Martedì, sono stati identificati 35.098 nuovi casi di coronavirus ed è stato registrato il decesso di 580 persone a causa del Covid-19, il numero più alto degli ultimi sei mesi. I reparti di terapia intensiva sono sempre più sotto pressione. Al momento circa tremila letti sono occupati. Si tratta di circa il 35 per cento del totale, una cifra ben oltre la soglia di allarme fissata al 30 per cento.

Sono dati molto preoccupanti, che indicano lo stato di grave sofferenza del sistema sanitario italiano. Per questa ragione, martedì l’Iss ha suggerito di inasprire quanto prima le misure di contenimento in almeno quattro regioni, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia e Veneto.

Altri indicatori mostrano che le norme di contenimento adottate fino ad ora stanno iniziando a produrre un rallentamento della crescita esplosiva dell’epidemia, anche se non ancora un vero e proprio miglioramento della situazione. Per la prima volta dall’inizio della seconda ondata, infatti, l'indice Rt che misura la rapidità di diffusione del contagio è sembrato stabilizzarsi e al momento è fermo a 1,7.

Nuove zone rosse e arancioni

Secondo gli ultimi dati del monitoraggio settimanale da parte dell’Iss, ci sono almeno quattro regioni attualmente in zona gialla che rischiano una stretta nei prossimi giorni. Si tratta di Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia e Veneto. Tutte e quattro si trovano nel cosiddetto “scenario 4”, il più grave dei quattro e che indica un indice Rt superiore a 1,5.

Allo stesso tempo, sulla base dell'esame di una serie di altri indicatori, queste regioni sono collocate nella fascia di rischio “moderata”. Significa che i loro sistemi sanitari e di tracciamento non si trovano ancora in una situazione di estrema sofferenza. I quadro però rischia di peggiorare in fretta. Per questo, Silvio Brusaferro, presidente dell’Iss, ha detto martedì che in queste quattro regioni è «opportuno anticipare le misure più restrittive».

A quanto sembra, soltanto la Campania potrebbe essere chiusa in breve tempo. I giornali locali hanno messo in dubbio i dati forniti dalla regione, in particolare quelli sul sovraccarico degli ospedali. martedì diverse agenzie hanno scritto che alcuni tecnici del ministero sono stati inviati nella regione e che, dopo la loro valutazione, si deciderà se chiudere.

«L'accelerazione non c’è più»

Anche se il numero di contagi continua a crescere, la velocità con cui l’epidemia si diffonde sembra che stia diminuendo, probabilmente grazie all’effetto delle misure di contenimento intraprese fino a questo momento. Questo rallentamento, che sembra in corso da diversi giorni, si intuisce grazie a diversi dati, alcuni più affidabili di altri.

Il primo è il più ovvio: l’aumento dei nuovi casi. Per tutto il mese ottobre, il numero di nuovi casi registrati è quasi raddoppiato ogni settimana. Negli ultimi dieci giorni, invece, il numero di nuovi casi è continuato a crescere, ma a un tasso più basso. La scorsa settimana, ad esempio, sono stati identificati 225.788, contro i circa 183mila di due settimane fa. Tre settimane fa i casi erano stati i 111mila, 59mila quattro settimane fa e infine erano 29mila all'inizio di ottobre.

Questi numeri vanno però presi con molta cautela. I nuovi casi scoperti dipendono dal numero di tamponi effettuati e dalla capacità di tracciamento delle regioni, un sistema entrato in crisi negli ultimi giorni. Quest crisi si vede ad esempio dal fatto che la percentuale dei positivi sul totale dei tamponi effettuati continua a crescere. martedì, ad esempio, era pari al 16,1 per cento, mentre una settimana era al 15,5 per cento. In alcune regioni particolarmente in difficoltà, questa percentuale ha superato il 35 per cento. Si tratta di una difficoltà che emerge anche da episodi come la decisione di Lombardia e altre regioni di non fare tamponi più ai contatti stretti dei positivi. In altre parole, una parte del calo dei nuovi positivi che vediamo è dovuta alla collasso della nostra capacità di tracciamento.

Ci sono però altri numeri che confermano che le misure di contenimento iniziano ad avere un effetto, come ad esempio l’indice Rt nazionale, che ha raggiunto 1,7 e sembra essersi arrestato. «L’accelerazione velocissima non c’è più», ha detto martedì Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità, aggiungendo però che per ridurre l’epidemia, questo valore andrà portato sotto a 1, il che richiederà probabilmente tempo e soprattutto nuove misure di contenimento.

Decessi in ritardo

Il numero dei decessi, invece, continua ad aumentare rapidamente. La ragione è che tra il momento in cui viene diagnosticata la malattia e il decesso trascorre una quantità di tempo che dipende da molti fattori, ma che di solito si aggira tra le due e le otto settimane. I decessi a cui assistiamo mercoledì, quindi, sono stati identificati come casi positivi almeno due settimane, quando il numero di contagi raddoppiava ogni sette giorni. Lo stesso discorso si può fare per i ricoveri nelle terapie intensive, ma qui c’è un’ulteriore livello di complicazione da aggiungere.

Nei dati ufficiali, infatti, non sappiamo quante persone vengono ricoverate ogni giorno in terapia intensiva, ma soltanto l’aumento dei posti occupati, ossia i nuovi ricoverati meno i guariti e i deceduti. Questo porta a una costante sottostima dei numeri di ricoveri in terapia intensiva.

 

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