti, sosteneva che non aveva visto nessuno sparare e che quanto aveva dichiarato ai CC. era frutto del suo stato di confusione mentale: ammetteva, solo di avere sentito degli spari in rapida successione.

Constatata l'impossibilità di pervenire all'identificazione degli esecutori materiali del grave fatto di sangue per la mancanza di testimonianze dirette, si imboccava la strada, molto più impervia, tendente a risalire alla matrice e agli ispiratori dell'attentato. Queste indagini, assai complesse, hanno dato ottimi risultati, confermati poi dalle conclusioni della perizia balistica.

Nessun esito - invece - ha avuto l'inchiesta, pur meticolosamente condotta anche dal Procuratore della Repubblica di Enna, in ordine ad eventuali fughe di notizie sul giorno e sull'ora della traduzione di ALFIO FERLITO dal carcere di Enna a quello di Trapani.

E' certo, comunque, che i killers erano a conoscenza di tali notizie, essendo intervenuti con massima tempestività nel momento in cui la Mercedes percorreva la Circonvallazione di Palermo; rimane, quindi, l'inquietante sospetto di collusioni non accertate.

L'omicidio di Giuseppe Calderone

L'individuazione della possibile causale dello eccidio non può prescindere, come punto di partenza delle indagini, dalla spietata faida che, a Catania, ha visto contrapposti i gruppi capeggiati, rispettivamente, dal FERLITO e da NITTO SANTAPAOLA. E su questa pista si indirizza il rapporto presentato dai CC. e dalla Squadra Mobile di Catania il 30.6.1982.

Il rapporto risale all'uccisione, avvenuta a Catania l'8.9.1978, di GIUSEPPE CALDERONE.

Costui, dopo una lunga e cruenta lotta, aveva preferito concordare una tregua con i clan avversari BONANNO - MAZZEI ("I CARCAGNUSI"), tregua suggellata solennemente alla presenza del noto boss mafioso FRANK COPPOLA, nei primi mesi del 1978.

L'accordo, però, non era stato gradito da personaggi di spicco del clan di CALDERONE, quali NITTO SANTAPAOLA, ALFIO FERLITO ed ALFIO AMATO, i quali nello scontro avevano perso numerosi parenti ed amici.

SANTAPAOLA e FERLITO, pertanto, decretavano la soppressione del CALDERONE, il quale veniva ucciso mentre si trovava a bordo di una autovettura guidata dal suo fido LANZAFAME SALVATORE, sopravvissuto all'attentato pur essendo stato ferito gravemente.

Il SANTAPAOLA, però, preso il posto del CALDERONE al vertice dell'organizzazione, aveva mantenuto la pace coi MAZZEI, suscitando molti malumori nei suoi alleati, tanto che ALFIO FERLITO, i suoi cognati VINCIGUERRA (CICALEDDA) nonché SALVATORE PILLERA, SALVATORE PALERMO, ALFIO AMATO e diversi altri lo abbandonavano formando un clan contrapposto, divenuto ben presto assai temibile e potente.

La guerra tra il clan Ferlito e il clan Santapaola

Dal 1980, quindi, ricominciavano con ritmo sempre crescente le uccisioni di membri ed alleati dei due clan rivali. Gli avvenimenti più significativi erano i seguenti.

1) SPARATORIA DI VIA DELLE OLIMPIADI.

Il 6.6.1981 verso le ore 20, in via Delle Olimpiadi (localita' Cerza), zona periferica a Nord di Catania, si verificava una violenta sparatoria. Dopo circa mezz'ora, si presentavano, feriti, in ospedale NATALE DI RAIMONDO e SALVATORE PAPPALARDO, i quali dichiaravano che, passando per la via Plebiscito, erano stati feriti da sconosciuti a colpi di pistola.

[…] Il giorno successivo alla sparatoria (7.6.1982), veniva ricoverato all'ospedale di Reggio Calabria LANZAFAME SALVATORE (quello stesso gia' ferito nello attentato al CALDERONE) con una grave ferita d'arma da fuoco all'addome; il LANZAFAME, a seguito delle ferite riportate, decedeva il 13 giugno 1982.

I verbalizzanti prospettavano - nel rapporto - che quello di via Delle Olimpiadi era stato un agguato teso a NITTO SANTAPAOLA da parte di ALFIO FERLITO, di suo cognato MICHELE VINCIGUERRA ("CICALEDDA"), di SALVATORE PILLERA ("TURI CACHITI"), di ANTONINO STRANO STELLARIO ("NINU FIGGHIUPERSU"), di SALVATORE GRITTI e di MATTEO TERNULLO ("MELU LAMPADINA"), con la partecipazione di PAPPALARDO e di DI RAIMONDO, quali guardaspalle dei SANTAPAOLA.

