Caffè sporco tra lavoro forzato e sfruttamento minorile: quattro ong denunciano i colossi. Accuse anche a Lavazza

Lavoro minorile. Lavoro forzato. Paghe che non raggiungono i due euro al giorno. Sono alcune delle accuse che quattro ong internazionali - Coffee Watch, China Labor Watch, Adere-Mg e International Rights Advocates - hanno appena rivolto a tre colossi del caffè: Nestlé, AmRest/Starbucks e Dallmayr. È tutto contenuto nella denuncia presentata in Germania presso Bafa, l'ufficio federale per gli affari economici e il controllo delle esportazioni, che Domani ha potuto leggere in anteprima. «Nelle piantagioni di caffè che riforniscono Nestlé, Starbucks, Neumann Kaffee Gruppe e altri gruppi i bambini lavorano duramente, le persone vengono molestate e i loro diritti sono negati. Riteniamo che i problemi siano estremamente gravi, sistematici e diffusi. Le autorità tedesche devono agire per garantire che le aziende citate si assumano finalmente le loro responsabilità», dice Etelle Higonnet, direttrice di Coffee Watch, una delle ong coinvolte. La denuncia riguarda piantagioni di caffè in Cina, Messico, Brasile e Uganda. E toccano, seppure in maniera diretta, anche Lavazza: secondo le organizzazioni no profit, la storica azienda italiana è cliente di una di queste piantagioni dove i diritti dei lavoratori vengono calpestati. La deforestazione nella tazzina: così il caffè disbosca l’Amazzonia, pressing per fermare le regole Ue Il rischio che la legge tedesca venga cancellata La denuncia contro Nestlé, AmRest/Starbucks (AmRest è la società che gestisce le caffetterie Starbusks in Germania) e Dallmayr (uno dei marchi di caffè più famosi in Germania) fa riferimento alla legge tedesca sulle catene di fornitura. Dal 2023 la norma obbliga le aziende registrate in Germania e con più di mille dipendenti a garantire il rispetto dei diritti umani e degli standard ambientali lungo l'intera catena di fornitura. Chi viola gli obblighi di controllo (due diligence) rischia multe fino a 8 milioni di euro, o fino al due per cento del fatturato annuo globale, e l'autorità preposta a fare rispettare la legge è proprio Bafa, presso cui le ong hanno depositato la denuncia. Peccato che ora Berlino voglia cancellare la legge sulle catene di fornitura. Il governo di coalizione, guidato dal cancelliere Friedrich Merz e formato da Cdu, Csu e Spd, ha infatti annunciato l’abolizione della legge nazionale in attesa della Corporate Sustainability Due Diligence Directive, la direttiva europea che dovrebbe entrare in vigore a partire dal 2027 con obblighi di due diligence più morbidi rispetto alla norma tedesca. La missione impossibile del capo di Starbucks (spiegata nel tempo di un frappuccino) Dalla Cina al Brasile «Abolire la legge sulle catene di fornitura – spiega Higonnet, di Coffee Watch - significa privare i lavoratori nei Paesi di origine forse della loro unica possibilità di ottenere giustizia. Negare giustizia a bambini abusati e a persone ridotte in schiavitù è semplicemente deplorevole». La denuncia presentata alle autorità tedesche si basa su una serie di report che le ong hanno realizzato nel corso degli ultimi anni in vari paesi del mondo, recandosi nei luoghi di coltivazione del caffè e intervistandone i lavoratori. Lo studio "Ghost Farms and Coffee Laundering", realizzato da China Labor Watch e Coffee Watch, racconta ad esempio del lavoro minorile, della carenza di indumenti protettivi e delle condizioni salariali nelle piantagioni da cui si rifornisce Starbucks. In queste piantagioni, secondo il rapporto, «sono stati osservati bambini di appena dodici anni impegnati nella raccolta del caffè, ignorando gli obblighi scolastici e le normative di protezione». Un'altra ricerca, condotta da Coffee Watch insieme ad Empower e ProDesc, documenta «il lavoro minorile e lo sfruttamento sistemico che subiscono i coltivatori di caffè» in Messico. Situazione se possibile ancora peggiore in Brasile, dove uno studio condotto dalle ong, già confluiti in un esposto depositato lo scorso aprile a Washington presso la Corte federale, documenterebbero la violazione delle leggi sulla tratta di essere umani e sul lavoro forzato nelle piantagioni che riforniscono la cooperativa Cooxupé, fornitore chiave per Starbucks, Nestlé e altri importanti marchi. I diritti umani annegano nelle tazze di tè La difesa di Starbucks e Nestlè Davanti a queste accuse, già in passato le compagnie citate si sono difese. Starbucks, ad esempio, ha spiegato che «la cooperativa di Cooxupé comprende oltre 19.000 soci di piantagioni di caffè», e che il colosso di Seattle «acquista caffè da una piccola parte di quelle aziende agricole e solo da quelle che sono state verificate attraverso le nostre pratiche Coffee and Farmer Equity (C.A.F.E.), programma sviluppato con esperti esterni e include solide verifiche e audit di terze parti». Nestlé in passato ha spiegato che, «a livello globale, il 92,5% del caffè che acquistiamo proviene da fonti responsabili, il che significa che è sempre tracciabile e può essere ricondotto a coltivatori certificati. Questi gruppi di coltivatori sono sottoposti a regolari processi di controllo e certificazione da parte di enti terzi e indipendenti, come 4C Services o Rainforest Alliance, che garantiscono il rispetto degli standard di sostenibilità richiesti dai nostri programmi». Nelle contestazioni presentate ora alle autorità tedesche c'è spazio anche per l'italiana Lavazza. La filiale tedesca del marchio italiano conta meno di mille dipendenti, infatti Lavazza non viene citata nella denuncia depositata presso Bafa. Le ong, però, sottolineano un aspetto: «Nella piantagione Kaweri, in Uganda, 28 lavoratori hanno denunciato la presenza di lavoratori minorenni, molestie sessuali, mancanza di indumenti protettivi, condizioni di lavoro pericolose e salari inferiori a due euro al giorno. Questa piantagione è un fornitore diretto di Lavazza». Nel momento in cui pubblichiamo questo articolo Lavazza non ha risposto alle domande inviate da Domani.