Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è incentrata su Trame, il festival dei libri sulle mafie che si tiene dal 22 al 26 giugno a Lamezia Terme.


Il 1992 è l’anno delle stragi di mafia, quelle eclatanti di Palermo. Per Cittanova è l’anno della denuncia collettiva contro i Facchineri, la cosca più potente della zona, una presa di coscienza comune e condivisa, la prima nella piana di Gioia Tauro, che ha scardinato il sistema di potere e di controllo sul territorio mostrando un’alternativa all’assoggettamento e al pagamento del pizzo.

Trent’anni fa dodici imprenditori sceglievano di non assecondare le richieste, non lasciarsi impaurire dalle visite dei gregari del clan e dai loro pizzini minatori. Le loro denunce fecero scattare indagini, processi e i primi arresti, arrivò la Commissione Antimafia, si creò un movimento di sostegno. Lo Stato fu presente, riconoscendo la portata di un cambiamento prima di tutto culturale, a cui parte degli abitanti di Cittanova non era ancora preparata.

Fu lì che nacque la seconda associazione antiracket d’Italia, dopo quella di Capo d’Orlando in Sicilia, e la prima in Calabria.

«Si facevano le riunioni nei sottoscala, come i carbonari» – racconta Domenico Morano, figlio di uno degli imprenditori coraggiosi, ora titolare dell’azienda di famiglia. «La forza fu quella di riuscire a condividere il problema. Solo oggi percepiamo davvero quello che stava accadendo, la semina di quei giorni ha dato buoni frutti. Le imprese rappresentate in quella denuncia sono ancora in piedi, sono prosperate e rimaste “libere” in eredità alle successive generazioni. Chi non ha avuto la forza di unirsi, nel tempo è stato costretto a chiudere i battenti. I loro figli sono emigrati perché non avevano più futuro in Calabria».

Domenico Morano ha saputo trasformare l’officina di suo padre in una realtà imprenditoriale di successo, punto di riferimento per le multinazionali che si occupano di sistemi di sicurezza per i bancomat, mantenendo il vecchio magazzino ora inglobato in un fabbricato ben più grande, con una squadra di lavoro al suo interno composta da giovani del posto. L’altro investimento importante è stato l’acquisto di una grande struttura a Garlasco, vicino Milano, che ha “delocalizzato la Calabria”, facendone il luogo dell’assemblaggio della componente elettronica.

«La denuncia del 92 e l’impegno della mia famiglia sono una garanzia per chi non avrebbe mai pensato di investire in una terra come la nostra. Le multinazionali nostre clienti ci hanno scelto anche per questo».

Morano, tra i volti del progetto “Mani Libere in Calabria”, e la sua azienda, sono certamente l’eccezione sul piano imprenditoriale, dal punto di vista dell’innovazione e della capacità di dialogare con realtà internazionali. Ma rappresentano perfettamente la regola della libera impresa.

Chi denuncia non solo sceglie la strada della legalità, ma concede alla propria attività di sopravvivere e crescere, in sicurezza, di creare occupazione, favorire un’economia sana e offrire alla propria terra una possibilità di salvezza.

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