2. FERIMENTO DI SCALETTA PIETRO.

Nella notte del 30.12.1981 in Caserta veniva gravemente ferito da colpi d'arma da fuoco e buttato in un burrone con la sua vettura tale SCALETTA PIETRO, ritenuto trafficante di stupefacenti del clan di ALFIO FERLITO. Da fonte informativa si apprendeva che ispiratori dell'attentato contro lo SCALETTA erano stati i fratelli FERRERA, che si erano avvalsi dell'aiuto di MICHELE ZAZA e dei fratelli NUVOLETTA (si ricorda che GIUSEPPE FERRERA e' stato recentemente arrestato a Napoli e che ZAZA e i NUVOLETTA sono stati indicati quali "uomini d'onore" da BUSCETTA e CONTORNO).

3. UCCISIONE DI CORRADO MANFREDI (16.1.1982; CLAN SANTAPAOLA), MUSUMECI ANDREA E ZITELLO ANTONINO (5.2.1982; CLAN FERLITO), BONARDI ANGELO, SCIUTO GIUSEPPE E SCIUTO ANTONINO (8.2.1982: CLAN FERLITO), FINOCCHIARO SALVATORE (12.2.1982: CUGINO DI SANTAPAOLA), CARRUBBA VINCENZO) (25.2.1982: CLAN SANTAPAOLA).

4. ARRESTO DI SANTAPAOLA ANTONINO, FRATELLO DI NITTO, E DI AMATO SALVATORE. […].

5. UCCISIONE DI ROMEO ROSARIO, BRACCIO DESTRO DI NITTO SANTAPAOLA, E DEL M.LLO CC. AGOSTA ALFREDO, CHE SI TROVAVA IN COMPAGNIA DEL ROMEO (18.3.1982).

6. UCCISIONE DI FARINA SALVATORE (PARENTE DEI SANTAPAOLA: 24.3.1982)

7. STRAGE DI VIA DELL'IRIS.

Il 26 aprile 1982, in detta via, venivano uccisi, in una sparatoria, PRIVITERA ANTONINO, DI MAURO IGNAZIO, MONGELLI GIUSEPPE, CARUSO GIUSEPPE, CONTI GIUSEPPE e SALERNO SAVERIO, e riportavano gravi ferite BRUNO SALVATORE, PATANE' ROSARIO, RUSSO FRANCESCO, RAINERI GIUSEPPE e FAZIO AGATINO. Sul luogo dell'eccidio venivano rinvenute due bombe e mano ed una rivoltella, risultata rubata a Torino. In via informativa, si apprendeva che il BRUNO e forse qualche altro dei giovani coinvolti nella sparatoria appartenevano al clan SANTAPAOLA e che si addebitava al BRUNO medesimo di essere stato autore della "soffiata" a causa della quale ALFIO FERLITO era stato arrestato a Milano, qualche mese prima, con quasi una tonnellata di hashish.

8. INCENDIO DELLA FABBRICA DI MOBILI JOLLY COMPONIBILI.

Un violentissimo incendio, il 28.4.1982, distruggeva per intero la fabbrica in questione, cui sicuramente ALFIO FERLITO era interessato.

La matrice dell'incendio, avvenuto dopo appena due giorni dalla strage di S. GIORGIO, e' talmente chiara che ogni commento e' superfluo.

9. UCCISIONE DI NICOTRA SALVATORE (CLAN SANTAPAOLA: 10.5.1982), DI SPINA MARIO (CLAN FERLITO: 12.5.1982), DI D'URSO ALFIO (CLAN FERLITO: 21.5.1982), DI DI PASQUALE SALVATORE (CUGINO DEI SANTAPAOLA: 25.5.1982), DI ROTOLO SANTO (TESTIMONE OCULARE DELL'ASSASSINIO DEL DI PASQUALE: 25.5.1982), DI CANNAVO' CALOGERO (CLAN FERLITO: 1.6.1982), DI ZAGAMI ALFIO (CLAN FERLITO: 4.6.1982), DI RAGUSA SEBASTIANO (CUGINO DEI SANTAPAOLA: 4.6.1982), DI LICCIARDELLO AGATINO (CLAN SANTAPAOLA: 7.6.1982), DI BRANCIFORTI GIACOMO (CLAN SANTAPAOLA: 7.6.1982).

