Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie è incentrata sul generale Carlo Alberto dalla Chiesa ucciso quarant’anni fa il 3 settembre del 1982.


Dopo il silenzio del Presidente del Consiglio, arrivano le parole lugubri di Andreotti.

Il senatore, che è stato a capo del governo negli anni di dalla Chiesa all’Antiterrorismo, per sondare le sue intenzioni gli racconta un episodio intorno alla vicenda Sindona citandogli «un certo Inzerillo, morto in America, è giunto in Italia in una bara e con un biglietto da 10 dollari in bocca».

Un altro avvertimento?

Perché Giulio Andreotti, grande protettore del bancarottiere, uomo legato a doppio filo alla mafia siciliana, riferisce di quel delitto a dalla Chiesa che è in procinto di tornare a Palermo?

Forse per orgoglio, per senso dello Stato, forse per il timore che qualcuno possa dire che nella sfida più decisiva lui si è tirato indietro, circondato da ostilità manifeste e avversioni appena smorzate Carlo Alberto dalla Chiesa dopo quarant’anni nella sua Arma parte come prefetto per la Sicilia.

Sull’aereo che va verso Palermo, il pomeriggio del 30 aprile 1982, scrive una lettera ai suoi figli. È il suo testamento.

Ricorda l’amore per la moglie Dora e ai ragazzi dice che ha già diviso per loro i gioielli di famiglia: «Quanto vi ho scritto, l’ho fatto a 7.000-8.000 metri d’altezza, in cielo, mentre l’aereo mi portava veloce a Palermo…».

All’aeroporto di Punta Raisi sale su un taxi, è in borghese. E in taxi entra nella sua prefettura, Villa Whitaker, in via Cavour.

È in borghese anche sul palco di piazza Politeama, domenica 2 maggio, davanti alla folla sterminata che assiste ai funerali di Pio La Torre.

Accanto a lui c’è il presidente della Regione Siciliana Mario D’Acquisto, un democristiano conosciuto ai tempi della Legione di Palermo. È uno degli amici di Salvo Lima finiti in quelle sue «schede» consegnate alla Commissione Parlamentare Antimafia.

Il «dibattito» sui suoi poteri si fa subito rovente. Parte anche il lamento sulla «criminalizzazione» della Sicilia, s’evoca il fantasma del prefetto Mori e delle sue retate indiscriminate alla fine degli Anni Venti.

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