Ivo Muser ha commissionato un’inchiesta sugli abusi sessuali commessi da membri del clero nella sua diocesi ed è stato accusato esplicitamente, dagli autori del rapporto, di non essersi comportato nel modo giusto dinanzi a un caso. Il vescovo ha riconosciuto di aver, in questo e in altri casi, commesso degli errori, promettendo al tempo stesso di aver imparato la lezione e di non volerli ripetere. Ci sono vescovi italiani disposti a imitarlo?
Ci sono due modi di reagire a uno scandalo delle dimensioni di quello degli abusi sessuali commessi dai membri del clero cattolico.
Il primo consiste nel minimizzare la vastità e la gravità dello scandalo, nell’approntare alcune misure tampone per sperare di arginarlo nel futuro e soprattutto nell’invocare un colpo di spugna sul passato, rifiutandosi ostinatamente di avviare un processo approfondito e severo sulle proprie mancanze pregresse. Questa è la linea che hanno scelto, forti di una sostanziale indifferenza rispetto al tema da parte dell’opinione pubblica nazionale, i vescovi italiani riuniti nella Cei presieduta dal cardinal Matteo Maria Zuppi.
La seconda via è esattamente opposta alla prima e si traduce nel riconoscere appieno la serietà del problema e soprattutto nel decidere di sottoporsi a una spietata ricerca delle cause del fenomeno e delle proprie responsabilità affidandosi a un centro di ricerca totalmente indipendente e facendo seguire la pubblicazione dei risultati da una pronuncia pubblica di scuse indirizzate a chi ha subito violenze e abusi (ed è stato costretto per anni a tacerne l’esistenza) e all’intera comunità dei credenti così a lungo tenuta all’oscuro e ingannata dai vertici ecclesiali.
Questa seconda è la strada imboccata da tempo da molte conferenze episcopali europee e nordamericane alle quali si è aggiunta, ed è un evento davvero felice, una piccola diocesi italiana, quella di Bolzano-Bressanone. Influenzata dalla presenza di una maggioranza di fedeli di lingua tedesca e quindi da una prossimità culturale elevata con una delle comunità cattoliche più attive sul piano della lotta agli abusi e della riforma della chiesa, questa piccola diocesi del Nord Est ha spalancato i propri archivi a un’equipe di ricercatori indipendenti che qualche giorno fa ha pubblicato il suo primo rapporto.
Il rapporto
Il documento è lungo più di 600 pagine, è frutto di un lavoro di scavo fenomenale e rappresenterà per i pochi studiosi italiani del fenomeno una miniera di dati e di analisi impareggiabile.
Qui mi limito ad analizzarne, per farne intuire l’approccio, un solo piccolo frammento. Una parte del rapporto è dedicato all’analisi dei casi. Il numero 13 riporta la vicenda di un sacerdote già noto ai vertici diocesani per aver assunto condotte improprie nei confronti di minori all’interno di un istituto di formazione negli anni Ottanta.
Malgrado ciò, a costui venne affidato, nel decennio successivo, l’incarico di insegnante di religione in una scuola elementare. Alla fine degli anni Duemila vennero alla luce nuove violenze e abusi commessi dal prete, nel frattempo diventato parroco, a danno di alcuni dei bambini a lui affidati.
Il vescovo Ivo Muser (dal 2011 e sino ad oggi responsabile della diocesi) «veniva interpellato da terzi sulla questione, una prima volta a inizio degli anni 2010 e una seconda volta alla fine dello stesso decennio». Costui ha avviato un’indagine e non ha mancato di segnalare il caso alla congregazione per la Dottrina della fede, ma ha sollevato il sacerdote (nel frattempo divenuto reo confesso, ma non pentito, dei gesti che gli erano stati attribuiti) soltanto dalla guida della parrocchia, non dall’attività di assistenza pastorale.
Quest’ultima gli è stata interdetta solo all’inizio degli anni Venti, quando «emersero nuove accuse per un episodio risalente alla fine degli anni Ottanta, riguardante questa volta una persona adulta».
Il vescovo Muser
Il vescovo Muser è stato invitato a fornire alla Commissione d’inchiesta la sua versione dei fatti, ma essa è risultata non pienamente soddisfacente. «Secondo il parere dei relatori – si legge infatti nel report – il vescovo Ivo Muser avrebbe dovuto adottare misure già all’inizio degli anni 2010, quando per la prima volta veniva messo di fronte al caso, così da impedire qualsiasi ulteriore contatto del sacerdote con i minori nello svolgimento della sua attività pastorale. Ciò sarebbe stato necessario al fine di escludere sin dall’inizio, o almeno ridurre al minimo i rischi correlati. Sebbene la rimozione del sacerdote dall’incarico di parroco, avvenuta verso la fine degli anni 2010, sia stata fondamentalmente un passo compiuto nella giusta direzione, in un’ottica preventiva, essa non fu comunque sufficiente, dal punto di vista dei relatori.
Alla luce della gravità delle accuse confermate nei confronti del sacerdote, soprattutto in combinazione con l’assenza di rimorsi e di un ravvedimento da parte sua, non più tardi di quel momento sarebbe stato imperativamente necessario, a giudizio dei relatori, allontanarlo totalmente da qualsiasi attività pastorale. […] Solo all’inizio degli anni 2020 il sacerdote veniva definitivamente rimosso dalla cura pastorale interdicendolo da ogni ulteriore attività in quest’ambito. Dopo avere preso questa decisione, tuttavia, non furono adottate iniziative sufficienti a monitorare e garantire efficacemente l’osservanza di tale divieto. Non veniva dunque meno il rischio che il sacerdote potesse aggirare le restrizioni imposte, cosa che alla fine in effetti fece».
L’esame del caso presenta un’interessantissima postilla: «Va notato – si legge ancora nel report – che il vescovo ha riconosciuto a posteriori la scarsa coerenza evidenziata nella gestione di questo caso. Ha inoltre sottolineato di voler trarre insegnamento da questi errori e di essere intenzionato ad agire, in futuro, in modo più risoluto e preventivo, al fine di evitare questi demeriti e mettere in primo piano la protezione dei minori».
Riepiloghiamo: il committente dell’inchiesta è stato accusato esplicitamente, nero su bianco, dagli autori del rapporto di non essersi comportato nel modo giusto dinanzi a un caso di abusi. Costui non solo non ha impedito che tutti noi venissimo messi a parte di questo rimprovero, ma ha riconosciuto di aver, in questo e in altri casi, commesso degli errori, promettendo al tempo stesso di aver imparato la lezione e di non volerli ripetere.
In altre parole, il vescovo Muser, mostrando di voler distruggere il clericalismo non a parole e a slogan, ma nei fatti, ha ammesso che lui e la sua organizzazione sono umani come tutti noi, di aver sbagliato e di voler far tesoro di una lezione ricevuta non dai suoi capi, dal papa o da qualche cardinale, ma da un gruppo di laicissimi scienziati. Michel Foucault avrebbe definito il vescovo Muser un parresiasta, una persona determinata a tutti costi ad annunciare la verità accollandosene tutte le conseguenze. Ci sono vescovi italiani disposti ad imitarlo?
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