Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è incentrata su Trame, il festival dei libri sulle mafie che si tiene dal 22 al 26 giugno a Lamezia Terme.


La mafia è come la borsa valori: imprevedibile, a volte vince a volte perde, e (purtroppo) è spesso un passo avanti. Soprattutto al Nord e al Centro Italia, negli anni, la criminalità organizzata ha smussato i suoi caratteri originali, mimetizzandosi perfettamente nei gangli puliti della società. Non spara, non fa attentati, o almeno cerca di evitare; è interessata a investire denaro e quindi non compie azioni eclatanti.

Ha interesse a mimetizzarsi socialmente ed economicamente: mentre al Sud per la mafia la priorità resta il controllo del territorio, al nord è il controllo dell'economia, usando prestanome incensurati e attività legali, oppure il controllo di pacchetti di voti, acquisiti - con metodi ricattatori o violenti - sia nelle comunità di emigrati meridionali al Nord sia fra quegli strati sociali “indigeni” venuti in contatto con la consorteria criminale.
Per comprendere il potere di ingerenza mafiosa rispetto alle dinamiche elettorali ed economiche, basta pensare al processo Aemilia, che è stato il secondo processo più corposo in Italia per la lotta alla mafia. Senza contare il caso del keu nella zona del fiorentino, che ha messo in risalto i legami tra la ‘Ndrangheta e il mondo conciario e politico, svelando una Toscana per molti inedita, ma che già da molti anni è teatro di manovre criminali. Un documento della Dda napoletana di circa 3mila pagine, pressoché ignorato e inedito dalla magistratura toscana, riporta infatti le confessioni dei principali vertici dei casalesi, anni 2016-2017, che indicavano la il territorio toscano come centro nevralgico per un nuovo business criminale, quello delle ecomafie.
Come spesso si sente dire: «I mafiosi non hanno più lupara e coppola». È vero, ma c’è tanto altro. La celebre frase di Sciascia sulla «risalita della linea della palma», nella quale si diceva che «forse tutta l'Italia va diventando Sicilia», oggi è infatti divenuta anacronistica. La mafia cui si riferiva Sciascia era Cosa Nostra.

Oggi invece è la Camorra e soprattutto la ‘Ndrangheta calabrese, che fino a vent'anni fa continuava ad essere considerata una mafia “minore”, a rappresentare la più importante organizzazione mafiosa al mondo, grazie al controllo dello spaccio internazionale di droghe pesanti e alla penetrazione chirurgica nella sfera politica ed economica di società - quella del Nord e Centro Italia - “vergini” in termini di convivenza con certi tipi di fenomeni.
Per combattere questa galassia serve quindi sana informazione, divulgazione e formazione per continuare a mantenere una “diga civile” contro l’avanzata mafiosa: anche questo fa parte del recupero di una piena sovranità nazionale. Del resto un’inchiesta giornalistica ha sempre due autori: chi scrive e chi legge, e qui sta la grande forza, dato che il cambiamento arriva solo se chi legge può decidere di migliorare. La notizia non è quella che arriva, ma quella che il giornalista si va a cercare e un paese in cui si portano avanti molte inchieste è un paese con più trasparenza, con meno corruzione, che funziona meglio.
E non esiste solo il modello dell'inviato di guerra: le storie ci sono ovunque, anche nelle piccole città, e il modo di porsi non cambia, il metodo è lo stesso, cambiano solamente i pericoli che devi affrontare. Il giornalismo che studia i sistemi criminali si troverà di fonte sempre più ostacoli, ed è per tale motivo che oggi più di ieri all’origine di una inchiesta deve esserci il desiderio di un giornalista di raccontare anche quello che non appare o appare in altro modo.

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