Catalogo degli eroi smarriti. Il campionato di serie A chiude stasera il programma della prima giornata 2023-24 (Torino-Cagliari Bologna-Milan le partite in calendario) ma ha già mandato in archivio alcuni fra i personaggi che hanno catturato la passione dell’Italia calcistica nel corso della storia recente.

Personaggi che hanno unito e diviso, che hanno acceso passioni forti, ma che nell’ultimo scorcio di carriera hanno provato (e provano) a sopravvivere a se stessi. Perché quasi nessuno la capacità di capire quando giunge il momento di farsi da parte. Sicché si rischia di trovarsi a subire un trattamento ruvido, prossimo all’ingratitudine ma forse unico modo per chiudere una storia che altrimenti si trascinerebbe oltre il limite del decoro. Di tutto ciò la vicenda vissuta in questi giorni da Leonardo Bonucci assume un carattere emblematico.

Esodato di lusso

Leo Bonucci trascorre in un limbo quella che sarebbe la sua ultima stagione contrattuale con la Juventus, probabilmente anche quella conclusiva della carriera. Una carriera che avrebbe meritato di chiudersi in bianconero, e non già per il solito, patetico discorso sulle ultime bandiere poiché Bonucci nella Juventus non avrebbe mai potuto esserlo. C’è stata pure nel mezzo quella stagione milanista, con tanto di gol segnato allo Stadium in maglia rossonera e il gesto da “sciacquatevi la bocca” esibito in faccia alla curva bianconera. Ma almeno una degna conclusione del rapporto, quella sì, era dovuta.

E invece quest’ultimo anno di contratto si è trasformato in espiazione. Bonucci si ritrova suo malgrado al centro di conflitti diversi, anche per motivi mai esistiti. Come quello del suo presunto arruolamento nello staff della nazionale, che secondo le prime versioni offerte in pasto al sistema mediatico sarebbe stato fra i motivi della rottura fra Roberto Mancini e la Federazione italiana gioco calcio (Figc).

Di quell’incarico il difensore bianconero ha probabilmente avuto notizia dai giornali e magari si sarà chiesto perché capitino sempre a lui, diventato pomo di tutte le discordie. La sola cosa certa è che, guardando all’oggi, sembra trascorso un secolo da quell’11 luglio del 2021 che invece dista soltanto poco più di due anni. Sul prato di Wembley, dopo avere appena vinto gli Europei con la maglia della nazionale, Bonucci camminava accanto a Giorgio Chiellini, compagno di difesa centrale in bianconero e in azzurro, urlando al mondo che la concorrenza dei giovani avrebbe dovuto mangiarne ancora parecchia, di pastasciutta, prima di riuscire a scalzare loro due. La coppia più bulla del mondo, i centrali di retrovia che, come disse José Mourinho dopo una gara di Champions League persa alla guida del Manchester United contro la prima Juventus di Cristiano Ronaldo, «potrebbero andare a insegnare difesa calcistica ad Harvard». Loro due, l’incarnazione dell’Italian Job nel pallone.

Sic transit gloria mundi. Soltanto un’estate dopo la coppia è stata dimezzata dalla partenza di Chiellini, destinazione la MLS statunitense. E nell’estate successiva, cioè quella che ci si sta mettendo alle spalle, Bonucci va a chiudere il cerchio dopo che i due sono stati al centro del meme prodotto con mano perfida dopo l’eliminazione della nazionale azzurra dalla corsa verso Qatar 2022: loro due a incombere su un piatto dove la pastasciutta era stata sostituita dalla Macedonia. Con la maiuscola. Per il (tuttora) difensore bianconero è stato un anno da dimenticare, sia in nazionale (la sua permanenza nel gruppo sarebbe stata la causa dell’addio di Alberigo Evani allo staff di Mancini) che nella Juventus, dove l’antipatizzante di lungo corso Massimiliano Allegri ha trovato una sponda nel nuovo plenipotenziario Cristiano Giuntoli. Che nei confronti di Bonucci ha mostrato un piglio da Donald Trump in versione televisiva: «You’re fired!», nessuna replica ammessa.

La stagione degli addii

Le grandi storie d’amore calcistiche finiscono quasi sempre male. Ci sarà tempo per tornare a amarsi, ma il momento del distacco è sanguinoso e si tratta soltanto di assegnare il ruolo del cattivo. Come disse una volta Beppe Bergomi nel corso di una telecronaca: «Prima o poi arriva l’allenatore che ti fa smettere». E richiesto dal telecronista di specificare chi nel suo caso fosse stato l’allenatore, rispose: «Lasciamo perdere». Come a dire che il principio è corretto e la sua applicazione inevitabile, ma poi sulla pelle il marchio non smette mai di bruciare. Tanto più che nessuno è in grado di accettare l’evidenza del momento in cui bisogna farsi da parte. Si crede sempre di poter barare, ci s’inventa ruoli e avventure di tipo diverso pur di rimanere in pista e cercare le condizioni per un improbabile rilancio. In questo senso, la Serie A 2023-24 è anche il primo campionato in cui non si dovrà più aspettare il ritorno di due grandi protagonisti del nostro campionato: Gigi Buffon e Zlatan Ibrahimovic. Due che col tempo hanno provato a barare finché hanno potuto. Salvo arrendersi quando hanno scoperto che il tempo stava lì, imperturbabile, dall’altra parte del tavolo da poker. E invece loro stavano soltanto logorando se stessi. A quel punto dire «non ce la faccio più» è stato un momento di tardiva consapevolezza.

Gigi Buffon si è ritirato all’età di 46 anni dopo due stagioni di Serie B, spese a difendere la porta della squadra che lo ha lanciato nel grande calcio: il Parma. Il suo ritorno in Emilia era stato raccontato col tono romantico che si riserva all’eroe pronto a combattere l’ultima battaglia della sua carriera per tornare nell’Olimpo del calcio assieme alla squadra delle sue origini. Ma poi lo scarto fra la narrazione romantica e la realtà è stato brutale. Sicché il portiere campione del mondo 2006,

oltre a girare per due stagioni i campi della provincia italiana mancando il traguardo del ritorno in Serie A, ha scoperto che la sua squadra e la sua società non erano più quelle. Il calcio a Parma è cambiato, adesso si trova gestito da una proprietà americana che macina rossi di bilancio e pare interessata principalmente al nuovo stadio. I lunghi tentennamenti del portiere, durati oltre la data d’inizio del ritiro per i suoi compagni di squadra, sono stati il segno di un arrendersi lungo ma inevitabile. E la sua immediata nomina nello staff del Club Italia è stata scaraventata nel calderone delle polemiche fra ex CT e Figc. Una volta si diceva: «Buona fine e buon principio».

Gli andrà meglio nel prosieguo.

Manca anche Zlatan Ibrahimovic. Manca per come può, nel senso che in campo non lo si vedeva comunque quasi più. Ma la comunità rossonera lo percepiva come un leader morale, una sorta di forza extra-tecnica che con la sola presenza in gruppo e a bordo campo era capace di dare ai compagni la spinta che manca. Una narrazione valida per la stagione in cui il Milan ha vinto, in modo inatteso, il 19° scudetto. Ma non più spendibile nella scorsa stagione, quando lo svedese è stato soltanto un aggregato di lusso con contratto pesantissimo. Si fa presto a cambiare prospettiva. E lui avrebbe dovuto capirlo prima di altri.

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