Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è incentrata sul giudice Giovanni Falcone e sulla strage di Capaci di trent’anni fa.


La leggenda in ermellino è seduta su una panca del Palazzo di Giustizia di Palermo. In carne ed ossa. È la mattina del 22 giugno

del 1998, il giorno della prima udienza del suo processo come imputato di associazione mafiosa. Gli vado vicino, non si sottrae all’intervista.

È pentito, presidente? «Rifarei tutto quello che ho fatto». Che opinione ha dei procuratori siciliani che l’hanno messa sotto accusa per aver «aggiustato» un bel po’ dei loro processi contro i boss? «Rifarei tutto quello che ho ho fatto».

Ha dato del cretino a Giovanni Falcone, ripeterebbe mai quella frase? «A casa propria ognuno fa quello che vuole». Ha qualcosa da dire ai magistrati che la giudicano? «Ai signori del Tribunale posso portare il mio libretto universitario».

Verbosissimo, superbo, il magistrato che considera la mafia una favola, Sua Eccellenza Corrado Carnevale mi saluta e se ne va. Assolto in primo grado. Condannato a sei anni di reclusione in Appello. Scagionato da ogni accusa in Cassazione.

In Cassazione

Il 30 gennaio del 1992 la sentenza della Cassazione sfregia per sempre il potere della mafia. Gli ergastoli vengono confermati. L’unità verticistica di Cosa Nostra «supera l’esame di legittimità».

È la sconfitta più dura mai subita dalla mafia. È il prodigio di Giovanni Falcone. Nemmeno due mesi dopo, il 12 marzo, a Palermo uccidono Salvo Lima, l’uomo politico più potente della Sicilia. Lo rincorrono lungo un vialetto di Mondello, gli sparano alle spalle come si fa con i traditori. È la prima volta dal dopoguerra che si registra una rottura fra i vertici mafiosi e la direzione della Democrazia Cristiana siciliana, una sorta di crisi diplomatica tra le due istituzioni più potenti dell’isola.

Totò Riina si sente ingannato dai vecchi amici. Il maxi processo è andato male. Lima ne aveva «garantito» il buon esito. Cosa Nostra non perdona.

L’omicidio di Salvo Lima è un segnale anche per Giulio Andreotti. Il cadavere del siciliano gli sbarra per sempre la strada del Quirinale, al quale aspira da anni. «Da questo momento può accadere di tutto», dice Giovanni Falcone ai giudici del pool rimasti a Palermo.

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