Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è incentrata sul giudice Giovanni Falcone e sulla strage di Capaci di trent’anni fa.


Le prime lettere anonime, bare o croci disegnate su fogli bianchi, gli vengono recapitate dopo che ha ordinato l’acquisizione delle distinte di cambio in valuta estera a partire dal 1975.

La sua piccola stanza, in fondo al corridoio buio del piano terra del Tribunale, si riempie di scatoloni. Tutti i movimenti di denaro dal New Jersey a Palermo sono lì dentro. È la scoperta dell’America.

«Il cadavere di un uomo si può anche far sparire, lo buttano nell’acido e senza il corpo di reato non c’è più il reato, ma i soldi lasciano sempre una traccia», spiega Falcone al suo capo, il consigliere istruttore Rocco Chinnici, il magistrato che ha appena preso il posto di Cesare Terranova assassinato a colpi di Winchester.

Rocco Chinnici è un uomo all’antica, burbero, conosce la mafia e soprattutto non fa parte della nomenclatura del Palazzo.

Dimentica il consiglio ricevuto da Sua Eccellenza Giovanni Pizzillo e lascia tranquillo Falcone nella sua indagine.

Una tranquillità che Palermo perde per sempre.

Un magistrato così non si è mai visto in quel Tribunale avvolto in un torpore eterno.

Le abitudini di Falcone

Si sveglia ogni mattina alle 5, lavora un’ora a mente fresca, a casa. Prima delle 7 corre alla piscina comunale, una nuotata e, quando non sono ancora le 8, è già in ufficio. S’infila nella sua stanza stringendo tra le mani due borse di pelle, dispone le sue penne stilografiche con inchiostro verde e blu fra agende e risme di carta, comincia a leggere verbali di interrogatorio, controlla verifiche fiscali, inoltra ordinanze alla procura della repubblica, chiama a raccolta colonnelli della Finanza e commissari capi della Squadra Mobile, distribuisce deleghe d’indagine, suggerisce piste, fissa colloqui con detenuti all’Ucciardone e con testimoni a Milano, Firenze, Caltanissetta, Catania, Roma, New York.

Gentile e distaccato con tutti, molto riservato, cauto. Le sue labbra sono sempre piegate in un sorrisino indecifrabile.

La barba ben curata, due mele a colazione per tentare di smaltire qualche chilo di troppo, la porta sempre aperta agli avvocati.

Cominciano a fare la fila davanti alla sua stanza.

«Dottore Giovanni», gli dice uno, calcando l’accento sul «dottore» per trasmettere il massimo del rispetto e prendersi al contempo il massimo della confidenza chiamandolo per nome.

«Per fortuna è finito a lei il processo Spatola, il suo equilibrio è la nostra garanzia, il suo senso della giustizia la nostra serenità», gli dice un altro quando si viene a sapere che l’inchiesta, in procura, sta dividendo i magistrati per gli ordini di cattura del «caso Spatola» da sottoporre all’ufficio istruzione.

Falcone è impassibile. Parla con tutti, risponde a tutti, non si nega mai. E intanto indaga.

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