«Dovevo presentare un vecchio contratto in agricoltura per fare domanda, ma io sono arrivata qui pochi mesi fa e non mi hanno mai fatto un contratto, non sapevo come provare che avevo già lavorato nei campi, alla fine ho lasciato perdere», dice Jasmine (il nome è di fantasia) donna nigeriana, in Italia da sei anni, che attualmente lavora nelle campagne di San Severo, in provincia di Foggia.

La sua è una storia simile a quella di Kamau (altro nome di fantasia), uomo di origine liberiana che lavora anche lui nelle campagne pugliesi e che da 4 anni vive all’interno del ghetto di Borgo Mezzanone, una baraccopoli messa in piedi dai braccianti stagionali, sfruttati e vessati nei campi. «Mi hanno spiegato che dovevo presentare il passaporto, ma come fa ad avere il passaporto chi è arrivato in barca, senza niente? Alla fine non mi è stato possibile presentare la domanda».

In attesa di cosa?

Queste sono solo alcune delle testimonianze raccolte dalla organizzazione non governativa Oxfam con il supporto di Mixed Migration centre e contenute nel dossier con cui le organizzazioni componenti della campagna “Ero straniero” chiedono al parlamento di approvare la proposta di legge di iniziativa popolare sostenuta da 90.000 firme che giace da tre anni in un cassetto della commissione Affari costituzionali della Camera e che mira a introdurre «Nuove norme per la promozione del regolare permesso di soggiorno e dell’inclusione sociale e lavorativa di cittadini stranieri non comunitari».

Una regolarizzazione con molti ostacoli. A maggio scorso, nel pieno dell’emergenza sanitaria provocata dalla pandemia, il governo Conte aveva deciso di emanare un provvedimento straordinario per l’emersione dalla invisibilità delle persone presenti in Italia senza documenti, i cosiddetti irregolari. Una procedura che ha riguardato, però, soltanto gli stranieri che lavorano nei settori dell’agricoltura, del lavoro domestico e dell’assistenza alla persona. Una regolarizzazione dei rapporti di lavoro che è stata possibile con una finestra temporale di tre mesi, dal 1 giugno al 15 agosto. Una scelta giustificata dall’esecutivo sia nell’ottica delle tutela della salute delle persone invisibili, che nella convinzione di reperire la manodopera necessaria al comparto agro alimentare in difficoltà. Un provvedimento normativo che tuttavia, insieme all’altra procedura prevista dall’articolo 2 del decreto Rilancio relativa alle domande presentate direttamente da cittadini stranieri e non dai datori di lavoro, si è rivelata una toppa non all’altezza del buco.

I numeri

Secondo i dati forniti dal ministero dell’Interno e contenuti nel dossier di “Ero straniero”, «il totale delle domande ricevute ammonta a 207.542: l’85 per cento del totale delle domande trasmesse (176.848) riguarda il lavoro domestico e di assistenza alla persona, mentre le domande per l’emersione del lavoro subordinato (agricoltura, pesca, altro) hanno riguardato il 15 per cento del totale (30.694)». A queste cifre, poi, si devono aggiungere le 12.986 richieste di permesso di soggiorno temporaneo presentate direttamente dagli stranieri.

Sono numeri molto bassi. «Era prevedibile dal tipo di requisiti richiesti», dicono Arci, Acli, Caritas, Federazione delle chiese evangeliche, Legambiente e Radicali, tra le organizzazioni promotrici della campagna “Ero straniero” che, con il sostegno di numerosi sindaci e decine di altre associazioni, hanno lavorato invece alla proposta di legge, tuttora ferma in parlamento, per riformare la normativa sugli ingressi degli stranieri in Italia.

Norme ferme a 20 anni fa, ossia alla legge Bossi–Fini varata dal governo di destra guidato da Silvio Berlusconi.

Manca la volontà

Le associazioni firmatarie dicono: «L’inspiegabile limitazione dei settori economici ammessi alla procedura ha minato fortemente l’efficacia del provvedimento e ha rappresentato forse l’elemento più critico. Così facendo, infatti, si è ridotta la possibilità di garantire diritti e attenzione al maggior numero possibile di cittadini stranieri in un periodo di pandemia.

La limitazione dei settori ha inciso anche su un’ampia platea di richiedenti asilo che, in attesa di definizione della procedura, con un lavoro in un settore diverso non hanno potuto accedere alla regolarizzazione». Il dossier prosegue: «Nei confronti dei richiedenti asilo si è poi assistito alle prassi arbitrarie seguite da alcune questure che hanno subordinato l’accettazione della presentazione della domanda di emersione alla rinuncia all’eventuale ricorso giurisdizionale pendente».

Ci sono, inoltre, tutta un’altra serie di requisiti previsti per l’accesso alla misura che hanno di fatto impedito la presentazione della domanda a un certo numero di potenziali beneficiari. Come l’obbligo di dover documentare la permanenza sul territorio italiano dall’8 marzo 2020 attraverso prove come certificati medici, multe, presenze in centri di accoglienza. Tutti documenti che, come tali, presuppongono una condizione di regolarità. Una evidente contraddizione in termini, rispetto allo scopo dell’intervento. Come ha riferito Michael, giovane nigeriano che è in Italia da cinque anni ed è costretto a vivere nel ghetto foggiano di Borgo Mezzanone, «questa regolarizzazione, per me, non ha senso. È per pochi fortunati. Avrebbe avuto senso se non ci fossero stati tutti quegli ostacoli».

La riforma pronta per superare le storture della Bossi-Fini, ormai risalente a venti anni fa, c’era già. Una proposta di legge che si compone di 8 articoli, la quale prevede, tra le altre cose, un meccanismo di regolarizzazione su base individuale a fronte della disponibilità di un contratto da parte di un datore di lavoro, o dell’esistenza di legami familiari, e l’introduzione di un permesso di soggiorno temporaneo per ricerca lavoro, di 12 mesi, per facilitare l’incontro con i datori di lavoro italiani.

Dunque, la legge c’è già. «Spetta ora al parlamento discuterla e approvarla», concludono gli attivisti della campagna “Ero straniero”.

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