Solo nei prossimi giorni si saprà a quali conclusioni è giunta nella sua inchiesta la Procura di Torino, quando depositerà i relativi atti, a cui seguiranno inevitabilmente le memorie difensive. Solo allora i magistrati depositeranno una richiesta, presumibilmente di rinvio a giudizio, che sarà vagliata dal giudice per le indagini preliminari.

E probabilmente a quel punto sarà addirittura scoccato il mezzo secolo dai fatti. Intanto venerdì agli indagati, gli ex brigatisti Lauro Azzolini, Renato Curcio, Mario Moretti e Pierluigi Zuffada, è stato notificato l’avviso della conclusione delle indagini preliminari su quanto avvenne alla Cascina Spiotta, in località Arzello di Melazzo in provincia di Alessandria, ormai quasi cinquant’anni fa.

Il rapimento

Era infatti il 4 giugno 1975 quando le Br rapirono l’imprenditore Vittorio Vallarino Gancia, a scopo di auto finanziamento. Un sequestro che si concluse la mattina del giorno dopo con una sparatoria proprio nei pressi della cascina, dove l’uomo (aveva 43 anni, è morto nel 2022 novantenne: era figlio del fondatore dell’omonima impresa vitivinicola) era tenuto sotto sequestro.

Nello scontro a fuoco tra i carabinieri e i brigatisti, rimasero uccisi l’appuntato Giovanni D’Alfonso e Margherita “Mara” Cagol, trentina, fondatrice delle Br assieme a Renato Curcio, che aveva conosciuto anni prima alla facoltà di Sociologia di Trento (allora ancora Istituto superiore di Scienze sociali), poi sposandolo. La donna, trentenne, era tra i sequestratori, mentre il tenente Umberto Rocca e il maresciallo Rosario Cattafi furono gravemente feriti. C’era un altro brigatista quel giorno alla Spiotta, che però riuscì a fuggire e che mai è stato identificato.

La nuova inchiesta era stata aperta in seguito a un esposto del figlio dell’appuntato D’Alfonso, Bruno: e visto che un delitto non si prescrive mai, i magistrati hanno riportato l’orologio della storia indietro di decenni. E nel caso di Azzolini, come il postino del film, la giustizia ha suonato per una seconda volta.

La Procura oggi ritiene che quel brigatista sfuggito all’arresto possa essere proprio Lauro Azzolini, oggi ottantunenne, il quale però già a suo tempo era stato indagato, ma prosciolto il 3 novembre del 1987. Un provvedimento quest’ultimo che però è ora stato revocato, consentendo quindi la riapertura formale del procedimento, alla luce di quanto emerso nell’inchiesta: in particolare undici sue impronte digitali, individuate dal Reparto investigazioni scientifiche (Ris) dei carabinieri, su un memoriale che le Brigate rosse chiesero al loro militante sopravvissuto alla sparatoria.

Impronte

L'ex Br Lauro Azzolini

Proprio la revoca del proscioglimento negli scorsi mesi era stata oggetto di un curioso caso: la relativa sentenza dell’87 non è infatti mai stata reperita nel tribunale di Alessandria, dove si sarebbe dovuta trovare, perché molto probabilmente andata distrutta dall’alluvione che nel 1994 interessò gran parte del materiale presente negli archivi di palazzo di giustizia.

Secondo l’avvocato Davide Steccanella, difensore di Azzolini, era infatti del tutto insensato proceduralmente revocare un provvedimento che non esiste più e che dunque non era neppure più possibile leggere. Secondo l’avvocato dell’ex brigatista, peraltro, il fatto che su quel documento interno delle Br ci siano le sue impronte proverebbe solo il fatto che Azzolini quel documento lo ha toccato, e non che abbia partecipato alla sparatoria di Cascina Spiotta.

Sta di fatto che solo pochi giorni fa la Cassazione ha respinto il ricorso di Steccanella contro la revoca del proscioglimento, definendolo inammissibile, ma lasciando di fatto comunque aperta la possibilità di chiedere di “cancellarlo” nei successivi gradi del procedimento, quindi in ipotesi già davanti al giudice per l'udienza preliminare.

Secondo la Suprema Corte, infatti, la revoca della sentenza di fatto avvia un nuovo procedimento e solo nell’ambito del nuovo percorso giudiziario sarà possibile presentare l’istanza. Steccanella venerdì ha commentato così questo nuovo passaggio dell’inchiesta: «Ne prendiamo atto. Io come difensore di Azzolini, oltre a non temere nulla nel merito come ho detto sin dall’inizio, siccome la Cassazione ha detto che la mia prima eccezione era intempestiva, la ripresenterò alla prima occasione. Perché voglio davvero sapere se in Italia è possibile revocare una sentenza di proscioglimento senza averla letta: questo è il grande mistero. Per il resto non abbiamo nulla da temere».

Curcio e Moretti

Renato Curcio

Per quanto riguarda gli altri indagati, cinque impronte di Pierluigi Zuffada (oggi settantanovenne) sarebbero state rilevate dal Ris dei carabinieri sulla lettera di richiesta di riscatto – un miliardo di lire – fatta pervenire dalle Br all’avvocato della famiglia di Vittorio Vallarino Gancia.

Il coinvolgimento di Curcio e Moretti non è invece connesso a una loro presenza alla Cascina Spiotta. All’epoca erano sì alla guida di quelle che sarebbero più avanti diventate le vere e proprie “colonne” brigatiste di Milano e Torino, e in quanto tali progettarono il sequestro, pur non partecipandovi in prima persona: Curcio tra l’altro era da poco evaso dal carcere e per questo non andava coinvolto in operazioni del genere, per la sua immediata riconoscibilità.

L’inchiesta nel loro caso riguarda invece un altro documento interno alle Br (o presunto tale: la circostanza è infatti altamente controversa), in cui si dettagliava il comportamento da adottare in caso di scontri a fuoco con la polizia. Si tratta di un vecchio opuscolo sequestrato addirittura nell’ottobre del 1975 e firmato “Lotta armata per il comunismo”, attribuito dagli investigatori appunto alle Br, in cui stava scritto: «Se avvistate il nemico vi sganciate prima del suo arrivo, se venite colti di sorpresa ingaggiate un conflitto per rompere l’accerchiamento». Un po’ acrobaticamente, insomma, la Procura sostiene un loro concorso nell’omicidio dell’appuntato D’Alfonso.

La morte di Mara Cagol

Il corpo di Margherita Cagol disteso sui prati intorno alla cascina Spiotta

Va detto che in tutto questo rimane ancora irrisolta la questione della morte di Mara Cagol. Da sempre infatti, da parte brigatista, si sostiene che la donna sarebbe stata uccisa dai carabinieri quando già si era arresa, disarmata e a mani alzate.

Lo stesso Curcio, nell’ambito di quest’ultima inchiesta, ha consegnato ai magistrati una propria memoria in cui si legge quanto segue: «Oggi con l’autopsia in mano possiamo avere la certezza che il colpo mortale fu un classico “sotto-ascellare”, da sinistra a destra, che le ha perforato orizzontalmente i due polmoni; colpo mortale e inferto con competenza professionale. Su di ciò non possono esserci più dubbi, come sul fatto che Margherita in quel momento fosse disarmata e le sue mani fossero alzate. Restano allora senza risposta due domande: chi realmente ha premuto il grilletto? Era necessario?».

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