10. FERIMENTO DI FRANCESCO FERRERA, "CAVADDUZZU", CUGINO DI NITTO SANTAPAOLA, AVVENUTO IL 15.6.1982.

Questa impressionante cadenza di esecuzioni che hanno preceduto l'omicidio FERLITO già da sola consente di inscrivere l'uccisione del FERLITO nel sanguinoso scontro tra i due gruppi rivali e di individuare in NITTO SANTAPAOLA, capo del clan avversario, l'ispiratore dell'eccidio.

ALFIO FERLITO, infatti, benché detenuto, aveva tutt'altro che perso la sua "guerra" contro SANTAPAOLA ed era ancora assai pericoloso; doveva, pertanto essere, eliminato al più presto ed a qualunque costo, anche uccidendo i carabinieri di scorta, fatto questo che, nonostante la sempre maggiore assuefazione della mafia a colpire pubblici funzionari, non viene mai deciso a cuor leggero perché, a tacer d'altro, scatena un'ondata repressiva da parte dello Stato, di cui va tenuto debito conto.

L'alleanza tra Santapaola e Riina

[…] Le dichiarazioni dei c.d. pentiti confermano inoltre, la stretta alleanza di SANTAPAOLA con la mafia palermitana, tanto interessata all'eliminazione di FERLITO da fornire una incondizionata collaborazione, utilizzando anche i propri killers più esperti (come è dimostrato dalle armi impiegate).

Infatti il contrasto tra SANTAPAOLA e FERLITO non era una vicenda che si esauriva nell'ambito locale ma era uno scontro che rifletteva i suoi effetti negli equilibri e nei sistemi di alleanze della mafia palermitana e che a sua volta ne rimaneva condizionato.

In altri termini, dopo l'eliminazione di BONTATE ed INZERILLO i corleonesi, nel contesto di una ambiziosa manovra di annientamento del dissenso interno e di avvicinamento alle organizzazioni mafiose provinciali, per la creazione di un monolitico blocco mafioso, avevano interesse ad eliminare chiunque fosse stato in grado, per prestigio personale e per potenza della propria organizzazione, di contrastare il loro disegno egemonico. In questa prospettiva il FERLITO, che era legato alla c.d. mafia "perdente", doveva essere ucciso.

Siffatte conclusioni sono perfettamente aderenti alla realtà processuale. Si è già parlato a lungo dell'alleanza di NITTO SANTAPAOLA con i palermitani e del ruolo svolto dalla sua organizzazione nel traffico di stupefacenti gestito dai palermitani.

Resta da dire dei rapporti di ALFIO FERLITO con il c.d. gruppo perdente.

Al riguardo è assai significativo un telegramma che il FERLITO, appena giunto alla Casa Circondariale di Trapani, aveva inviato, il 22.2.1982, a PIETRO MARCHESE, detenuto a Palermo: "trovomi Trapani ti abbraccio ALFIO".

L'invio di questo telegramma ha costituito indubbiamente una grave imprudenza che ha consentito di mettere in luce i collegamenti di FERLITO col gruppo del defunto SALVATORE INZERILLO; egli però non poteva agire diversamente, in quanto doveva dimostrare la sua presenza in un momento difficile come quello successivo all'uccisione del suo potente alleato e doveva mantenere saldi i legami coi superstiti.

Da questa necessità è dettata anche la lettera che lo stesso FERLITO aveva spedito, appena il giorno prima di essere ucciso (15.6.1982), al fido ORAZIO NICOLOSI, detenuto nel carcere di Catania, ma diretta ai suoi "amici": la lettera, che inizia con la frase "fratelli cari", contiene soprattutto un'esortazione a "ridurre" la corrispondenza all'essenziale e si conclude con la previsione che sarebbero venuti "giorni migliori".

Tre giorni dopo l'invio del telegramma (25.2.1982) PIETRO MARCHESE veniva ucciso in carcere ed il FERLITO, il 1°.3.1982, inviava un altro telegramma, questa volta a GIOVANNELLO GRECO, allora detenuto a Milano: "appresa triste notizia ti sono moralmente vicino al tuo dolore. ALFIO".

Questi telegrammi, inviati a due fra i maggiori protagonisti della c.d. guerra di mafia palermitana ed a personaggi la cui "vicinanza" al defunto SALVATORE INZERILLO e' indiscutibile, costituisce prova sicura dell'asse INZERILLO - FERLITO e dell'esistenza di un programma comune dei due clan all'interno di "Cosa Nostra".

D'altro canto, dato che il suo avversario NITTO SANTAPAOLA aveva stretto alleanza col gruppo dei corleonesi, il FERLITO, per sopravvivere, doveva trovarsi degli amici in seno alla mafia palermitana, e non poteva che trovarli tra gli avversari dei corleonesi.

Testi tratti dall'ordinanza del maxi processo

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