Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è dedicata al depistaggio sulla strage di via D’Amelio, nella quale morirono Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

Non meno incomprensibile è stata la scelta di non approfondire il giudizio che anche Giovanni Brusca esprime – giudizio netto, senza margini d’equivoco – su Scarantino. È il 23 gennaio 2004 e Brusca (collaborante a pieno titolo ormai da cinque anni) è ascoltato in un dibattimento in corso nell’aula bunker del carcere di Firenze dinanzi la Corte di Assise d’Appello di Catania, dove si stava svolgendo, a seguito del rinvio della Cassazione, il processo stralcio delle due stragi:

«Con le dichiarazioni di Vincenzo Scarantino – dice il pentito – ci sono degli innocenti in carcere… questo qua, per me, fra virgolette è un pazzo».

Brusca fa mettere a verbale in udienza che, a suo avviso, ci sono soggetti ingiustamente condannati a seguito delle dichiarazioni di Scarantino che per lui “è un pazzo”. Che cosa accade a questo punto? Nulla! Nessun approfondimento investigativo, nessuna richiesta a Brusca di spiegare da dove traesse il convincimento che Scarantino era un bugiardo e che i processi celebrati a partire dalle sue “rivelazioni” fossero una farsa. Scarantino mente, dice Brusca: e la cosa muore lì.

Mancano ancora quattro anni all’inizio della collaborazione di Spatuzza. Le risultanze processuali su via D’Amelio resteranno in piedi continuando ad avere come perno dell’accusa le menzogne di Scarantino.

Come si spiega il fatto che uno dei pentiti più accreditati sia creduto per tutto ciò che ricostruisce ma ignorato nel momento in cui getta ombre pesantissime sulla credibilità di Vincenzo Scarantino? È un quesito che abbiamo girato al senatore Massimo Brutti.

BRUTTI, già presidente del Comitato parlamentare di controllo sui Servizi segreti. È possibile che accada quando ci sia l’interesse a coltivare la propria pista di indagine, a insistere nelle condizioni che sono maturate. Una delle motivazioni che ci siamo dati in questi anni per questo depistaggio, per questa vicenda orrenda di Scarantino, è che c’era l’ansia di realizzare un obiettivo, di far vedere…

FAVA, presidente della Commissione. Il risultato.

BRUTTI, già presidente del Comitato parlamentare di controllo sui Servizi segreti. L’ansia del risultato. Io non so se questo basti a spiegare…

FAVA, presidente della Commissione. Forse spiega, ma non giustifica.

BRUTTI, già presidente del Comitato parlamentare di controllo sui Servizi segreti. È chiaro che non giustifica. L’errore, in questo caso evidente, è che c’è la dichiarazione di un collaboratore (Giovanni Brusca, ndr.) che ha già reso dichiarazioni attendibili, che ha un programma di protezione deciso dalla Commissione: come mai non c’è un’attività di indagine sui possibili riscontri? Io non so dare risposta.

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